Articolo stimolata, fatta eccezione per il "potere del consumo critico", che è solo una grande supercazzola.
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Venerdì 27 novembre cade il Black Friday 2020: un evento commerciale, ormai esteso ad una settimana, che nasce negli Usa negli anni ’80 e recentemente radicatosi anche in Europa. Una spasmodica corsa agli acquisti, effettuati soprattutto on-line, monopolizzata dal gigante del web Amazon. Dietro a questo sconsiderato festival dei consumi, spesso superflui, che si traduce in aumento del fatturato e dei profitti di Amazon, si celano in realtà risvolti inquietanti, in genere sconosciuti all’ignaro consumatore.
La multinazionale di proprietà di Jeff Bezos si è, infatti, distinta, non solo in Italia, per l’insostenibile sfruttamento della forza lavoro nel suo magazzino di smistamento nazionale di Castel S. Giovanni (Piacenza) con turni di lavoro intensissimi dettati da algoritmi che stabiliscono i tempi, molto serrati, di ciascuna operazione compiuta dai dipendenti, sorvegliando ogni singolo loro movimento, tramite la pistola scanner di dotazione. L’azienda si è resa protagonista di strategie anti-sindacali e dell’attuazione di pratiche vessatorie verso i suoi dipendenti, che generano stress, ansia e un eccesso di affaticamento a causa dell’ossessionante produttività e dal rigido rispetto dei ritmi di lavoro, con pesanti ripercussioni sulla salute psico-fisica dei dipendenti, accertato che al 70% dei lavoratori di Castel San Giovanni sono stati diagnosticati ernie e problemi alla schiena e al collo [1].
L’azienda, inoltre, adotta strategie tese ad eludere ed aggirare il fisco italiano, non contribuendo, proporzionalmente ai suoi profitti ivi realizzati, al sostentamento del nostro bilancio pubblico. Secondo la recente indagine “I giganti del Websoft” dell’Area Studi di Mediobanca apprendiamo (pag. 36) che, nel 2019, delle undici società del gruppo Amazon.com operanti in Italia, nove hanno sede a Milano, mentre AMAZON EU SARL, branch italiana (una holding che controlla parte delle nove), e la AMAZON WEB SERVICES EMEA SARL, branch italiana, hanno sede in Lussemburgo, con sensibili differenziali di fatturato a vantaggio delle seconde: 1,1 miliardi di euro, contro ben 3,4 miliardi. Tuttavia, l’aspetto più inquietante è rappresentato dal fatto che su di un fatturato complessivo di 4,5 miliardi di euro realizzato sul territorio italiano, grazie ad una strategia societaria basata su scatole cinesi, al nostro fisco Amazon ha versato solo 11 milioni di imposte, mentre a quello del Lussemburgo, ove l’imposizione fiscale è minore, ben 73 milioni.
Nonostante la scarsa propensione contributiva, i suoi 20.000 furgoni, che hanno consegnato nel 2019 ben 318 milioni di pacchi, utilizzano quotidianamente la rete stradale nazionale emettendo un’insostenibile quantità di CO2 ed i suoi prodotti hanno un particolare packaging il cui impatto ambientale è 10 volte superiore a quello del classico sacchetto di plastica. Un’azienda che per dimensioni e strategie aziendali, strutturate in catene del valore globali al fine di massimizzare i profitti, risulta caratterizzata da una pessima impronta ambientale: nel 2019 ha emesso in atmosfera ben 44,4 milioni di tonnellate di CO2, pari all’impronta ecologica dell’intera Svezia, come rilevato dagli studi dell’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa [2].
Il commercio on-line e, in particolare l’azienda in questione del quale ne rappresenta l’incontrastata leadership, effettuando una concorrenza asimmetrica ai danni degli esercizi commerciali sta mettendo in crisi il comparto tradizionale causando la chiusura di numerose attività, facendo così venir meno tali fondamentali presidi sociali nelle città e nei centri minori. L’espansione dell’e-commerce, sempre secondo la già citata indagine “I giganti del Websoft”, sarebbe responsabile, a partire dal 2011, della chiusura nel nostro paese di 32 mila negozi, dei quali 5.000 solo nel 2019. Ciò in attesa dei dati, non certo positivi, del 2020, durante cui, nel primo semestre, a seguito della pandemia, Amazon ha registrato un eccezionale incremento del fatturato del 33,5%, mentre molti esercizi subivano la chiusura imposta dal lockdown sanitario e alcune attività, già in sofferenza, non hanno più riaperto.
Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, impegnato nella lotta per il rispetto delle responsabilità sociali e ambientali delle imprese, consci del potere che il consumo critico riveste nel condizionare le strategie aziendali, soprattutto delle grandi major dell’e-commerce, invita a non farsi coinvolgere in questa compulsiva sbornia consumistica on-line e a mantenere un atteggiamento sobrio e consapevole negli acquisti, indirizzando, quelli strettamente necessari verso le aziende che rispettano i diritti dei lavoratori e dell’ambiente e verso i negozi di prossimità, insostituibili capisaldi del tessuto sociale ed economico dei nostri centri urbani.
Il Coordinamento del Gruppo Insegnanti del Geografia
25 novembre 2020
Note:
1. https://it.businessinsider.com/due-dipendenti-amazon-raccontano-linferno-del-centro-di-smistamento-di-piacenza/
2. https://www.hdblog.it/amazon/speciali/n515713/amazon-inquinamento-spedizioni-impatto-ambiente/
Fonte
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