L’Assemblea Nazionale di Parigi questa settimana ha consegnato alle forze di sicurezza francesi un nuovo strumento di repressione che conferma la deriva autoritaria e liberticida da tempo in atto e accelerata durante la presidenza di Emmanuel Macron. A testimonianza di questa evoluzione, poche ore dopo che il nuovo testo di legge sulla “sicurezza globale” veniva approvato in prima lettura, la polizia francese ha portato a termine un brutale sgombero di rifugiati senzatetto nel centro della capitale.
Le modalità dell’assalto all’accampamento di tende a Place de la République sono state talmente violente da provocare un’ondata di indignazione tra l’opinione pubblica d’oltralpe. A subire le cariche della polizia sono stati anche i dimostranti che erano scesi in piazza in solidarietà con i migranti e alcuni giornalisti. L’accampamento era stato organizzato come protesta per il trattamento riservato dal governo francese ai rifugiati, tra l’altro abbandonati a loro stessi di fronte all’epidemia di Coronavirus.
Anche i media ufficiali e addirittura i politici della maggioranza, inclusi alcuni ministri, si sono sentiti in obbligo quanto meno di sollevare perplessità sulla condotta della polizia. Il ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, ha provato a limitare i danni, dicendosi “scioccato” dalle immagini dell’operazione e promettendo di chiedere spiegazioni al comandante della polizia di Parigi.
La sincerità di simili ostentazioni di sdegno è facilmente misurabile se si considerano i metodi spesso ancora più brutali con cui le forze dell’ordine transalpine hanno ad esempio regolarmente represso la mobilitazione dei “gilet gialli” nei mesi scorsi, ma anche gli assalti ad altri accampamenti di migranti avvenuti nel recente passato, come quello di Calais. Pestaggi, impiego indiscriminato di gas lacrimogeni e proiettili di gomma sono stati ampiamente documentati e in varie occasioni hanno provocato gravissimi ferimenti di manifestanti pacifici e talvolta in età avanzata.
I fatti recenti di Place de la République non rappresentano un’aberrazione, ma sono piuttosto il risultato delle politiche da stato di polizia attuate dai governi francesi negli ultimi anni, soprattutto dal 2015, quando l’allora presidente François Hollande impose un lunghissimo stato di emergenza, con la sospensione di fatto di alcuni diritti democratici, in risposta agli attentati terroristici del novembre di quell’anno.
Con la serie di provvedimenti relativi alla “sicurezza” che si sono susseguiti, la polizia ha fatto ricorso sempre più impunemente a metodi repressivi e, da ultima, la legge attualmente in discussione aggiunge un ulteriore tassello al processo di demolizione dei diritti costituzionalmente garantiti. La norma più controversa della misura votata martedì dalla camera bassa del parlamento di Parigi è contenuta nell’articolo 24 e minaccia di limitare in modo drastico la libertà di informazione durante manifestazioni di protesta e operazioni di polizia.
Secondo il testo, sarà proibito pubblicare e diffondere immagini di agenti di polizia durante eventi pubblici se ciò viene fatto con intenzioni “malevole”, ovvero se così facendo si danneggia fisicamente o psicologicamente gli stessi membri delle forze dell’ordine. A valutare il presunto danno causato dall’atto di filmare o scattare fotografie che ritraggono i poliziotti nel corso di un’operazione saranno inevitabilmente proprio gli agenti interessati. Le pene previste possono arrivare fino a un anno di detenzione e a una sanzione da 45 mila euro.
Nel mirino degli autori della legge francese c’è in primo luogo il lavoro dei giornalisti, mentre una delle conseguenze più inquietanti sarà la ratifica legale della sostanziale impunità degli agenti di polizia che ricorrono a metodi violenti. Secondo questi ultimi, il provvedimento sarebbe necessario per limitare insulti e minacce che proliferano sui social media contro quei poliziotti ritratti in filmati e immagini di manifestazioni di protesta, anche se in realtà in Francia esiste già una legge specifica che punisce questo reato.
Un altro punto delicato della legge è l’ampliamento dell’uso di droni nella gestione dell’ordine durante eventi pubblici, permettendo in particolare l’impiego della tecnologia del riconoscimento facciale per l’identificazione e la schedatura dei partecipanti a una determinata manifestazione. Nel complesso, la nuova legislazione rafforza e allarga i poteri delle forze dell’ordine con una serie di altre misure, come la creazione di un corpo di polizia municipale a Parigi, finora non previsto dall’ordinamento francese, e il divieto di impedire a un agente armato fuori servizio di accedere a luoghi pubblici.
A dare la misura della gravità della legge promossa dal governo Macron sono le denunce di essa arrivate da molte organizzazioni internazionali a difesa dei diritti civili e democratici. Le Nazioni Unite, inoltre, hanno parlato di violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Sulla stessa legge pende ovviamente anche un dubbio di costituzionalità, tanto che appare scontato l’approdo del testo definitivo al tribunale costituzionale francese.
Per questa ragione, è probabile che alcune modifiche saranno apportate nel corso dell’iter parlamentare, ma il governo ha escluso variazioni al famigerato articolo 24. Dopo il voto in prima lettura di questa settimana, la legge andrà al Senato nel mese di gennaio e tornerà infine all’Assemblea Nazionale per l’approvazione definitiva. Nonostante le polemiche, martedì il testo di legge ha ottenuto una larga maggioranza (388-104), grazie all’appoggio dei gollisti (“Les Republicains”) e dell’estrema destra dell’ex Fronte Nazionale (“Rassemblement National”). Nei due partiti di governo ci sono stati però alcuni malumori per l’impopolarità della legge, confermati dai voti contrari di 10 deputati di quello di Macron (“La République en Marche”) e di 5 dell’alleato moderato (“Mouvement Démocrate”).
La costante deriva anti-democratica, peraltro non limitata alla Francia, è testimoniata dal moltiplicarsi degli interventi di legge sui temi della “sicurezza” e dell’ordine pubblico. Un altro ambito è quello della lotta al “terrorismo”, che ha visto proprio poche settimane fa l’introduzione di una nuova proposta di legge repressiva sul cosiddetto “separatismo islamico”, nel concreto un altro assalto ai diritti della comunità musulmana in nome della laicità e del secolarismo repubblicano.
A mettere in guardia dal clima anti-democratico che si respira sempre più nella Francia di Macron sono stati in molti in questi giorni, incluse personalità non esattamente radicali. In un’intervista a Le Monde, ad esempio, l’avvocato presso il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione, Patrice Spinosi, ha appunto denunciato “l’accumulazione senza precedenti di misure di legge riguardanti la sicurezza” a partire dal 2002, tanto da aver creato uno “squilibrio istituzionale”.
Secondo Spinosi, un eventuale “Trump alla francese” installatosi all’Eliseo dopo le elezioni presidenziali del 2022 si troverebbe a disposizione, “senza bisogno di cambiare la legge, tutti gli strumenti giuridici per la sorveglianza della popolazione e il controllo dei suoi avversari politici”. Sotto la spinta di esplosive tensioni sociali, in realtà, l’involuzione autoritaria in Francia appare già ben avanzata anche con un presidente di orientamento nominalmente liberale e democratico.
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