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21/11/2020

Pandemia - In Lombardia quattro volte i morti della Cina

Nella giornata del 19 novembre la Lombardia ha superato la cifra dei 20.000 morti per Covid. Un dato che impressiona se si pensa, per esempio, che la Cina ne ha avuti complessivamente 4.600 su 1.400.000.000 di abitanti; e che in Lombardia, che ne ha 10.000.000, il dato è destinato ad aumentare ulteriormente visto che la pandemia è ancora in pieno dispiegamento.

Questi dati dimostrano il fallimento dell’”eccellenza lombarda” e della politica sanitaria seguita dalle diverse giunte di destra succedutesi in Lombardia e in particolare, oggi, quella di Fontana e del suo assessore Gallera.

Eppure tali personaggi restano ancora al potere, quando dovrebbero essere già stati commissariati per incapacità e per avere politicamente preferito il profitto dell’industria e della sanità privata alla salute dei cittadini.

Fontana ora preme perché nella giostrina cromatica ideata dal governo, la Lombardia passi da zona rossa ad arancione. Una pura follia, se si considerano i dati al 20 di novembre. Tali dati ci parlano di 165 morti nell’ultima giornata e di un esito di tamponi positivi molto alto, pari al 20% del totale.

Il dato percentuale è l’unico che può far fede di fronte a una quantità di tamponi in costante e forte decrescita a causa dell’incapacità di tracciare i contatti.

Preoccupa particolarmente la situazione di Varese, dove la percentuale di positività è del 34%. Anche fermandosi ai dati assoluti, comunque, la situazione appare tragica: 3.000 casi nel milanese, di cui 1.100 in città, 873 in Brianza, 657 a Varese, 545 a Como e un totale regionale di 7.453 casi positivi.

La situazione negli ospedali resta estremamente difficile. Al di là delle dichiarazioni dei politici della destra parlano i fatti. Il San Gerardo di Monza, dove una parte consistente del personale è ammalata o in quarantena, ha chiesto l’aiuto dell’esercito.

A Cremona, dove i ricoveri in terapia intensiva sono quadruplicati negli ultimi giorni, si chiede di richiamare in servizio gli anestesisti rianimatori in pensione per poter provvedere almeno agli interventi chirurgici urgenti (incidenti, tumori, parti ecc.).

A Varese ci sono 624 ricoverati in reparto, più di 100 in terapia intensiva e le strutture sono in grave difficoltà. A Milano, Como (dove in un ospedale ci sono molte positività tra i sanitari) e nelle altre provincie la situazione non è particolarmente migliore.

Inoltre, sostenuto in questo delle rodomontesche dichiarazioni del Commissario nazionale Arcuri, il duo Fontana-Gallera continua a dire che sono stati potenziati i posti in terapia intensiva (reparto cui si dovrebbe ricorrere solo in casi eccezionali, se esistesse assistenza sul territorio) senza considerare che mancano i medici e gli infermieri per farli funzionare e per esempio, l’Ospedale della Fiera si regge sottraendo personale agli altri.

La carenza di medici, dovuta ai tagli, agli smantellamenti delle strutture, alla politica del numero chiuso nelle facoltà di medicina, è stata aggravata e resa più evidente dalla pandemia, ma è una fatto di lunga data.

Lo stesso si può dire per gli infermieri: secondo l’ Ordine delle Professioni Infermieristiche negli ospedali lombardi ne mancano 2.800 e altri 5.000 sarebbero necessari nelle strutture territoriali, con una situazione particolarmente drammatica nelle RSA.

Continua anche la tragicommedia della campagna vaccinale. I medici di base non hanno i vaccini, oppure li ricevono ma senza aghi per la somministrazione, e questo si può risolvere provvedendo personalmente, ma la beffa è quando arrivano gli aghi ma non i vaccini.

Da qualche giorno sono state installate delle tende in alcuni quartieri popolari di Milano, dove gli anziani possono vaccinarsi dopo una quasi scontata lunga fila al freddo. Ma non si comprende perché molti anziani delle periferie siano indirizzati dall’ufficio prenotazioni dell’ATS milanese alle tende installate in Piazza del Duomo, dovendo compiere un lungo tragitto sui notoriamente infetti mezzi pubblici, anche se potrebbero essere vaccinati nei loro quartieri.

Probabilmente è un’operazione di propaganda, perché si vuole mostrare una grande affluenza alle tende di Piazza Duomo, sotto gli occhi della stampa.

In questa situazione, in cui il Covid-19 è ormai diventato endemico, e in cui la maggior parte della popolazione è suscettibile di contagio, Fontana avrebbe voluto derubricare la Lombardia a zona arancione già dal 27 novembre, con una riapertura, praticamente, totale. Una posizione sconcertante che non ha alcun riscontro sanitario.

Quando parliamo di riapertura totale, peraltro, non dimentichiamo che la “zona rossa” in Lombardia è in verità già molto “rosa” poiché la maggior parte dei lombardi è costretta ad andare a lavorare tutti i giorni per le esigenze “produttive” dei padroni, ma questo, naturalmente, si fa di tutto per farlo dimenticare, come se fabbriche, uffici e trasporti non fossero, in realtà il luogo in cui, probabilmente, avviene la maggior parte dei contagi.

Tuttavia, per Fontana, il passaggio a “zona arancione” e anche meno, sarebbe un successo perché distrarrebbe l’attenzione dalla bancarotta della sua giunta. Inoltre, ridurre il grado d’allarme sarebbe funzionale alle teorie eugenetiche della giunta, che dopo aver aderito all’idea che con il virus si deve “convivere” (cioè piuttosto ammalarsi e morire) ora sostiene che in caso di una terza ondata, di cui già apertamente si parla, essa potrà solo essere “mitigata” e non sconfitta.

Infine, un’ipotesi di riapertura totale è finalizzata a togliere spazio al giustificato malcontento e alle proteste di chi non capisce perché tutte le attività sociali siano chiuse, ma a “produrre” si debba andare.

Per negare tale disastro sanitario, ormai la destra non esita a mobilitare anche medici vicini alla sua area politica, pronti a dichiarare qualunque cosa pur di placare l’allarme dell’opinione pubblica. Ai vari Zangrillo e Palù, già noti per le loro dichiarazioni riduzioniste, si aggiunge ora Matteo Bassetti, primario di infettivologia a Genova.

Secondo Bassetti, i dati drammatici del nostro paese sono esito di un metodo di calcolo sbagliato, poiché nel corso della prima ondata pandemica sarebbero state attribuite al Covid molte morti di pazienti deceduti per altre cause, ma positivi al virus. Dichiarazioni che cozzano contro l’evidenza dei fatti, ma che contribuiscono a creare confusione nelle teste dei cittadini a vantaggio delle responsabilità politiche.

Nel marasma lombardo, comunque, la sanità privata continua con i suoi profitti. Guadagna sui test sierologici, sui tamponi, sull’assistenza domiciliare, sulle vaccinazioni ma anche attraverso il lavoro indisturbato delle cliniche private, soprattutto di quelle convenzionate.

Infatti se pazienti Covid sono accolti in grandi strutture private come l’Humanitas e il San Raffaele – e ci mancherebbe che così non fosse, dati i finanziamenti pubblici e le donazioni private che quest’ultimo ospedale ha intascato specificamente per la pandemia – altre, di dimensioni medio-piccole, continuano indisturbate la loro attività programmata, magari lucrando su interventi che il pubblico, causa epidemia, è costretto a rimandare.

Ovviamente, di requisire tali cliniche e di precettarne i medici, non se ne parla.

La sussidiarietà tanto sbandierata come base dell’”eccellenza” è solo a vantaggio dei privati.

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