“Giocò, vinse, pisciò, fu sconfitto” (Eduardo Galeano)
Il pallone è stata la prima grande fissazione della mia vita e avere avuto la possibilità di vedere giocare Maradona negli anni in cui ero un bambino e vivevo il calcio in una maniera cosi totale e naif è stata una delle più grandi fortune e privilegi che possa dire di avere avuto.
A questo calciatore extraterrestre sono legati alcuni ricordi chiave della mia vita. Vederlo in azione ai mondiali di Mexico ’86 rimane l’esperienza più simile alla rivelazione che possa dire di avere avuto. In seguito a quel mondiale mi feci una sorta di altarino nella mia cameretta; oggi, a 43 anni, nel mio appartamento ne ho un altro abbastanza simile.
La partita con l’Inghilterra l’ho vista in diretta. Avevo nove anni, ero da solo sul divano a casa di mia nonna, dopo il secondo gol mi misi a correre per casa in preda all’estasi mistica. Avevo avuto la percezione chiara di avere assistito ad una cosa irripetibile, non capita spesso di essere testimone della storia e rendersene conto. In quell’occasione per me fu così.
In maniera altrettanto brutale la notte del 3 luglio 1990, durante la semifinale mondiale Italia – Argentina, mi fece sorpassare la linea d’ombra tra due età ben distinte. Infilando il rigore che avrebbe condannato l’Italia Diego decretò la fine dell’infanzia e mi mise di fronte ad alcuni dei conflitti insanabili che avrei ritrovato solo in avanti nella mia vita futura. Io ero distrutto e Diego Armando Maradona festeggiava. Il mio più grande idolo di sempre era artefice del mio sconforto. Il trauma fu così grosso che finii per detestarlo, finché anni dopo completò la sua rivincita su di me e sul mondo piazzandola sotto al sette nella partita con la Grecia e urlando sotto la telecamera il fatto che era tornato. Era sempre il più grande e io lo avrei amato per sempre.
Venne cacciato per aver preso della roba che serviva a dimagrire, solo così fu possibile farlo fuori. Perché Diego Armando Maradona era più di un semplice calciatore e le sue vittorie avevano sempre un qualcosa di più epico rispetto alla semplice vittoria sportiva: lui faceva magie con il pallone e contemporaneamente vendicava il suo paese, sovvertiva le gerarchie, il sud del mondo tramite le sue giocate aveva la sua rivincita.
La genialità, la tecnica, la fantasia, i milioni di calci presi senza fare scenette particolari. Rotolava giù e si rialzava, mai una lamentela per un passaggio sbagliato del compagno. Ma quello che ancora oggi mi emoziona di più quando fanno rivedere sui vecchi filmati in televisione è che in quelle giocate io non vedo un professionista del calcio, vedo un ragazzino che gioca a pallone. Puro divertimento e amore per la palla. Il calcio giocato così è una di quelle cose per cui vale la pena vivere. Pochi giorni fa ti abbiamo fatto gli auguri per i tuoi 60 anni, oggi ci ritroviamo a salutarti per sempre.
Eri immenso e resterai il più grande di sempre. Grazie di tutto, senza di te la mia vita (e quella di tanti) sarebbe stata peggiore. (Stefano Greco)
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