Il primo turno delle amministrative di ottobre 2021 ci fornisce dei risultati significativi sia se guardiamo all’amministrazione delle grandi città sia se guardiamo alla quadro nazionale.
Dividiamo i due aspetti giusto per capire una serie di passaggi.
A livello di voto amministrativo si trattava di un primo turno di elezioni nelle città metropolitane più importanti (Roma, Milano, Torino, Napoli) alla vigilia di passaggi seri per quel tipo di amministrazione. Da una parte si tratta infatti di razionalizzare i bilanci, in un tipo di amministrazione locale che ha subito forti tagli negli ultimi dieci anni, dall’altra si tratta di preparare le condizioni per ricevere i fondi del Recovery (che ha comuni e città metropolitane come “piattaforma” privilegiata per questo genere di progetti pena commissariamento dei fondi). La presenza di personaggi come Gualtieri, ex ministro dell’economia, e Manfredi, ex ministro ed ex rettore della Federico II, e la conferma a candidato di Sala (già commissario Expo) andavano proprio nella dimensione di questo genere di problemi da risolvere. Ogni concezione del territorio, ogni conflitto tra interessi da risolvere, ogni impresa o cordata da accontentare per il centrosinistra deve passare dalla cruna di quel tipo di ago fatto di bilanci da consolidare e di preparazione alla ricezione dei fondi del PNRR. Va detto che la fortissima astensione, con punte record proprio in città metropolitane come Milano, questa volta ha favorito i cartelli elettorali fatti di cordate di tecnici assieme a qualche storico procacciatore di voti. Il centrodestra, in questo genere di partita (platea di pochi elettori e cordate di tecnici da proporre) non è riuscito a entrarci e sarà il risultato del secondo turno romano a dare a Meloni & C. la dimensione definitiva di questa tornata elettorale. Per il resto, come già accaduto, il M5S ha perso dove ha governato e, novità da non sottovalutare, ha vinto dove si è accorpato con il centrosinistra. Male le forze di sinistra in qualsiasi veste si siano presentate. Vedremo poi cosa cambierà nel governo delle metropoli nei prossimi anni e non saranno, comunque, questioni da poco.
A livello di equilibri politici nazionali è evidente che la maggioranza pro Draghi (qualsiasi forma assuma il futuro del presidente del consiglio) segna dei punti a favore. Sono rimaste sconfitte le forze, a diverso titolo, più ostiche a questo genere di assetto. Da una parte il progetto Conte deve ancora trovare tela da tessere, dall’altra Salvini risulta essere il vero sconfitto nella Lega, dall’altra ancora le vittorie di Napoli e di Bologna sono le più organiche a un assetto draghiano. Ma cosa è un assetto draghiano? Una grande governance privata con le forze politiche di contorno. Il grande centro verso quale l’Italia sta andando è questo. Sempre se nel 2023, per usare una frase di Raymond Aron, Cleopatra, cioè l’incidente nella storia, non ci mette il naso. Già perché le regionali dello scorso anno sembravano confermare un governo Conte e poi, come sappiamo, è accaduto qualcosa. Ma se le cose rimangono così il grande centro è pronto a estendersi su tutti i punti cardine della rappresentanza politica.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento