Il 55esimo Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese è stato presentato pubblicamente nella giornata di ieri. Secondo il Censis la società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze intrecciando continuamente realtà emerse e sommerse e di lungo periodo, particolari e generali.
Inevitabilmente il rapporto ha esaminato le conseguenze della pandemia di Covid sulla nostra società rivelando punti di vista presenti in essa fino a qualche mese fa presenti sottotraccia ma che hanno poi acquisito rilievo con le settimanali manifestazioni contro il green pass. Secondo il Censis questo ha rivelato quella che viene definita come la “società irrazionale”.
Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il Covid infatti non esiste e per il 10,9% il vaccino è inutile. C’è poi un 5,8% convinto che la Terra sia piatta e il 10% secondo cui l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna. Per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone. Secondo il Censis la spiegazione sta nelle aspettative soggettive tradite che hanno provocato la fuga nel pensiero magico.
E proprio a proposito di aspettative, il rapporto rileva che per l’81% degli italiani oggi è molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio. Insieme a questo c’è il rischio di un rimbalzo nella scarsità come fattori di freno alla ripresa economica e le incognite che pesano sulla ripresa dei consumi.
La realtà di fondo – secondo il Censis – è che accanto alla maggioranza sociale ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. “È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà”.
“Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone”.
Ma, secondo il rapporto, l’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società “non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde, seguendo una parabola che va dal rancore al sovranismo psichico, e che ora evolve diventando il gran rifiuto del discorso razionale, cioè degli strumenti con cui in passato abbiamo costruito il progresso e il nostro benessere: la scienza, la medicina, i farmaci, le innovazioni tecnologiche. Ciò dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali”.
Per il Censis è questo a creare un circolo vizioso basato su bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico, una diffusa insoddisfazione sociale e la ricusazione del paradigma razionale. La fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative soggettive insoddisfatte, pur essendo legittime in quanto alimentate dalle stesse promesse razionali. Infatti, l’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio.
Un altro dato interessante, e strettamente connesso a quello sopraindicato, è quello sulla debole alfabetizzazione del paese, dove un terzo dei lavoratori occupati possiede al massimo la licenza media. Si tratta di 6,5 milioni di persone con una età compresa tra 15 e i 64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare.
Ma non è l’età a dover ingannare. Anche tra i lavoratori più giovani (i quasi 5 milioni di occupati tra i 15 e i 34 anni) quasi un milione possiedono al massimo la licenza media (il 19,2% del totale), mentre sono 2.659.000 quelli che hanno un diploma (54,2%) e solo 1.304.000 sono laureati (26,6%).
Dunque, secondo il Censis, in Italia si rileva una occupazione povera di capitale umano, una disoccupazione che coinvolge anche un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati, tutti fattori che indeboliscono la motivazione a investire nel capitale umano.
E, aggiungiamo noi, se andiamo a vedere la struttura del PNRR proprio in materia di istruzione e formazione, questa scommessa sull’aumento del “capitale umano” appare debolissima in quanto investe solo sulla scuola per l’infanzia e la formazione tecnico-industriale.
Affrontare la sfida della digitalizzazione in presenza di sacche così rilevanti di analfabetismo funzionale, significa accentuare profondamente le già accresciute disuguaglianze sociali.
Non a caso nel rapporto del Censis emergono anche le crescenti preoccupazioni sulla situazione concreta delle famiglie.
Solo il 15,2% degli italiani ritiene infatti che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà.
La ricchezza privata complessiva in Italia rimane sempre intorno ai 9.939 miliardi di euro. Il patrimonio in beni reali ammonta a 6.100 miliardi (il 61,4% del totale), mentre depositi e strumenti finanziari valgono 4.806 miliardi (che al netto delle passività finanziarie, pari a 967 miliardi, corrispondono al 38,6% della ricchezza totale).
Ma, secondo i dati rilevati dal Censis, nell’ultimo decennio (2010-2020) la ricchezza privata degli italiani si è ridotta del 5,3% in termini reali, come esito della caduta del valore dei beni reali (-17,0%), non compensata dalla crescita delle attività finanziarie (+16,2%).
Gli ultimi dieci anni segnano quindi una netta discontinuità rispetto al passato: si è interrotta la corsa verso l’alto delle attività reali che proseguiva spedita dagli anni ’80. La riduzione del patrimonio, esito della diminuzione del reddito lordo delle famiglie (-3,8% in termini reali nel decennio), mostra come si sia indebolita la capacità degli italiani di formare nuova ricchezza.
Tutto questo riverbera sulle ambizioni alla ripresa economica. I rischi di natura socio-economica già palesatisi durante la pandemia con la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, il crollo dei consumi, la povertà diffusa, secondo il Censis vengono oggi rimpiazzati dalla paura di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all’improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce. Una su tutti la ripresa dell’inflazione e il rialzo dei prezzi.
Qui si palesano tutti i limiti di analisi come quelle del Censis, che assegnano eccessivo peso ai consumi come rivelatori del benessere sociale. Il rapporto segnala come il notevole recupero dei consumi delle famiglie nel secondo trimestre del 2021 rispetto al 2020 (+14,4% ) sia il prodotto dell’allentamento delle misure di contenimento del contagio.
Adesso si prevedono consumi in crescita del 5,2% su base annua, ma ritenuti al di sotto della crescita del Pil e quindi inadeguati a ricollocare il Paese sui livelli di spesa delle famiglie del 2019.
Relativamente a questo indicatore, il rapporto del Censis segnala come in Italia il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si sia progressivamente ridotto nel tempo, passando dal +3,9% degli anni ’70 al +2,5% degli anni ’80, al +1,7% degli anni ’90, fino alla stagnazione nei primi dieci anni del nuovo millennio dove si è attestato su un +0,2% e infine l’anno della pandemia ha trascinato in negativo la media decennale: al -1,2%.
Infine, secondo il rapporto, l’Italia deve fare i conti con “l’inverno demografico”. Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. Nel 2020 il numero di nati ogni 1.000 abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia dei 7 (6,8), il valore più basso di tutti i Paesi dell’Unione europea (media Ue: 9,1).
La popolazione complessiva diminuisce anno dopo anno: 906.146 persone in meno tra il 2015 e il 2020. Secondo gli scenari di previsione, la popolazione attiva (15-64 anni), pari oggi al 63,8% del totale, scenderà al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050.
Secondo un’indagine del Censis, effettuata poco prima della pandemia del 2020, il 33,1% dei capifamiglia con meno di 45 anni dichiarava l’intenzione di sposarsi o di convivere e il 29,8% aveva l’intenzione di fare un figlio. Ma soltanto il 26,5% ha continuato a progettare o ha effettivamente intrapreso un matrimonio o una convivenza stabile. In un caso su dieci il progetto originale è stato annullato.
La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).
Un quadro decisamente desolante quello rilevato dal Censis, ma perfettamente leggibile nella realtà. Il “riscatto sociale” non potrà basarsi sui parametri del “destino” a cui fino ad oggi governi, Confindustria, banche ed istituzioni europee hanno ingabbiato il nostro paese. Né a questo si riveleranno in alcun modo utili gli “uomini del destino” come Draghi.
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