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03/02/2022

Gli “infiltrati” di Lamorgese

Capita spesso che un ministro dell’interno sia chiamato a rispondere dei comportamenti delle truppe che comanda. E dunque capita altrettanto spesso che sia costretto ad arrampicarsi sugli specchi.

A Luciana Lamorgese, “tecnica” del mestiere elevata al massimo grado (è prefetto di carriera), l’arrampicata riesce sempre male. Comica, soprattutto.

Uno scivolone mostruoso le era già occorso in ottobre, quando – tra i fascisti che si dirigevano verso la sede della Cgil, per assaltarla sotto lo sguardo amorevole delle “forze dell’ordine” – i numerosi video avevano ripreso anche un poliziotto in borghese che faceva, con altri, oscillare un blindato con all’interno suoi colleghi in divisa.

Il ministro aveva provato a giustificarsi asserendo che “In realtà quell’operatore stava verificando anche la forza ondulatoria scaricata sul mezzo e che non riuscisse ad essere effettivamente concluso”. I social stanno ancora oggi rilasciando sghignazzi e lazzi...

Interrogata dal Parlamento sulla gragnuola di manganellate che in tutta Italia nei giorni scorsi la polizia ha scaricato sugli studenti in piazza per protestare per l’uccisione di Lorenzo, studente spedito al fronte dell’”alternanza scuola-lavoro”, Lamorgese è riuscita a fare di peggio. Ma senza far ridere nessuno, se non i suoi sottoposti.

“Deve essere sempre garantito il diritto di manifestare ed esprimere il disagio sociale, compreso quello dei tanti giovani e degli studenti che legittimamente intendono far sentire la loro voce”. Ma “purtroppo alcune manifestazioni sono state infiltrate da gruppi che cercavano disordini”.

Il suo sottosegretario leghista, Nicola Molteni, ha fatto anche di peggio negando che vi fossero state delle cariche.

Chiunque abbia vissuto in Italia negli ultimi 70 anni sa che nelle manifestazioni c’è un solo genere di infiltrati: i poliziotti in borghese. E sa anche che a volte stanno lì per provocare, altre per uccidere, non solo per “assistere”.

Oltretutto, l’evoluzione tecnologica consente a chiunque di fare riprese video in qualsiasi occasione, e dunque alcune decine di filmati sono stati anche in questa occasione messi in rete, trasmessi dalle tv di ogni ordine e grado, ecc.

E nemmeno per sbaglio, da tutte quelle immagini, si può equivocare sul fatto che i ragazzi di Torino, Roma, Napoli, ecc., erano tutti giovani studenti, assolutamente privi di qualsiasi “mezzo atto ad offendere”. Tutti i video mostrano le stesse scene: poliziotti che cominciano a manganellare senza alcuna ragione, per scelta deliberata.

L’unica incertezza che il ministro avrebbe dovuto invece diradare riguardava un altra domanda: quelle cariche, avvenute in diverse città, erano state ordinate da lei o da membri del suo staff, oppure erano “iniziative assunte individualmente” dai vari responsabili di piazza locali?

Insomma: era stata una decisione del governo o una “sfortunata coincidenza” che più reparti tenessero lo stesso comportamento in più località?

Il ministro ha evidentemente ragionato da prefetto, insomma da poliziotto, non da “politico”. E quindi ha preferito buttare la colpa su “infiltrati sconosciuti” (la prossima volta dirà “sono stati gli anarchici”?).

È qualcosa di più di un pessimo segnale. Questo governo – come quelli che l’hanno preceduto – sa di non avere nulla da offrire ai giovani e ai settori sociali più in sofferenza. E ricorre all’unico strumento che ancora controlla: il manganello.

Ma ammetterlo sarebbe “politicamente brutto”. Dunque mente. Spudoratamente, anche davanti all’evidenza dei filmati.

Domani gli studenti saranno di nuovo in piazza. Più numerosi, perché un potere così ottuso e violento non può che ampliare la dimensione del dissenso.

Il ministro tenga i suoi uomini a freno. O si dimetta.

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