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06/02/2022

Italia - L’allarme stavolta è sia sulla produzione che sui consumi

Questa volta l’allarme arriva a “tiro incrociato” tra i padroni attivi nella produzione e nella distribuzione. Per entrambi l'aumento dell’inflazione e il calo dei consumi possono rivelarsi letali.

L’inflazione in crescita, soprattutto per i rincari di energia e materie prime, può mettere a rischio la risalita del Pil nel 2022. L’allarme è stato lanciato in sincronia dai centri studi della Confindustria e di Confcommercio, dunque dalle organizzazioni padronali che si occupano di produrre e distribuire beni e prodotti.

A gennaio, rileva l’indagine del Centro Studi di Confindustria, si registra un forte calo della produzione industriale (-1,3%), che segue la flessione dello 0,7% in dicembre. Con queste stime nel quarto trimestre del 2021 si registrerebbe un aumento di appena lo 0,5% sul terzo, con una variazione acquisita nel primo trimestre 2022 di -1,1%.

La contrazione, si afferma, è dovuta al caro-energia e al rincaro delle altre commodity (materie prime, ndr) che “comprimono i margini delle imprese e, in diversi casi, stanno rendendo non più conveniente produrre“. In particolare viene calcolato un aumento del 450% dell’elettricità a dicembre 2021 rispetto a gennaio dello stesso anno.

“A questo – sottolinea il CSC – si sommano le persistenti strozzature lungo le catene globali del valore. Tale dinamica mette a serio rischio il percorso di risalita del Pil avviato lo scorso anno“.

“Il perdurante incremento dei prezzi delle commodity ha contribuito a erodere i margini delle imprese, penalizzando l’attività industriale. Secondo gli ultimi dati Pmi del settore manifatturiero, l’indicatore, pur confermando un quadro espansivo per il diciannovesimo mese consecutivo, registra un rallentamento a gennaio, dato peggiore in 12 mesi, a causa della persistenza di interruzioni sulle catene di approvvigionamento“.

“L’inversione di tendenza della dinamica dell’attività industriale è coerente con l’andamento dei principali indicatori congiunturali che negli ultimi mesi hanno segnalato un’attenuazione della favorevole performance economica. L’affievolirsi della fiducia delle imprese manifatturiere, in particolare il calo delle attese produttive – spiega il CSC – riflette principalmente l’acuirsi degli ostacoli alla produzione che, nel quarto trimestre, hanno penalizzato enormemente l’attività economica.”

La dinamica della produzione industriale – spiega il CSC – riflette le tensioni parzialmente emerse anche per i nostri partner (produzione tedesca scesa a novembre di -0,1%, quella francese -0,2% a dicembre).

Ma anche la Confcommercio, come Confindustria annuncia una revisione delle stime del Pil del 2022 abbassandole al +3,5/3,7% rispetto al +4% previsto precedentemente. A pesare è la “differente previsione delle tensioni inflazionistiche – ha affermato il direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio Mariano Bella – “nelle prossime settimane noi faremo il nostro prossimo quadro e dovremmo essere intorno al 3,5 e 3,7% per quanto riguarda il prodotto interno lordo nel 2022”.

“Se le cose dovessero andare male vorrebbe dire che dopo gli impulsi pandemici e post pandemici dell’attività economica si tornerebbe a una crescita di ‘zero virgola’ – ha aggiunto Bella – non solo, ci torniamo con 30 punti di rapporto debito-Pil in più. Questa è una eredità che nessuna persona ragionevole vorrebbe lasciare e che certamente la next generation non vorrebbe accettare“.

La diagnosi di Confindustria e Confcommercio in qualche modo mette il dito nella piaga della contraddizione che governo e istituzioni europee si rifiutano di vedere: la debolezza della domanda interna, già denunciata da metà delle imprese italiane come fattore principale, e il voler mantenere dominante la logica liberista/mercantilista che continua ad affidare alle esportazioni il successo o meno di un modello di sviluppo.

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