Bellocchio scrive “il romanzo del potere DC“, disegna “il ritratto di un interno di Regime” in una “introspezione del mondo democristiano abbastanza riuscita“, mentre non comprende il brigatismo, raccontato come “una nevrosi” e vissuto come “una ingiustificata eresia del comunismo“.
Così l’ex Br Paolo Persichetti, autore di libri e inchieste sul caso Moro, commenta all’Adnkronos “Esterno notte“, la serie di Marco Bellocchio che sta andando in onda su Rai 1 (stasera la seconda puntata e il 17 l’ultima).
“La scelta iniziale di mostrare cosa sarebbe stato il piano Victor con Moro rinchiuso in una clinica che riceve la visita dei maggiorenti democristiani, Andreotti, Cossiga e Zaccagnini, e la voce fuoricampo che legge il brano contro la DC mi è sembrata una scelta autoriale molto azzeccata – osserva Persichetti – Non è funambolica e sognatrice come il Moro che passeggia libero di ‘Buongiorno, notte’ ma intrisa di verità storica. Quel piano era stato predisposto e quelle parole Moro le ha scritte per davvero“.
L’ex Br è colpito anche dalla scena in cui Cossiga conversa con il professor Ferracuti, membro di spicco del comitato di crisi che al Viminale gestì la strategia del governo sul sequestro.
“Bellocchio fa mostra di una perfidia sottile – sottolinea – nella scena Ferracuti spiega che alla notizia del sequestro i nevrotici esultano diversamente da paranoici e psicopatici. Se stiamo a queste categorie aggiungerei che gli psicopatici erano i fautori della linea della fermezza e i paranoici i complottisti“.
Persichetti, da vero e proprio esegeta del caso Moro, di cui ha provato a ricostruire la dinamica in anni e anni di ricerche, riconosce nella fiction “alcune imprecisioni di dettaglio“.
Per esempio, spiega, “non è vera la descrizione del primo controllo di polizia in via Gradoli. Non era una ispezione di massa ma un controllo discreto, una verifica alla porta: i Br non erano in casa e mai seppero di quell’episodio altrimenti avrebbero subito smobilitato la base“.
L’ex brigatista contesta anche “qualche sorvolo di troppo sulla figura di Berlinguer, poco approfondita, e del PCI in generale il cui ruolo fu decisivo per osteggiare la liberazione di Moro in quei 55 giorni“.
Anzi, sottolinea, “sarebbe ora che si raccontasse quello che loro si dicevano nelle riunioni di Direzione, e la reazione brutale davanti alla scelta di Moro di cambiare la lista dei ministri del nuovo governo cancellando i tre indicati dal PCI“.
Al di là di queste osservazioni, tuttavia, “il giudizio su queste due prime puntate non è negativo – dice – Bisogna vedere il resto, anche se già si comprende che il racconto del movimento del '77, delle BR e delle figure militanti in generale resta sullo sfondo, fatto di figure caricaturali, sfocate, mai sapientemente approfondite.
Non si capisce perché Moro viene rapito, chi erano i brigatisti, da dove venivano, come e perché sono arrivati a tanto? Il problema sta nella poca curiosità di Bellocchio, disattenzione e pregiudizio forse legati alle incrostazioni del suo passato dottrinario di militante maoista che percepiva le Brigate rosse come una ingiustificata eresia del comunismo“.
E poi, aggiunge, “le frequentazioni con Fagioli lo portano a categorizzare il brigatismo come una nevrosi“.
“Al contrario i ritratti dei politici DC sono efficaci, veritieri e penetranti sia nella dimensione politica che in quella personale e privata, molto triste. Una introspezione del mondo democristiano abbastanza riuscita. Fin qui è un romanzo del potere DC, ritratto di un interno di Regime“, sottolinea ancora Persichetti.
Che annota: “Micidiale la frase rivolta al PCI messa in bocca a Cossiga dopo l’arrivo della lettera che Moro gli aveva indirizzato: ‘Loro gli stanno già facendo il funerale e noi li seguiamo con i ceri accesi’. Che poi è il riassunto di quello che accadde nei 55 giorni“.
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