Roma, 2 mar. (askanews) – “Continueremo a sostenere l’Ucraina con ogni mezzo necessario ma Olaf (Scholz) ha ragione, questo non significa e non comprende l’invio di truppe di terra e questo deve essere chiaro”. Lo ha detto la segretaria PD Elly Schlein parlando al congresso del PSE. “Al contempo, sappiamo che il ruolo dell’UE non può fermarsi qui e abbiamo il compito storico di fare tutto il possibile per isolare la Russia con un ruolo più forte dell’Europa a livello diplomatico e per aiutare gli ucraini a ottenere la loro pace alle loro condizioni”, ha aggiunto.
Queste le dichiarazioni della segretaria del PD all’iniziativa romana dei socialisti europei dedicata alle prossime elezioni al parlamento di Strasburgo. In sede di politica nazionale le dichiarazioni sono state vendute come un impegno pacifista a non mandare truppe in Ucraina. In realtà si tratta di un vero passaporto alla concezione tedesca della guerra proxy che prevede l’allargamento dell’industria bellica, dell’export di armi tedesche verso Kiev e l’impiego di indigeni sul campo anche attraverso misure forti di costrizione alla leva. Questa concezione prevede, piuttosto che un vero esercito europeo (tra l’altro operazione complessa da realizzare tanto da apparire solo futuribile) un esercito tedesco prevalente sugli altri del nostro continente che si coordina con loro. Non a caso quindi alla concezione della guerra per procura si contrappone quella francese, quella dell’intervento diretto in Ucraina, che oltre a essere così pericolosa da sembrare più una boutade che una strategia, rivela una differenza reale di interessi in Europa sia sulla guerra che sull’industria militare. Il dettaglio che penderebbe dalla parte dei francesi è però quello piccolo chiamato realtà, ovvero se la guerra in Ucraina è la Stalingrado dell’Europa ci si deve rendere conto, come segnalano diversi analisti militari (anche sul New York Times) non solo che gli ucraini stanno perdendo la guerra ma anche che non sono più in grado di approntare le difese necessarie per i territori rimasti.
Le posizioni della Schlein in appoggio a Scholz sono quindi doppiamente inaccettabili sul piano pacifista e su quello interventista. Su quello del “cessate il fuoco” rappresentano un sostegno alla guerra proxy che è inaccettabile assieme alle politiche di riarmo che contengono. Su quello dello scontro con la Russia rappresentano ancora una mancata presa d’atto della fase drammatica che si è aperta per gli occidentali dopo le ultime sconfitte di Kiev. Certo, aziende come Rheinmetall, che ha alzato profitti stellari dall’inizio della guerra in Ucraina, come del resto fece durante il riarmo propedeutico alle due guerre mondiali, e Rheinmetall Italia di fronte a questa intesa Schlein-Scholz non possono che essere contente ma, anche qui, guardare alle cose come stanno non fa male. La Schlein ha affermato che l’Ue ha il “compito storico di isolare la Russia” e, a parte che non ci ricordiamo dove e quando sia stato scritto questo compito, giova ricordare come, dall’esclusione della Russia dal G8, si sono prodotte solo guerre e una separazione in blocchi tra occidente e BRICS, composto da economie forti e dal 48 per cento del pianeta, che, così continuando si candida a riprodurre nuove diseguaglianze e nuovi disastri.
Negli stessi giorni sia Schlein che la stampa progressista parlano di campo largo ovvero una sovrapposizione di cartelli elettorali progressisti composta in modo tale da battere il centrodestra alle prossime elezioni. Il campo largo dovrebbe definirsi attorno a una serie di proposte spot (salario minimo, sanità, scuola, transizione ecologica etc.) di per sé non certo inaccettabili come principi ma che, in una concezione da priorità della guerra permanente, sono destinati a rimanere tali, scalzati dalla primato del conflitto con la Russia. Anche perché l’Europa non ha risorse per monetizzare il sociale in modo da anestetizzarlo dagli effetti del conflitto, lo dimostrano le dichiarazioni di Draghi sulla mancanza di risorse per gli investimenti in UE.
In una situazione grave come quella che stiamo vivendo il campo largo si configura quindi come una alleanza elettorale, dai principi minimi e senza indirizzo strategico, destinata a doversi adattare a istanze strategiche che non governa e non contribuisce a definire, semplicemente accompagnando il declino italiano imboccato da anni. Ad adattarsi oppure a esplodere come fece il governo Prodi che, nel 2007, di fronte alla crisi finanziaria globale che sfociò in Lehman Brothers, fece varare una finanziaria recessiva che, dopo pochi mesi, mandò in pezzi la maggioranza. Non sarà facile per il centrosinistra, chiamiamolo così, sfuggire a uno dei due sentieri che, al momento, sembrano obbligati. Sempre che il governo Meloni, che ha mostrato una certa resilienza, non riesca a sfuggire alle trappole che ha davanti.
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