Duemila azioni di protesta, dai sit-in pacifici agli scioperi (pensiamo a
quelli di Port Said e del Delta del Nilo) sino alle manifestazioni
cairote e ai durissimi scontri mortali con l’uso di armi da parte di
polizia e manifestanti, come ad Al-Ittihadiya durante l’assedio di
dicembre al Palazzo presidenziale.
Il polso sociale dell’Egitto 2012 è riassunto in un
documento del Centro Egiziano per i Diritti Sociali ed Economici diffuso
in queste ore. Il 36% delle proteste hanno richiesto aumenti salariali e
si sono sviluppate con cinque tranche di scioperi lunghi, mentre 380
azioni erano animate da disoccupati che reclamavano lavoro. Invece in
111 casi si additavano corruzione e carenze operative di manager. Non
tutto è buio nel resoconto degli attivisti egiziani del lavoro che hanno
vinto alcune battaglie come quella per la rinazionalizzazione di alcune
compagnie private (Omar Effend, Assiut Cement, Tanta Flax and Oil
Company, Nile Ginning Cotton Company) seppure il rovescio della medaglia
riguarda l’applicazione di tali sentenze rimaste spesso inevase. Quella
relativa alla Tanta Flax ha visto un diretto intervento del governo
nella persona del premier Qandil ma non si è tuttora sbloccata. Il
malcontento sociale non si placa e anche quest’anno le cifre sono già
altissime.
Una statistica del Development Centre, ennesima organizzazione dei
diritti, conteggia una quarantina di proteste giornaliere riferite ad
altrettante categorie sociali. Gran parte dei rinnovati scioperi sono
rivolti a carovita e aumento del prezzo del carburante mentre negli
ultimi due anni i temi sociali (bassi salari, mal funzionamento dei
servizi come quello sanitario e dei trasporti) s’alternavano alle più
note questioni politiche sullo strapotere della Fratellanza Musulmana,
la contestata Carta Costituzionale e la contrapposizione fra partititi
laici e blocco islamico. Ovviamente l’alto livello d’insoddisfazione che
alimenta le contestazioni è direttamente correlato alle enormi
aspettative introdotte dalla ‘Rivoluzione del 25 gennaio’ cui non sono
seguiti sensibili trasformazioni nella quotidianità. Le iniezioni di
capitali per rilanciare investimenti economici, dai famosi prestiti del
Fmi ad altri finanziamenti targati Usa, petromonarchie (ultimamente è in
ballo un accordo col Qatar per 3 miliardi di dollari), Turchia e Iran
hanno continuamente oscillato sul filo della concessione in cambio di
contropartite, d’interesse monetario o geopolitico. L’amministrazione
Mursi sta disattendendo troppe questioni e la sua supremazia elettorale non
è più così scontata. Forse per questo la data delle consultazioni
continua a slittare.
Fonte
Bisogna riconoscerlo, tanto di cappello alla popolazione egiziana.
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