Nel voto di ieri gli elettori islandesi hanno punito i partiti di
centrosinistra e premiato quelli di centrodestra. Mandando un chiaro
messaggio: contro l’adesione all’UE, l’adozione dell’euro e l’austerity.
Come ampiamente previsto dai sondaggi dei giorni scorsi,
l'opposizione di centrodestra - composta dai liberali del Partito
progressista (19 seggi, 24,4%) e dai conservatori del Partito
dell'Indipendenza (19 deputati, 26,7%) - si è assicurata una maggioranza
di 38 dei 63 seggi totali del parlamento, stando ai risultati quasi
definitivi delle elezioni parlamentari celebrate ieri in Islanda. Il
voto ha premiato i due partiti di centrodestra, che insieme ottengono
circa il 51% dei consensi, e ha pesantemente punito l'Alleanza
socialdemocratica (9 seggi, 12,9%) ed il Movimento Sinistra-Verde (7
deputati, 10,9%), partner nella coalizione di governo uscente, che
perdono circa la metà dei rappresentanti all’Althing (così si chiama la
camera di Reykjavik).
L'esecutivo uscente, guidato dalla premier
Johanna Sigurdardottir , era salito al potere nel 2009 dopo il
fallimento delle grandi banche del paese. Colpa, senza dubbio, della
gestione dei partiti di centrodestra allora al governo, caratterizzata
da una mancanza assoluta di controlli e dalla subordinazione delle
politiche dell’esecutivo agli interessi dei grandi gruppi bancari e
finanziari locali ed esteri. Socialdemocratici e verdi hanno rifiutato
il pagamento del debito accumulato dal sistema finanziario locale nei
confronti delle banche inglese e olandesi, il che ha scatenato un
conflitto internazionale non ancora estinto salvando però il paese dalla
bancarotta e i suoi cittadini da un salasso superiore a quello comunque
subito. Ma il centrosinistra islandese non ha mai fatto mistero della
propria volontà di traghettare il piccolo paese all’interno dell’Unione
Europea, a tappe forzate. I dati sulla disoccupazione – sotto al 5% – e
sulla crescita – più 1,6% nel 2012 – farebbero invidia a qualsiasi altro
paese del continente. Ma l’opinione pubblica non ha gradito le misure
di austerity imposte dalla settantenne primo ministro ai cittadini
dell’isola, in vista di un ingresso all’interno dell’UE, e dettate dal
Fondo Monetario Internazionale in cambio di un prestito di 1,6 miliardi
di euro tra il 2008 e il 2011. Inoltre un terzo degli abitanti
dell'isola affermano di non essere in grado di poter far fronte a spese
impreviste, anche di soli 1.000 euro.
E quindi,
malgrado i successi conseguiti dal governo uscente nella riduzione della
disoccupazione e nelle misure per far fronte alla crisi del settore
bancario, gli elettori hanno preferito il messaggio centrale della
campagna elettorale del centrodestra, che ha promesso più crescita e
meno austerità. E soprattutto ha affermato di voler rallentare o
addirittura di riconsiderare l’adesione dell’Islanda ad una Unione
Europea sempre più invisa all’opinione pubblica del paese. Che non ne
vuole proprio sapere di rinunciare alla sua moneta per adottare l’Euro.
Inoltre, in una situazione in cui le famiglie sono sempre più indebitate
e le statistiche ufficiali che parlano di un nucleo su dieci in ritardo
nei pagamenti dei mutui per la casa o nei rimborsi di prestiti
immobiliari, il centrodestra ha promesso un alleggerimento del peso dei
mutui, riportando i parametri di riferimento ai livelli 2008.
Oltre ai quattro partiti maggiori, altre undici formazioni politiche si
presentavano alla tornata elettorale di ieri. Di queste undici due –
entrambi di recente formazione – sono riuscite a superare lo sbarramento
del 4% e ad entrare quindi nel nuovo Althing. Futuro Luminoso
(formazione centrista) che con l’8,2% dovrebbe ottenere sei seggi e il
Partito Pirata che avrebbe preso tre seggi col 5,1% dei voti, togliendo
consensi ai partiti di centrosinistra.
L'incarico di
premier andrà al leader del partito conservatore, il 43enne Bjarni
Benediktsson. Che ha già affermato che ritirerà la richiesta di adesione
all’UE presentata dalla premier sconfitta. E anche che non ha nessuna
intenzione di sottoporre all’approvazione del parlamento la bozza di
nuova Costituzione scritta ed emendata da migliaia di cittadini dopo il
crollo delle tre principali banche del paese. D’altronde non lo aveva
fatto neanche la leader del governo di centrosinistra, non rispettando
gli impegni presi e facendo perdere così numerosi voti ai due partiti
che la sostenevano.
Fonte
Anche in Islanda si sa cosa si vuole, ma non si ha la minima idea di come ottenerlo, a dimostrazione che lo scollamento tra società e politica non è affatto una questione tutta italiana.
Nessun commento:
Posta un commento