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23/04/2013

Il male di vivere

L’appartamento in ordine. Pochi metri quadri non di più. Basta qualche secondo e la normalità si trasforma in tragedia. Nella stanza due letti affiancati. Sopra due corpi. I volti coperti da sacchetti di plastica. Accanto due bombole di elio con i tubi collegati. A terra una boccetta di Valium vuota. Sul tavolino due lettere firmate. La morte arriva così, lieve, ma inesorabile. Arriva e spezza la rifinita quotidianità di piazza Nicolò Tommaseo, cuore della Milano bene, palazzi con intonaci color pastello, balconi ordinati di fiori e giù in strada un bel giardino con piccoli alberi e il palazzo dell’esclusivo istituto Marcelline.

La storia inizia così e subito squaderna protagonisti e comparse. I due morti: ragazzi di poco più di trent’anni. I parenti, tanti, sbigottiti, senza parole, pieni di lacrime, che attendono i rilievi della scientifica e l’arrivo del carro funebre. Osservano senza quasi respirare. Vedono gente in tuta gialla che solleva i corpi chiusi dentro sacchi blu. Poi, resta solamente l’attesa e il dolore di cui si ha paura perché si sa che ti travolgerà, ma non si immagina come.

In questo spicchio di città, la scena scorre dentro a una pioggia battente. I parenti da un lato, i cronisti dall’altro. Divisi da tutto. Ma uniti nel tentativo di capire perché Guido S. e Fabio B. - entrambi classe ’80 – si sono suicidati. Assieme, percorrendo gli ultimi istanti della loro giovane vita. Di domenica sera, verso mezzanotte. E dopo aver passato il pomeriggio allo stadio festeggiando la vittoria della loro Inter.

Ore normali, dunque, che poi precipitano dentro a un abisso. Nel chiuso di un piccolo appartamento al piano ammazzato. Il palazzo sta sulla sinistra. Palazzo di lunghi balconi. Palazzo di famiglia, quella di Guido. Famiglia della Milano benestante. Qui Guido ci veniva ogni due settimane. Arrivava da Londra dove lui, laureato in ingegneria, aveva trovato un impiego alla General Electrics. A Milano ritornava sempre per vedere gli amici, ma soprattutto la sua bambina, avuta durante una relazione liceale. Amore acerbo, e mai sbocciato. Niente matrimonio, ma con la ex i rapporti sono rimasti ottimi. Guido divideva così la sua vita: da un lato la bambina, dall’altro quel lavoro regolare e ben pagato. Lavoro che Guido però mal sopportava. La polizia lo capirà in serata e dopo aver verbalizzato le parole dei parenti. Male di vivere. Ecco il detonatore silenzioso. Depressione, forse. L’incapacità di Guido di reggere al destino di figlio di papà. Ribelle, ma a modo suo. Incapace, forse, di accettare una esistenza incasellata.

Al suo fianco, nella morte, Fabio. Amico da tempo. Insoddisfatto anche lui per il lavoro. Il lavoro che però, nel suo caso, mancava da troppo tempo. Sì perché Fabio, residente a Cornaredo, una vita regolare la cercava, la voleva. E invece ogni tentativo finiva male. Niente soldi. Ma soprattutto la rabbia per il futuro di quel figlio avuto da una donna mai sposata. Un figlio di appena due anni, cui Fabio voleva donare una vita differente. Solida e sicura.

Eccolo allora, il motivo. Il lavoro, nient’altro. Il lavoro che, pur non mancando, paradossalmente, rischia di azzopparti come quando manca del tutto. Destini differenti, quelli di Guido e Fabio, ma uniti nella fine. Il nastro così torna indietro di poche ore. Questa mattina la mamma di Guido, anche lei residente in piazza Tommaseo, chiama il figlio, ma il telefono suona a vuoto. Si preoccupa. Mica per nulla, Guido deve ripartire per Londra. Scende al piano ammezzato. Suona senza risposta. La chiave non gira. La porta è chiusa dall’interno. I pompieri arriveranno verso le 12 e 45. Pochi istanti per forzare la porta. Ancora meno per trovare i corpi senza vita. Doppio suicidio. L’ipotesi diventa subito una certezza. Altri scenari vengono esclusi. Non si tratta di omicidio-suicidio. Sulla scena tutto parla di normalità. L’appartamento è in ordine. Mancano segni di violenza. Non c’è droga né bottiglie di alcolici. Niente sballo in questa storia. Gli agenti, invece, troveranno il Valium. Boccetta vuota. E mille pensieri per decifrare quel gesto. In tutto premeditato, a partire dalle bombole di elio. In casa gli agenti non hanno trovato scontrini. Le bombole però hanno un numero si serie, utili per risalire al venditore e riannodare le ultime ore di Guido e Fabio.

E poi ci sono quelle due lettere. Entrambe scritte da Fabio. Una per i genitori. Dentro le scuse per quello che, forse, aveva già deciso di fare da molto tempo. Scuse e rimpianti, rabbia anche, per quel lavoro inafferrabile, quasi impossibile. Un’altra lettera, invece, straziante,  indirizzata al figlio di appena due anni. Poche parole incise più che scritte. “Tu – scrive Fabio – manco ti ricorderai di me”. Niente parole per Guido. Niente lettere o pensieri. Solo quel gesto, lento, calibrato, silenzioso. Lo stesso silenzio che ora si respira qui in piazza Tommaseo, dopo che le volanti sono ripartite, assieme ai corpi e ai parenti. L’ultimo frammento lo scatto di un fotografo a una bellissima piazza di Milano. Bellissima ma svuotata.

Fonte

Anche questa è crisi, che trascende la dimensione economica deflagrando sui piedi d'argilla di una concezione sociale che consuma l'essere umano fornendo contropartite sempre più risicate ed effimere.  

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