Il discorso di Napolitano, il presidenzialismo di fatto, lo strappo
costituzionale, un nuovo governo come quello precedente. Un altro giro
di giostra mentre l'emergenza sociale del paese e il tallone di ferro
della Troika peggiorano il tutto.
Lo strappo è stato fatto. Ormai il paese sta navigando nei mari della Terza Repubblica presidenzialista, per ora solo de facto,
ma tutto lascia supporre che diverrà regola in un prossimo futuro. Come
siamo arrivati a questo punto lo hanno raccontato, molto a modo loro,
tutti i mass media omettendo le cause di fondo che hanno generato la
situazione ed il percorso politico-istituzionale che ha portato a
compiere una operazione politica presente nella “mente di Giove” già da
tempo. La “profetica” e incompresa a suo tempo costituzione del gruppo
dei saggi sul programma sta li a dimostrarlo.
La
svolta è stata data dall’esito elettorale inatteso nella sua equanimità
delle percentuali tra le forze politiche, insomma si è creata una
situazione di stallo che si è protratta per circa due mesi. Potremmo
anche noi dare giudizi su questo o quel responsabile ed esponente
politico ma questa impostazione giornalistica e gossippara non solo non
ci convince ma è dannosa per chi vuole capire le effettive dinamiche. Va
perciò fatto un ragionamento più di fondo e su un arco temporale che va
oltre quello solamente postelettorale.
L’ESITO ELETTORALE
Innanzitutto
il risultato delle politiche ha fatto venire a galla la disgregazione
sociale prodotta dalla costruzione della Unione Europea. Questa analisi
l’abbiamo già fatta subito dopo le elezioni in modo dettagliato ma è
utile adesso riassumerla brevemente. I quattro raggruppamenti presenti
in parlamento rappresentano parti della società che vivono condizioni
diverse e non conciliabili tra loro, almeno nella loro percezione della
realtà. Ad esempio l’evasore fiscale, piccolo o grande che sia, con il
lavoratore dipendente, oppure il giovane precario senza prospettive che
diviene antagonista di chi ha un lavoro stabile; potremmo continuare con
molti esempi di questa incompatibilità percepita dalle “masse” ma ci
fermiamo qui.
Sul piano politico se l’affermazione
di Grillo è stato il dato più eclatante quello più significativo è
stato il risultato di Monti che ha esplicitamente rappresentato la
grande borghesia industriale e finanziaria attestandosi su un miserabile
10%. Per la prima volta, infatti, la classe storicamente egemone nel
nostro paese è arrivata nuda alla meta, ovvero non è stata capace di
produrre un blocco sociale a suo sostegno così come lo è stata con la
Democrazia Cristiana per oltre cinquanta anni o in modo diverso
nell’ultimo ventennio con Berlusconi e il centro sinistra.
Se
questo è il dato sociale che sta alla base della ingovernabilità
prodottasi dopo le elezioni è evidente che la tenuta del sistema e della
prospettiva europea non può che passare dentro riforme istituzionali a
carattere autoritario, ovvero inserire il presidenzialismo per ora solo
implicito nelle riforme da mettere in campo.
Si è
molto parlato della inadeguatezza dei gruppi dirigenti dei partiti,
soprattutto del PD, della sorpresa elettorale e della chiamata di
Napolitano al suo secondo mandato sulla base della emergenza relativa
allo stallo istituzionale determinatosi con l'elezione della presidenza
della repubblica. L’informazione istillata giorno per giorno, minuto
per minuto, momento per momento oscura la dinamica reale delle vicende e
le fa apparire come il prodotto continuo della contingenza. Mai come in
questo caso una tale chiave di lettura è sbagliata e diffusa in mala
fede.
Per capire cosa è accaduto bisogna infatti
risalire alla doppia crisi di Berlusconi avuta nel 2010 e nel 2011. In
quelle occasioni Napolitano non ha voluto prendere atto della crisi di
quel governo e della legislatura e nel 2011 si è letteralmente rifiutato
di andare alle elezioni nonostante mancasse poco più di un anno alla
loro scadenza naturale. Lo ha fatto in nome dell’ “interesse generale”
definizione questa da tenere bene a mente nella individuazione delle
cause che hanno determinato la situazione presente.
LA GOVERNABILITA’ INGOVERNABILE DEL PRESIDENTE
Le
elezioni sono state così evitate, è stato varato il governo Monti con
il ricatto dello spread e sono state avviate politiche da macelleria
sociale. Anche qui potremmo ricordare gli infiniti esempi di questa
macelleria, dagli esodati ai tagli ai servizi sociali come la sanità
divenuta il tesoretto da depredare per sostenere il supposto debito
pubblico. Insomma per l’interesse generale e per la difesa della
prospettiva europea Monti ha prodotto recessione e disoccupazione,
disperazione e sbandamento. In sintesi la politica di Napolitano e Monti
non ha prodotto nessuna capacità di sintesi ed egemonia nella società,
ha distrutto ogni solidarietà sociale, non ha ridistribuito nulla e non
ha praticato alcuna equità come ci avevano raccontato all’inizio. Anche
la gestione del governo su altre questioni, come ad esempio la giustizia
ed il conflitto di interessi, è stata inadeguata, assente e oggetto del
conflitto tra le diverse forze politiche.
La cosa
che non quadra è perché il presidente, spacciato come cultore della
stabilità, ha impedito di andare alle elezioni nel novembre del 2011
quando era chiaro che la crisi di Berlusconi, responsabile in buona
parte di quella situazione, avrebbe permesso una vittoria pressoché
schiacciante del PD che non avrebbe modificato le sue politiche
europeiste ma avrebbe certamente garantito la tanto agognata
governabilità con una maggioranza parlamentare effettiva. Altre cose
sono accadute sul piano politico nei mesi successivi in relazione
soprattutto al PD di Bersani che è stato sottoposto ad un pressing
politico e mediatico potente del quale la vicenda MPS, esplosa in piena
campagna elettorale, ne è l’esempio più evidente ed oscuro vista la
tempistica della vicenda. Sulle vicende relative al PD non andiamo oltre
perché l’analisi da fare è più complessa di come viene rappresentata,
cioè limitata alle solo responsabilità di un gruppo dirigente incapace, e
per questo è utile ai fini del presente ragionamento rinviare ad un
altro momento questo aspetto.
L’esito di questo
percorso sponsorizzato da Napolitano lo conosciamo tutti ed è relativo
alla crisi del governo Monti nel dicembre scorso ed al risultato
elettorale che ha certificato una società piegata su se stessa in una
difficoltà che non potrà che peggiorare, viste le politiche europee e la
situazione economica internazionale. In sintesi fallimento su tutta la
linea e ingovernabilità come prodotto diretto di questo fallimento.
CHI E’ IL MANDANTE DI QUESTO FALLIMENTO?
Se
evitiamo di metterci gli occhiali di Mentana, direttore del TG della 7,
e di seguire la spicciola cronaca politica, non possiamo non pensare
che le dinamiche manifestatesi negli ultimi due anni avessero una linea
di fondo su cui procedere, cioè una strategia. Un elemento di questa strategia è palese in quanto tutti sanno che, nonostante le nostre crisi
politiche, esiste un governo di ultima istanza che è l’Unione Europea.
Questo ce lo ha ricordato Draghi nei mesi passati citando il “pilota
automatico” e ce lo ricordano i numerosi trattati firmati che
garantiscono i meccanismi economici continentali ovvero i profitti dei
poteri finanziari. Lo stesso Napolitano nel discorso alle camere ha
ricordato che il ruolo del nostro paese è determinato dal contesto
internazionale e dall'Unione Europea, istituzione di cui facciamo
parte.
Ma c’è un altro elemento impalpabile che ha
contribuito a determinare lo stato di cose presente, è un elemento
ideologico che appartiene a Napolitano ma che ha pesato nella storia del
nostro paese. Questa è la devastante ideologia dell’ “Interesse
Generale” che, nelle forme attuali, ha origine dalla politica del PCI
degli anni ’70. Nella storia del movimento operaio e comunista
rappresentare l’interesse generale ha significato fin dai suoi esordi
che il Proletariato per emancipare se stesso emancipava tutte le altre
classi sociali, rappresentando così l’interesse generale dell’umanità.
Questa funzione storica poteva concretizzarsi tramite la lotta di
classe, il conflitto, contro la borghesia ed il superamento di questa e
del suo modo di produzione era interesse di tutte le classi subalterne.
Naturalmente
non vogliamo qui fare una disquisizione teorica ma mettere in evidenza
che questa concezione subì con il PCI negli anni ’70 una modifica di
contenuto sebbene mantenesse la sua forma “classica”. La linea del
Compromesso Storico avviata da Berlinguer dal ’73 che implicava
l’accordo con la DC ha riutilizzato il concetto di Interesse Generale
non più come conflitto tra le classi, ed in particolare contro la
borghesia del nostro paese organica al progetto democristiano ed
americano, ma come accordo tra tutte le forze nazionali per superare le
difficoltà comuni. Certo il contesto era tale per cui si capivano i
motivi della distorsione teorica fatta dal PCI in funzione della propria
linea di compromesso. Infatti il livello delle contraddizioni e del
conflitto nel paese era tale, tra la Classe Operaia (con le iniziali
maiuscole), nella società e tra i giovani che l’incontro con la DC
dell’epoca, la peggiore DC dal 1948, richiedeva una motivazione
ideologica forte, convincente e radicata nella storia dei comunisti.
Questa
non è una nostra arbitraria deduzione ma lo stesso Napolitano in queste
settimane non casualmente ha fatto riferimento al governo di unità
nazionale del 1976 che per lui rimane ancora oggi un modello di gestione
della società nei momenti supposti critici. Poi come è finita quella
storia lo sappiamo tutti. Dalla fine del governo di unità nazionale e
dalla sconfitta elettorale del PCI del ’79 emerse l’ormai dimenticato
governo del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) che ci accompagnò per tutti
gli anni ’80. Governo che attuò le politiche più antioperaie mai
praticate prima (ci fu la fine della scala mobile sui salari) e che ci
portò direttamente a Tangentopoli negli anni ’90 ed all’attuale seconda
repubblica.
E ADESSO?
Altro
giro altra corsa, come dicono ai Luna Park. Ci eravamo lasciati con un
governo tecnico sostenuto dal PDL e PD ed ora ci ritroviamo con un
governo del presidente sostenuto anche questo dal PDL e PD. Le elezioni
sembravano aver cambiato tutto ma invece pare non abbiano cambiato
nulla. Il voto espresso a febbraio aveva avuto un carattere antieuropeo
con i voti dati a Grillo, a Berlusconi ed alla Lega e ci ritroviamo in
un esecutivo europeista, insomma si conferma il carattere gattopardesco
delle nostre classi dirigenti. Noi stessi che avevamo dichiarato in
anticipo che le elezioni di quest’anno sarebbero state le più inutili
della storia repubblicana ci sentivamo smentiti dai risultati, ma
bisogna aspettare sempre gli esiti finali. E’ arrivata, infatti, la
smentita alla smentita.
Il giuramento fatto da
Napolitano il 22 aprile ha avuto un tono certamente minaccioso, ha
criticato duramente le forze politiche per non aver fatto il loro dovere
e implicitamente ha detto che la politica dei sacrifici va condotta
fino in fondo attuando anche quelle riforme istituzionali che
impediscano le reazioni sociali, sia che vengano dalla rete che dalla
piazza. Su questo è stato molto chiaro nell’ammonimento fatto verso gli
“eversivi” del momento ovvero i deputati del M5S. Clima che Grillo ha
capito molto bene visto che ha deciso in anticipo di abbassare i toni e
di non dire più parolacce.
Ma il discorso è stato
anche ridicolo, in quanto la montagna ha partorito il topolino
riproponendo un governo di unità nazionale in continuità con quello di
Monti. Insomma se è fallito il primo perché non dovrebbe esserci lo
stesso esito visto che le forze in campo sono le stesse? E’ su questo
terreno e contraddizione che il movimento di classe e anticapitalista si
deve collocare per riuscire ad essere all’altezza della situazione
ancora più drammatica che si prospetta ai lavoratori italiani.
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