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29/04/2013

Friuli, M5s e Pd

Molti avevano pensato che lo sbocco delle elezioni presidenziali avrebbe fatto come prima vittima la Serracchiani e si aspettavano un tracollo del Pd con un simmetrico successo del M5s. Poi, la Serracchiani ha vinto, il Pd ha avuto una perdita percentualmente contenuta e il M5s è crollato. Morale: il Pd si è rinfrancato, godendo dello scampato pericolo, ed i M5s ha negato di aver subito una sconfitta. Ma lasciamo perdere le percentuali e vediamo i dati assoluti, così ci capiamo qualcosa in più, anche perché, con una flessione di 20 punti sulla partecipazione al voto, rispetto a due mesi fa, il raffronto percentuale falsa molto il giudizio.

E partiamo da un dato: in questa occasione non si sono presentati né Rivoluzione Civile (15.046 voti a febbraio) né, soprattutto la Lista Monti-Udc-Fli (92.813 voti), per cui c’erano 107.859 voti “in libertà”. E’ realistico supporre che gran parte di questi elettori abbiano ingrossato le fila dei nuovi astenuti (circa 250.000), ma è altrettanto ragionevole pensare che una parte di essi abbia votato per un altro partito; in particolare è probabile che i montiani si siano divisi fra astenuti, Pdl e Pd o liste fiancheggiatrici dei due, mentre quelli di Rc si siano divisi fra astenuti e Pd ed alleati (Idv in particolare). Non avendo a disposizione i dati sezione per sezione, ipotizziamo cautamente un 10% di voti montiani (circa 10.000) a Pd ed altrettanti al Pdl, lasciando da parte le liste di fiancheggiamento, ed ipotizziamo un 20% di Rc (3.000 circa) al Pd ed all’Idv (che si presentava da sola ed ha preso 4.006 voti). La Lega ha preso 33.050 voti perdendone circa 15.000.

Il Pd a febbraio ha preso 178.149 voti, il Pdl 134.450. Concentriamoci sul Pd: considerando un possibile apporto di circa 12.000 voti dai montiani e da Rc, si deduce che ha avuto una flessione di circa 83.000 voti, cioè il 40% del proprio elettorato di partenza. Vero è che c’era una lista civica in appoggio alla Serracchiani che ha preso 21.169 voti, ma, pur ipotizzando che tutti i voti di questa lista vengano dal Pd e che non un solo voto dei montiani sia andato allo stesso Pd (ipotesi estreme che non stanno in piedi) la perdita secca del Pd è di circa 50.000 voti, cioè il 27,9% della base elettorale di partenza, più di un quarto. Se poi percentualmente la perdita è molto meno percepibile, questo dipende dall’alto numero di astenuti. Bisogna poi tener presente che nelle elezioni amministrative, non pesano solo le questioni nazionali, ma anche i problemi squisitamente locali, il voto di preferenza per i candidati ecc. che ne alterano il comportamento rispetto al voto “politico”, e questo, storicamente, è ancor più vero nelle regioni a statuto speciale dove il peso del localismo è maggiore. Al posto dei dirigenti del Pd non starei facendo tanta festa. Comunque, fra qualche settimana vedremo come va a Roma.

Passiamo al M5s che subiste un tracollo vistosissimo in percentuale, ma soprattutto in cifre assolute: da 196.218 voti di febbraio a 54.952 di domenica scorsa = -141.266, cioè -71,99% della base elettorale di partenza, nonostante l’assenza di Rivoluzione Civile e la flessione del Pd, dalla quale sarebbe dovuto venire qualcosa. La prima spiegazione del tracollo l’ha data lo stesso M5s: il diverso comportamento dell’elettorato che premia il M5s nelle politiche, ma è molto più avaro nelle amministrative.

Verissimo, come dimostra il caso di Lombardia, Lazio e Molise il 27 febbraio scorso dove, nella stessa giornata, il M5s prendeva da un quarto ad un terzo di voti in meno nel voto per la regione. E si capisce anche il motivo: il punto di forza del M5s è Grillo e la sua immagine nazionale, mentre il suo quadro locale è piuttosto scadente, per cui l’elettore non è invogliato a votare per un perfetto sconosciuto (il che, peraltro, segnala un punto debole del movimento che non è capace né di emanciparsi dalla figura “paterna” di Grillo né di tesaurizzare i consensi ai vari livelli).

Però, questo non basta a spiegare una flessione del 72% del proprio elettorato. Pur concedendo che a febbraio la coincidenza con le politiche aveva tirato la volata anche sulle regionali e che, in questo caso, una parte degli elettori non è andata a votare per stanchezza (è normale quando c’è un turno elettorale cosi ravvicinato), una flessione di queste proporzioni non si spiega solo così.

Ragionevolmente è da mettere in conto una prima decantazione del calderone di consenso messo insieme a febbraio da Grillo (lo abbiamo detto più volte). In questo caso è possibile che ad allontanarsi sia stata la frangia di elettorato meno orientata alla pura protesta e più in cerca di una alternativa. Non è un mistero, credo, che una parte dell’elettorato del M5s non abbia gradito il modo con cui Grillo ha gestito la prima fase della crisi di governo ed i sondaggi (per quel che valgono) già segnalavano questa dinamica. Certo, nel suo blog ci saranno stati molti troll e provocatori vari, ma è del tutto credibile che una parte dei messaggi di dissenso fossero autenticamente di elettori M5s con il mal si pancia.

Aver fatto finta di nulla ha aggravato la situazione ed ora non solo la “marcia trionfale” sembra interrotta, ma, quel che è peggio, dal M5s si allontana la parte più politicizzata mentre resta quella più “fondamentalista”, il che non lascia presagire una evoluzione positiva. Se Grillo non riuscirà a correggere in tempo la tendenza potrebbe avere brutte sorprese alle europee. E’ vero che, con ogni probabilità, l’eventuale governo Letta si rivelerà peggiore dei precedenti, ma non è affatto detto che questo si trasformi automaticamente in consensi al M5s. Nonostante la pessima prestazione del Pd gli elettori, a caldo, hanno preferito astenersi piuttosto che votare M5s, e questo potrebbe accadere anche fra un anno.

Anche i grillini credo abbiano molto su cui meditare.
Adesso appuntamento a Roma fra poche settimane e vediamo che tendenze si profilano.

Ha ragione “L’Espresso”: la politica italiana non si divide più in destra e sinistra ma fra vecchi e giovani. I vecchi fanno schifo, i giovani fanno pietà.

Aldo Giannuli

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