Viene
da sé che Enrico Letta, e quanto lui le potenti forze che gli stanno
dietro, nel perpetuarsi degli effetti del miracolo Monti ci crede. Con
coerenza personale e di rappresentazione di interessi. Resta da
domandarsi a cosa creda l'elettorato di centrosinistra che lo ha votato,
assieme all'intero gruppo dirigente Pd, per contrastare il ritorno di
Berlusconi. Letta ha due stelle polari nella sua ipotesi di
governabilità, al netto dell'appoggio a Mediaset e a Berlusconi per
sistemare una serie di questioni giudiziarie e di fatturato televisivo.
La
prima si chiama lavoro e, non c'è da dubitarlo, è una stella polare che
porta a leggi Ichino style già “consigliate” nei mesi precedenti da
Bruxelles. Il lavoro, tema su cui l'anguillesco comportamento di Bersani
non aveva certo contribuito a fare chiarezza, secondo questa visione
non è altro che salario da comprimere per recuperare margini di
competitività.
La seconda stella
polare si chiama allentamento dei vincoli di bilancio per, secondo il
pensiero prevalente, rilanciare l'economia. Su questo non si sa se Letta
dà troppa fiducia alle dichiarazioni di Barroso, sulla necessità di
allentamento dei vincoli, o sottovaluta quelle di Angela Merkel. Già, perché nel giorno del Napolitano pride sceneggiato a camere e media
unificati Angela Merkel a Bruxelles non ha fatto dichiarazioni
routinarie. Letteralmente fatta sparire dai media italiani tra cori
sulla disponibilità al sacrificio di Napolitano, simili peraltro a
quelli su Benedetto XVI, Angela Merkel ha chiamato i paesi dell'eurozona
ad una ulteriore cessione di sovranità (teorizzata dallo stesso
Napolitano in un sottovalutato discorso a Bruges).
Cosa
significhi questo discorso lo ha detto chiaramente il Wall Street
Journal: quando la Germania vuol affermare una nuova fase di egemonia
sugli altri paesi del continente usa il pretesto della richiesta di
cessione di sovranità di tutti i paesi dell'eurozona. E all'interno di
questa richiesta, basta leggere i giornali tedeschi che contano, non è
previsto alcun allentamento dei vincoli del patto di stabilità per i
paesi mediterranei e tanto meno per l'Italia. D'altronde perché farlo?
Dalla vigilia della crisi, anno 2006, il dispositivo di governance
dell'eurozona ha fatto scomparire dall'Italia oltre 450 miliardi di euro
di capitali mentre la Germania ne ha attirati, sempre in eurozona,
oltre 500. Si può anche credere che tutto questo sia dovuto
all'inefficienza nazionale, alla corruzione etc. Ma sull'equità di una
governance dei capitali che fa affluire le risorse dalla periferia al
centro del continente è lecito nutrire più di un dubbio. Comunque sono
cifre denunciate dal Sole 24 ore, questo per capire le difficoltà di
Letta che vanno ben oltre le necessità di sopravvivenza del Pd e di
Berlusconi: mediare tra le esigenze di Confindustria italiana e di
quella tedesca, nonché delle banche della Rft, in un contesto dove
quest'ultima vampirizza le risorse della prima.
Per
far questo a Enrico Letta, anche dal punto di vista strettamente
capitalistico, servirebbe un miracolo. Nonostante la prevedibile visita a
papa Francesco I, in caso di formazione del governo, è evidente che
stavolta la divina provvidenza non ci metterà le mani. La situazione
dell'eurozona è tale per cui a Enrico Letta non resta che, per
sopravvivere politicamente, affidarsi alle astuzie e alle sottigliezze
della natura umana. Doti che, allo zio Gianni e dalle parti di palazzo
Chigi, non mancano di certo. Sempre se il governo Letta in qualche modo
riesce a partire.
redazione
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