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19/04/2013

Siria, Washington ci ripensa: "No a netta vittoria ribelli"...per ora

Mentre si discute ancora dell'intervista televisiva concessa ieri sera da Bashar Assad - nella quale il presidente siriano ha parlato di guerra ad oltranza «fino alla vittoria» e fatto capire che intende ricandidarsi nel 2014 - da Washington arrivano segnali di inquietudine verso la composizione dell'ampio fronte armato che in Siria combatte contro il regime. Almeno questo è ciò che riferisce il Wall Street Journal.

Secondo il giornale conservatore americano, gli Stati Uniti non vogliono ora una netta vittoria dei ribelli siriani perché, come detto da un funzionario dell'amministrazione Obama, «i buoni» potrebbero non essere in prima fila. Washington temerebbe la crescente forza nelle file dell'opposizione siriana degli islamisti legati ad al Qaida. La Casa Bianca, aggiunge il giornale, sarebbe pronta a fornire aiuti "non letali" solo ai ribelli "moderati" e a limitare l'influenza dei jihadisti.

«Vogliamo la caduta di Assad subito ma un rovesciamento totale delle istituzioni dal giorno alla notte non ha molto senso - ha detto al Wall Street Journal un anonimo funzionario Usa - è richiesta una calibratura molto attenta che non inclini il metro, senza volere, verso un gruppo che possa portare alla Siria del dopo-Assad che non vogliamo». I piani Usa per il dopo-Assad prevederebbero una transizione politica "ordinata" che tuteli gli interessi occidentali. Washington perciò non vuole che i ribelli rovescino le istituzioni, temendo una balcanizzazione della Sira, che minaccerebbe poi i Paesi vicini alleati degli Usa: Turchia, Giordania e Iraq.

Il Segretario di Stato John Kerry, prosegue il giornale, è convinto che Assad possa ancora essere persuaso a rinunciare al potere ma solo se gli Stati Uniti riusciranno a convincerlo dell'impossibilità di una vittoria militare.

Un forte invito alla «prudenza» è stato lanciato anche dal premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha messo in guardia dall'invio di armi ai ribelli siriani da parte della comunità internazionale. Non solo, ha affermato un presunto diritto di Israele di bloccare forniture di armamenti che potrebbero essere utilizzati contro lo Stato ebraico. Armi che, ha spiegato Netanyahu potrebbero cadere nelle «mani sbagliate». «Ci sono armi anti-aeree, chimiche e altre molto, molto pericolose che potrebbero modificare le carte in tavola», ha sottolineato il premier israeliano, riferendosi ad una possibile «minaccia terroristica».

Dallo scoppio della guerra civile siriana, Israele segue attentamente la linea del cessate il fuoco sulle alture del Golan, nel timore che militanti islamisti, che lottano con i ribelli siriani, possano sferrare attacchi anche contro lo Stato ebraico.

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