Mentre si discute ancora dell'intervista televisiva concessa ieri sera
da Bashar Assad - nella quale il presidente siriano ha parlato di guerra
ad oltranza «fino alla vittoria» e fatto capire che intende
ricandidarsi nel 2014 - da Washington arrivano segnali di inquietudine
verso la composizione dell'ampio fronte armato che in Siria combatte
contro il regime. Almeno questo è ciò che riferisce il Wall Street
Journal.
Secondo il giornale conservatore americano, gli Stati Uniti non
vogliono ora una netta vittoria dei ribelli siriani perché, come detto
da un funzionario dell'amministrazione Obama, «i buoni» potrebbero non
essere in prima fila. Washington temerebbe la crescente forza nelle file
dell'opposizione siriana degli islamisti legati ad al Qaida. La Casa
Bianca, aggiunge il giornale, sarebbe pronta a fornire aiuti "non letali"
solo ai ribelli "moderati" e a limitare l'influenza dei jihadisti.
«Vogliamo la caduta di Assad subito ma un rovesciamento totale delle
istituzioni dal giorno alla notte non ha molto senso - ha detto al Wall
Street Journal un anonimo funzionario Usa - è richiesta una calibratura
molto attenta che non inclini il metro, senza volere, verso un gruppo
che possa portare alla Siria del dopo-Assad che non vogliamo». I piani
Usa per il dopo-Assad prevederebbero una transizione politica "ordinata"
che tuteli gli interessi occidentali. Washington perciò non vuole che i
ribelli rovescino le istituzioni, temendo una balcanizzazione della
Sira, che minaccerebbe poi i Paesi vicini alleati degli Usa: Turchia,
Giordania e Iraq.
Il Segretario di Stato John Kerry, prosegue il giornale, è convinto
che Assad possa ancora essere persuaso a rinunciare al potere ma solo
se gli Stati Uniti riusciranno a convincerlo dell'impossibilità di una
vittoria militare.
Un forte invito alla «prudenza» è stato lanciato anche dal premier
israeliano Benjamin Netanyahu che ha messo in guardia dall'invio di armi
ai ribelli siriani da parte della comunità internazionale. Non solo, ha
affermato un presunto diritto di Israele di bloccare forniture di
armamenti che potrebbero essere utilizzati contro lo Stato ebraico. Armi
che, ha spiegato Netanyahu potrebbero cadere nelle «mani sbagliate».
«Ci sono armi anti-aeree, chimiche e altre molto, molto pericolose che
potrebbero modificare le carte in tavola», ha sottolineato il premier
israeliano, riferendosi ad una possibile «minaccia terroristica».
Dallo scoppio della guerra civile siriana, Israele segue attentamente
la linea del cessate il fuoco sulle alture del Golan, nel timore che
militanti islamisti, che lottano con i ribelli siriani, possano sferrare
attacchi anche contro lo Stato ebraico.
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