La "crisi della politica" italiana è ora squadernata davanti agli occhi
di tutti. E' finita l'epoca del "meno peggio" e degli assemblaggi senza
un'idea o un progetto di società.
La bocciatura anche di Romano Prodi costituisce il punto di non
ritorno dell'implosione di un partito mai nato, senza anima, senza progetto e senza idee. Un puro assemblaggio di correnti, interessi
diversi, ambizioni personali, ma incapace di trovare una "quadra"
purchessia.
I "grandi elettori" del Pd avevano votato all'unanimità -
nella loro riunione interna - il nome del due volte ex premier, l'unico
che avesse "battuto due volte Berlusconi" alle elezioni. Niente da
fare: oltre 100 di questi figuri ignobili ha votato, nel segreto
dell'urna, in modo diverso. Gente che non ha la dignità di dire come la
pensa davvero nemmeno in una riunione tra complici, figuriamoci quanto
possano essere attendibili le loro dichiarazioni in pubblico, in tv.
Quel
che a noi sembra doveroso sottolineare è che "l'unico partito rimasto"
sulla scena italiana era diventato anche l'unico luogo dove le diverse
soluzioni per far fronte alla crisi si trovavano a confronto armato. Ne
Pd ci sono infatti gli euroliberisti duri alla Renzi (gli stessi che
seguivano Ichino prima della sua trasmigrazione con Monti), i
fiancheggiatori della Cgil (altra organizzazione che deve prepararsi
all'esplosione interna), i terminali delle cooperative tosco-emiliane,
gli "amministrativisti" che hanno rinunciato a ogni visione di medio
periodo e si accontentano di sopravvivere alla giornata, ecc.
Gente
che oscilla dunque tra la tentazione di "spazzare via" i residui di
pre-modernità capitalistica (gli interessi rappresentati dal blocco
sociale berlusconiano) e "il realismo" del compromesso con quegli stessi
interessi; gente che si candida a tradurre in leggi le indicazioni
della Troika e altra che vorrebbe "ridiscuterne" alcuni termini, gente
che vorrebbe "moralizzare la vita pubblica" e altra che si è fin troppo
assestata in quello stile di vita che "er Batman" ha portato agli onori
delle cronache.
Questo melmoso insieme non ha progetto né nocchiero.
Alla fin fine riusciranno anche a trovare un nome per la presidenza
della Repubblica che ce la faccia a raggiungere i 504 voti necessari, ma
l'orizzonte del Pd finisce qui. Dopo ci sarà qualcos'altro,
necessariamente.
Questa constatazione ha però una conseguenza
ancora più interessante, ai nostri occhi. Rappresenta infatti la fine di
ogni "contiguità" possibile tra "progressismi" di differente tonalità, e
quindi anche la fine del "menopeggismo" come strategia politica.
Vediamo di chiarire.
Da
quando sono "morte le ideologie" (un'ideologia come le altre, ma
vincente sul piano dell'ordinario "buon senso") a sinistra si è scelto
un comportamento politico presuntamente "realista" per cui - in caso di
elezioni, quindi una volta ogni due o tre anni - ci si aggregava o
divideva in base ad accordi tra forze politiche teoricamente "abbastanza
vicine" da poter essere accostate in un "cartello elettorale". Il
principio guida era un altro presupposto senza fondamento: che un
partito "progressista" (ce ne sono stati di ogni sfumatura possibile)
fosse - per quanto differente - comunque "meno peggio" di uno centrista o
addirittura di destra.
La cosa sembrava sensata (nessuno poteva
intrupparsi dietro un Berlusconi, naturalmente), ma implicava una
rinuncia preliminare alle proprie posizioni politiche. La vicenda di
Rifondazione Comunista nelle varie tornate elettorali (con Ulivo e
senza, con l'Arcobaleno o con Ingroia) ci sembra sufficientemente
esplicativa.
Il "bipolarismo coatto convergente al centro", imposto
da leggi elettorali pensate a tavolino per raggiungere questo fine, ha
certamente reso "ovvio" un comportamento politico talmente suicida che -
alla fine, cioè ora - costringe tanta gente a scervellarsi se la
soluzione "meno peggio" possa essere Bersani o Renzi, Vendola o Grillo,
Prodi o Pirimpelli... Senza più rendersi neppure conto che tutti questi
"nomi" rappresentano pseudo-soluzioni, stracci agitati davanti ad occhi
resi furenti per il costo della crisi che ci stanno facendo pagare. Non
stiamo dicendo che gli scontri interni al questo sottomondo politico
siano "finti", una semplice recita per i telespettatori. Anzi, questi
scontri esistono e sono tanto più violenti - e ingovernabili - quanto
più manca una "logica generale" (l'"interesse generale del paese" sempre
evocato nelle dichiarazioni pubbliche). Uno scontro tra bande per
assumere il ruolo più "remunerativo" possibile. Ma, chiunque vinca,
eseguirà fedelmente gli ordini che vengono dalla Ue e dintorni. Stiamo
dicendo dunque che si tratta di scontri sull'inessenziale, non sulla
direzione da imprimere al paese.
Significa che non ci sono più
"apparentamenti" possibili tra forze alternative al sistema e
"progressisti" interni al sistema. Esiste infatti una discriminante che
va diventando giorno dopo giorno una faglia tettonica: il rapporto con
questa Unione Europea e le sue indicazioni di politica economica.
Muoversi
all'interno del panorama politico presente significa accettarne i
confini, quelli disegnati dalla Troika. Muoversi in autonomia - sociale e
politica - significa all'opposto costruire il movimento politico di massa
capace di spazzar via questa melma e dar vita a un modello di società
che consenta a tutti di vivere dignitosamente. Con qualche picco di
ricchezza in meno, ma senza abissi di disperazione quali quelli che
cominciamo a vedere ogni giorno.
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