L'unica alternativa a una nuova manovra e a nuovi tagli è la rinegoziazione delle soglie sul deficit con Bruxelles. Ma serve un esecutivo stabile guidato da personalità riconosciute a livello europeo. Che comunque non potranno abbassare la pressione fiscale
Altro che stop all’Imu, diminuzione delle tasse e cancellazione del punto in più di Iva
che scatterà a luglio. Nessuno di questi risultati – puntualmente
elencati da chi chiede ai partiti di fare in fretta – potrà essere
raggiunto da un eventuale nuovo esecutivo. Perché la strada economica è
stretta e tutta in salita. Eppure sul percorso che dovrà compiere un
ipotetico nuovo governo – di qualsiasi natura e colore – non ci sono
dubbi, pena la discesa del Paese in una depressione ancora più acuta dell’attuale.
Il primo scoglio che si dovrà affrontare è l’eredità lasciata dal Documento di Economia e Finanza (Def) presentato tre giorni fa dal governo uscente. Che, a giudizio di Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, “contiene un’amarissima sorpresa”, perché “il governo Monti
lascia manovre da fare per 1,4 punti percentuali del Pil all’anno a
partire dal 2015″ e non dice nulla sull’assenza di risorse per il
cosiddetto “quadro esigenziale”, e cioè le spese non iscritte a bilancio
ma di fatto inevitabili: dalla cassa integrazione in deroga ai contratti precari in scadenza nelle pubbliche amministrazioni, dalle missioni militari
all’estero alla ricostruzione delle zone terremotate fino alla
manutenzione di strade e ferrovie e al 55% per le ristrutturazioni
eco-sostenibili. Interventi che “sono stati lasciati scoperti dalla
legge di bilancio approvata a dicembre scorso”. E guarda caso, a
conferma del ‘sospetto’ di Fassina, il Corriere della Sera ieri
ha parlato del rischio di una nuova manovra economica aggiuntiva da 6/8
miliardi di euro proprio a causa di una serie di spese non rinviabili.
Una patata bollente che passerà direttamente nelle mani del prossimo presidente del consiglio incaricato, con poche o nessuna alternativa, considerati i vincoli imposti dal fiscal compact europeo:
un percorso a marce forzate che sembra non ammettere eccezioni e che,
allo stato attuale, per il nostro Paese assomiglia molto di più a una
valle di lacrime, dato che la coperta è cortissima, anzi, inesistente.
L’atteso sblocco dei 40 miliardi di euro che le pubbliche amministrazioni
devono alle imprese farà aumentare lo stock di debito per lo stesso
ammontare, visto che l’operazione sarà finanziata con l’emissione di
nuovi titoli di stato. Come conseguenza – a detta del ministro dell’economia Grilli
– “il rapporto debito-Pil aumenterà fino a tre punti nei prossimi due
anni”. Il deficit previsto per il 2013 dovrebbe salire al 2,9% del Pil
(contro il 2,4% che si era previsto a politiche invariate): appena un
decimo di punto inferiore alla soglia magica del 3% prevista da Maastricht (e ora resa più severa dal fiscal compact).
Ma sull’Italia pende anche la procedura di infrazione per deficit eccessivo avviata dalla Commissione europea nel 2009. Uscirne prima di maggio è indispensabile se si vogliono sbloccare i 40 miliardi per le imprese. Per farlo, il 22 aprile i dati di Eurostat
dovrebbero confermare che il deficit italiano nel 2012 si è fermato al
2,9%, con previsioni di deficit – da parte della Commissione Europea –
sotto il 3% per i prossimi due anni. Se il rapporto deficit/pil guiderà le scelte di politica economica dei prossimi mesi, il macigno del debito pubblico
rischia di diventare una vera e propria bomba ad orologeria per i
prossimi anni. Nel 2012, con il debito italiano al 127% del Pil, l’Ecofin
aveva chiesto al governo di “riportare il rapporto debito/Pil su una
traiettoria in discesa entro il 2013″, ma l’impegno – almeno per il 2013
– sarà disatteso, visto che le previsioni del tesoro parlano ormai di
un 130,4% per l’anno in corso. Su questo tema, in effetti, lo stesso
ministro Grilli ha preferito non esprimersi, osservando – come riporta Reuters – che “per fortuna” la regola più stringente del fiscal compact riguardo al rapporto debito/pil scatta solo dal 2015.
In
un quadro del genere sembra inevitabile che il prossimo governo si
trovi intrappolato in una camicia di forza con margini di manovra
limitatissimi. E il 2013 rischia di trasformarsi in un nuovo annus horribilis
dal punto di vista fiscale. Dall’aumento di un punto dell’aliquota
ordinaria dell’Iva (dal 21% al 22%), che dovrebbe scattare a luglio,
alla maggiorazione prevista dalla Tares (la nuova tassa
sui rifiuti), che a dicembre potrebbe aggiungersi al saldo dell’Imu,
all’Irpef e all’Ires creando un vero e proprio ingorgo fiscale.
Su Iva e Tares si sono già scagliati gli strali dei partiti, ma grandi
alternative non se ne vedono, a meno che, come ha dichiarato Grilli, non
si trovi la volontà politica di approvare “una strategia economica di
medio periodo” per trovare nuove risorse.
Magari a partire da una nuova manovra, a saldi invariati, che preveda nuovi tagli che il governo entrante dovrebbe avere il coraggio politico di orientare anche su spese che si stanno dimostrando sempre più inutili, come il contestato programma per l’acquisto dei cacciabombardieri F35 o il progetto TAV.
Ciò che sembra però sempre più urgente, se si vuole evitare una
catastrofe sociale, è l’apertura di nuove negoziazioni con l’Unione
Europea per permettere all’Italia di sforare – almeno temporaneamente –
le soglie previste per il deficit pubblico. Per farlo sarebbe necessario
un governo stabile, che non parta già azzoppato da veri o presunti
limiti temporali o maggioranze appese al filo dei ricatti incrociati e
sia guidato – nella migliore delle ipotesi – da personalità riconosciute
a livello europeo. Una prospettiva che, all’attuale stato delle cose,
sembra avere pochissime probabilità di realizzarsi.
Fonte
S'inizia timidamente a dire che al netto di tutte le inefficienze italiane, la sostanza del problema odierno è la struttura europea. meglio tardi che mai, ora vediamo se sarà necessaria un'altra era geologica per leggere sulla stampa soluzioni lungimiranti e di sinistra ai problemi riscontrati.
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