Ieri la corte costituzionale ha dato ragione al governo sulla
legittimità della legge 231, la cosiddetta ‘salva-Ilva’. Uno schiaffo ai
magistrati che avevano ordinato il sequestro degli impianti e ai
cittadini di Taranto che muoiono di diossina.
La Corte Costituzionale salva la legge “salva-Ilva”.
Giudicando in parte inammissibili e in parte non fondati i dubbi di
legittimità costituzionale sollevati dal Gip e dal Tribunale di Taranto
sul provvedimento del governo Monti, la Consulta conferma che l'impianto
del decreto ad hoc convertito poi in legge a fine 2012, è aderente alla
costituzione e respinge nella sostanza le tesi dei magistrati - secondo
cui ben 17 articoli della Carta erano stati violati - dando invece
ragione all’esecutivo. ''Le sentenze della Corte si rispettano e non si
commentano'', afferma il procuratore di Taranto, Franco Sebastio. "La
decisione impegna tutti a proseguire con rigore e rapidità nel
risanamento ambientale" commenta invece il ministro dell'Ambiente
Corrado Clini, mentre Bonelli dei Verdi si dice "addolorato e angosciato
per il futuro dei cittadini di Taranto". "Basta scontri tra poteri
dello Stato, rilanciare l'Ilva senza esitazioni" è il cinico appello
della Cisl. Il Gruppo Riva, che ora in forza della decisione della Corte
dovrebbe vedere dissequestrate tonnellate di acciaio e riprendere a
pieno ritmo la produzione, ha annunciato per questa mattina una
conferenza stampa. Secondo i giudici costituzionali quella legge - che
ha definito l'Ilva priorità strategica nazionale, le ha consentito di
continuare a produrre e vendere nonostante i sequestri dell'autorità
giudiziaria - non sarebbe incostituzionale. In quanto non influirebbe
sull'accertamento delle responsabilità derivanti dall'inosservanza
dell'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale, che è un atto
amministrativo per il quale sono possibili ''gli ordinari rimedi
giurisdizionali previsti dall'ordinamento''. Ma soprattutto perché non
incide ''sull'accertamento delle responsabilità nell'ambito del
procedimento penale'' in corso a Taranto, sentenzia la Consulta,
smontando così le denunce dei magistrati locali che invece avevano
insistito sul fatto che il legislatore avesse calpestato i poteri dei
giudici, annullando, in concreto, i provvedimenti di sequestro
preventivo, prima dell'area a caldo e poi dell'acciaio prodotto. Luisa
Torchia, legale del gruppo siderurgico della famiglia Riva, ha sostenuto
che ''la norma non garantisce alcuna immunità all'azienda'': in altre
parole, nessuna legge 'adIlvam'.
Non era d’accordo Sergio Torsella,
l’avvocato che difende Angelo, Vincenzo e Vittorio Fornaro, titolari di
un'azienda agricola che ha dovuto abbattere centinaia di capi di
bestiame che brucavano erba contaminata dalla diossina prodotta dal
mostro siderurgico. ''A Taranto - ha sottolineato il legale - abbiamo 30
morti all'anno: non si possono subordinare agli interessi di produzione
due morti al mese: così non è tutelata non solo la salute, ma la
vita''.
L'udienza si è svolta a pochi giorni dal referendum
sull'Ilva indetto a Taranto per domenica prossima e mentre nell'aula
della Consulta si discuteva il caso, di fronte a Montecitorio un gruppo
di cittadini di Taranto manifestava con un sit-in.
''Nessuno
scoraggiamento, vinceremo comunque, anche senza la Corte
Costituzionale'' hanno detto dopo la lettura della sentenza Fabio
Matacchiera, presidente Fondo Antidiossina Taranto e Alessandro
Marescotti, presidente di PeaceLink, associazione ambientalista della
città jonica. ''Il procedimento penale della Procura va comunque avanti
per accertare tutte le responsabilità del disastro ambientale'', hanno
spiegato i due. ''Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a
essere la città da scarificare. La decisione della Corte Costituzionale
non riporterà in vita un'azienda che è ormai in uno stato di crisi
irreversibile. Basti pensare che non ha neppure definito il piano
industriale degli investimenti per l'Aia. L'azienda, come dimostrano
svariate analisi economiche, non ha le risorse per rinascere ed è ormai
alle corde. Quindi la decisione della Corte Costituzionale di fatto non
salva l'Ilva perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare
efficacemente l'Aia". "Sappiamo che la Corte Costituzionale – hanno
spiegato Marescotti e Matacchiera, - è composta da 15 membri. Cinque
giudici sono nominati dal Parlamento, cinque dal Presidente della
Repubblica e cinque dalle supreme magistrature. Era ipotizzabile che vi
potesse essere una conclusione di questo tipo. Ciò nonostante andava
percorsa questa strada. Era un obbligo morale. Nulla doveva rimanere
intentato. Il pronunciamento della Corte Costituzionale è doloroso per
noi''.
Ma restano in piedi le mobilitazioni già programmate e
il referendum di domenica prossima. "Il 14 aprile andremo a votare sì
al referendum e dimostreremo che la maggioranza dei tarantini non vuole
più vivere nel terrore di ammalarsi e vuole un futuro diverso. Anche la
Corte Costituzionale ha 'salvato' la legge, il futuro è nero per i
lavoratori, che non andranno mai in pensione con questa azienda. Per
loro va preparata un'alternativa prima che sia troppo tardi. E vanno
avviate le bonifiche impegnando l'azienda a concorrere al risanamento
ambientale prima del fallimento, come è avvenuto per la Caffaro di
Brescia, lasciando il territorio nello stato attuale". "Chi si concentra
sull'immediato - avvertono Matacchiera e Marescotti - non riesce a
vedere questa prospettiva. Sappiamo che nel quartiere Tamburi vi è un
inquinamento da piombo ed è necessaria la bonifica, sappiamo che nel
sangue dei bambini c'è piombo e va avviato un controllo sulla
valutazione dei danni sanitari del piombo, i pascoli e il mare sono
intrisi di diossina che pregiudicano l'allevamento e la mitilicoltura.
Di fronte a tutto questo la magistratura - concludono - continua a
rimanere il nostro punto di riferimento e la nostra ancora di
salvezza''.
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