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11/04/2013

Legge ‘salva Riva’: la Consulta protegge l’Ilva e condanna Taranto

Ieri la corte costituzionale ha dato ragione al governo sulla legittimità della legge 231, la cosiddetta ‘salva-Ilva’. Uno schiaffo ai magistrati che avevano ordinato il sequestro degli impianti e ai cittadini di Taranto che muoiono di diossina.


La Corte Costituzionale salva la legge “salva-Ilva”. Giudicando in parte inammissibili e in parte non fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal Gip e dal Tribunale di Taranto sul provvedimento del governo Monti, la Consulta conferma che l'impianto del decreto ad hoc convertito poi in legge a fine 2012, è aderente alla costituzione e respinge nella sostanza le tesi dei magistrati - secondo cui ben 17 articoli della Carta erano stati violati - dando invece ragione all’esecutivo. ''Le sentenze della Corte si rispettano e non si commentano'', afferma il procuratore di Taranto, Franco Sebastio. "La decisione impegna tutti a proseguire con rigore e rapidità nel risanamento ambientale" commenta invece il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, mentre Bonelli dei Verdi si dice "addolorato e angosciato per il futuro dei cittadini di Taranto". "Basta scontri tra poteri dello Stato, rilanciare l'Ilva senza esitazioni" è il cinico appello della Cisl. Il Gruppo Riva, che ora in forza della decisione della Corte dovrebbe vedere dissequestrate tonnellate di acciaio e riprendere a pieno ritmo la produzione, ha annunciato per questa mattina una conferenza stampa. Secondo i giudici costituzionali quella legge - che ha definito l'Ilva priorità strategica nazionale, le ha consentito di continuare a produrre e vendere nonostante i sequestri dell'autorità giudiziaria - non sarebbe incostituzionale. In quanto non influirebbe sull'accertamento delle responsabilità derivanti dall'inosservanza dell'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale, che è un atto amministrativo per il quale sono possibili ''gli ordinari rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento''. Ma soprattutto perché non incide ''sull'accertamento delle responsabilità nell'ambito del procedimento penale'' in corso a Taranto, sentenzia la Consulta, smontando così le denunce dei magistrati locali che invece avevano insistito sul fatto che il legislatore avesse calpestato i poteri dei giudici, annullando, in concreto, i provvedimenti di sequestro preventivo, prima dell'area a caldo e poi dell'acciaio prodotto. Luisa Torchia, legale del gruppo siderurgico della famiglia Riva, ha sostenuto che ''la norma non garantisce alcuna immunità all'azienda'': in altre parole, nessuna legge 'adIlvam'.
Non era d’accordo Sergio Torsella, l’avvocato che difende Angelo, Vincenzo e Vittorio Fornaro, titolari di un'azienda agricola che ha dovuto abbattere centinaia di capi di bestiame che brucavano erba contaminata dalla diossina prodotta dal mostro siderurgico. ''A Taranto - ha sottolineato il legale - abbiamo 30 morti all'anno: non si possono subordinare agli interessi di produzione due morti al mese: così non è tutelata non solo la salute, ma la vita''.

L'udienza si è svolta a pochi giorni dal referendum sull'Ilva indetto a Taranto per domenica prossima e mentre nell'aula della Consulta si discuteva il caso, di fronte a Montecitorio un gruppo di cittadini di Taranto manifestava con un sit-in.
''Nessuno scoraggiamento, vinceremo comunque, anche senza la Corte Costituzionale'' hanno detto dopo la lettura della sentenza Fabio Matacchiera, presidente Fondo Antidiossina Taranto e Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, associazione ambientalista della città jonica. ''Il procedimento penale della Procura va comunque avanti per accertare tutte le responsabilità del disastro ambientale'', hanno spiegato i due. ''Taranto si è ormai ribellata e non è più disposta a essere la città da scarificare. La decisione della Corte Costituzionale non riporterà in vita un'azienda che è ormai in uno stato di crisi irreversibile. Basti pensare che non ha neppure definito il piano industriale degli investimenti per l'Aia. L'azienda, come dimostrano svariate analisi economiche, non ha le risorse per rinascere ed è ormai alle corde. Quindi la decisione della Corte Costituzionale di fatto non salva l'Ilva perché non le presta i tre miliardi di euro per applicare efficacemente l'Aia". "Sappiamo che la Corte Costituzionale – hanno spiegato Marescotti e Matacchiera, - è composta da 15 membri. Cinque giudici sono nominati dal Parlamento, cinque dal Presidente della Repubblica e cinque dalle supreme magistrature. Era ipotizzabile che vi potesse essere una conclusione di questo tipo. Ciò nonostante andava percorsa questa strada. Era un obbligo morale. Nulla doveva rimanere intentato. Il pronunciamento della Corte Costituzionale è doloroso per noi''.

Ma restano in piedi le mobilitazioni già programmate e il referendum di domenica prossima. "Il 14 aprile  andremo a votare sì al referendum e dimostreremo che la maggioranza dei tarantini non vuole più vivere nel terrore di ammalarsi e vuole un futuro diverso. Anche la Corte Costituzionale ha 'salvato' la legge, il futuro è nero per i lavoratori, che non andranno mai in pensione con questa azienda. Per loro va preparata un'alternativa prima che sia troppo tardi. E vanno avviate le bonifiche impegnando l'azienda a concorrere al risanamento ambientale prima del fallimento, come è avvenuto per la Caffaro di Brescia, lasciando il territorio nello stato attuale". "Chi si concentra sull'immediato - avvertono Matacchiera e Marescotti - non riesce a vedere questa prospettiva. Sappiamo che nel quartiere Tamburi vi è un inquinamento da piombo ed è necessaria la bonifica, sappiamo che nel sangue dei bambini c'è piombo e va avviato un controllo sulla valutazione dei danni sanitari del piombo, i pascoli e il mare sono intrisi di diossina che pregiudicano l'allevamento e la mitilicoltura. Di fronte a tutto questo la magistratura - concludono - continua a rimanere il nostro punto di riferimento e la nostra ancora di salvezza''.

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