Dopo nove giorni la milizia siriana vicina ad Al Qaeda ha liberato i
quattro reporter rapiti nel nord della Siria mentre girava un
documentario. Il governo italiano insiste: “non rapiti, ma trattenuti”…
I quattro giornalisti italiani rilasciati oggi in Siria ''sono
stati trattenuti, non rapiti''. Insiste il vice ministro degli Esteri
Staffan de Mistura, nel propinare una versione che dopo giorni e giorni
di rapimento dei 4 reporter da parte di una delle fazioni
dell’arcipelago dei ribelli siriani non sta più veramente in piedi.
A rapire – scusate, ‘trattenere’ – per nove giorni Amedeo Ricucci, Elio
Colavolpe, Andrea Vignali e Susan Dabbous sarebbero state alcune
milizie aderenti a Jabhat an Nusra, una sigla fondamentalista che di
recente ha ribadito e confermato la propria fedeltà al network jihadista
di Al Qaeda. Nel silenzio dei media internazionali, l’organizzazione è
salita alla ribalta all’interno della guerra civile in corso in Siria
come responsabile di una serie di attentati contro le forze fedeli al
regime di Assad ma anche contro i civili, non disdegnando metodi
terroristici indiscriminati. Secondo alcuni osservatori, il gruppo
sarebbe forte di almeno cinquemila uomini, moltissimi dei quali
combattenti stranieri provenienti da organizzazioni jihadiste di altri
paesi. Secondo gli analisti an Nusra è sempre più forte nelle aree del
nord della Siria abitate in prevalenza da popolazioni rurali sunnite,
che si oppongono al regime di Assad più che per una generica aspirazione
alla ‘democrazia’ e alla ‘libertà’ perché considerano quello siriano un
regime di miscredenti dal punto di vista religioso e di nemici dal
punto di vista etnico (Assad si appoggia in particolare agli alawiti e
ai cristiani). Il 9 aprile scorso, i vertici di al Qaida in Iraq hanno
annunciato che la Jabhat an Nusra (nome completo: 'Il fronte della
salvezza per gli abitanti del Levante nella terra del jihad') è
diventata una branca del gruppo e che il suo obiettivo è quello di
edificare uno Stato islamico in Siria. Ma il capo del gruppo, Abu
Mohammad Al Julani, ha frenato sull'affiliazione alla branca irachena,
dichiarando però ''fedeltà ad Ayman al Zawahiri'', leader di Al Qaeda
succeduto a Bin Laden.
All'inizio "ci hanno presi
per spie" e volevano "controllare quello che avevamo girato", "temevano
che avessimo filmato la loro base logistica", ma "ci hanno messo un
sacco di tempo". Lo ha affermato a Rainews24 il giornalista Rai Amedeo
Ricucci,che non era nuovo a reportage girati nelle zone del paese in
mano ai ribelli. Ricucci ha anche detto “Che qualcuno possa pensare che
siamo stati poco cauti lo trovo di cattivo gusto: siamo stati cauti fino
all'ennesima potenza''. A smentire la versione ripetuta all’unisono da
stampa e governo che si fosse trattato di un ‘fermo’ dei giornalisti da
parte dei ribelli per effettuare dei controlli (un fermo di 9 giorni?)
ci ha pensato lo stesso Ricucci quando ha detto “Ci hanno tenuti in
posti diversi, non proprio prigioni sotto certi aspetti, per altri sì”.
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