La politica italiana è bloccata da un mese e mezzo e si fanno più forti
le tentazioni di “semplificare” l'architettura istituzionale per
assicurare – a qualsiasi prezzo – la “governabilità”.
Lo stallo prodotto dai risultati elettorali sta incubando
esattamente questo mostriciattolo. Non si capisce granché seguendo la
girandola di incontri e di “retroscena” sempre meno rivelatori. Bisogna
concentrarsi su ciò che alcuni “opinionisti ben introdotti” cominciano a
far balenare come possibili “soluzioni”.
Il mostro si chiama
“presidenzialismo”. Ovvero la trasformazione costituzionale della forma e
della distribuzione dei poteri. Il cuore pulsante di uno Stato.
Se è vero che di repubbliche presidenziali ne esistono molte, nel
mondo, è altrettanto vero che ogni paese ha una storia differente. In
Francia o negli Stati Uniti, per dirne solo due, il presidente della
repubblica è in realtà l'equivalente del nostro presidente del
consiglio, con qualche potere in più legittimato dall'investitura
popolare diretta. Nessuno, in quei due paesi, ha mai avuto timore che la
forza del potere presidenziale potesse alterare il gioco
democratico – parlamentare.
In Italia questo rischio è sempre
presente. Emerge dalle parole di Berlusconi come da quelle di Grillo,
oltre che dai discorsetti fascistoidi della destra estrema. Questo paese
non ha mai ben assimilato neppure la cultura democratico borghese. A
destra per motivi ovvi, a sinistra per la convinzione suicida che i
“rapporti di forza” – per natura instabili e temporanei – potessero più
della codificazione delle regole; basti pensare alla non legiferazione
sul sindacato – o i partiti politici – che ha permesso la “svolta di
Marchionne” (o l'invenzione di “partiti personali”). In un paese così
messo la tentazione della scorciatoia furbetta si presenta a ogni passo.
Persino nei rapporti internazionali, come si è visto con la figuraccia
globale dei “due marò”.
Proprio tenendo presente questo difetto
“costituzionale”, la Costituente ha elaborato un'architettura di poteri
tale per cui nessun potere potesse facilmente prevalere sugli altri,
affidando alla figura del presidente della Repubblica il ruolo del
“garante”. Sia dell'unità politica del paese che, quindi, della
salvaguardia della Costituzione stessa.
La storia dei presidenti
nella “seconda repubblica” ci consegna però una trasformazione
progressiva, uno slittamento continuo verso l'assunzione diretta di
responsabilità politiche da parte dell'inquilino del Colle. Cominciò
Francesco Cossiga a “picconare”, ma le sue “esternazioni” – tanto
bistrattate ai tempi – appaiono oggi ben poca cosa rispetto al
protagonismo messo in campo da Napolitano (passando per quello di Ciampi
e Scalfaro). Un “presidenzialismo di fatto”, esibito in modo plateale
con l'incarico a Monti e la creazione di una “maggioranza coatta”, fino
al diversivo dei dieci “saggi”, fuori da ogni procedura istituzionale.
La difficoltà perenne di dare una maggioranza chiara a sostegno di un
governo “stabile” ha prodotto già diversi tentativi di “semplificare” il
gioco politico – parlamentare. Lo sforzo di obbligare il paese a un
“bipolarismo” estraneo alla realtà sociale è stato accompagnato da una
lunga serie di forzature sulle regole, fino al “porcellum”, che
conferisce una maggioranza certa a chiunque arrivi primo alle elezioni
politiche, anche con un solo voto in più dei concorrenti. Ma soltanto
alla Camera, mentre in Senato resta la normale “incomponibilità” delle
differenze nonostante l'adozione – anche qui – di un “principio
maggioritario”, ahiloro soltanto su base regionale (un altro capolavoro
di quel centrosinistra che pensava di svuotare la Lega sposandone le
istanze “federaliste”).
Forzature fallimentari che avvicinano
ora quella estrema: ridisegnare la mappa dei poteri facendo del
presidente della repubblica “eletto dal popolo” l'arbitro decisivo del
gioco politico.
Difficile pensare che i modesti protagonisti
dell'attuale scena politica abbiano riflettuto seriamente sula portata
di una trasformazione del genere, che dovrebbe quantomeno portarsi
dietro una valanga di contrappesi istituzionali.
Qui si gioca
con le modifiche della Costituzione – ovvero con gli assetti di
lunghissimo periodo – sulla base di puri calcoli di convenienza a breve
termine. Abbiamo visto come è stato inserito il “pareggio di bilancio”
nella Carta: senza una discussione, senza alcuna riflessione sulla
portata storica del porre un vincolo tanto radicale all'elaborazione
delle scelte di politica economica di qualsiasi governo a venire. Come
se fosse indifferente o irrilevante affidare comunque la guida e le
sorti di un paese ad “pilota automatico” sovranazionale.
Siamo
in balìa di un branco impaurito e disposto a tutto. Sono pericolosi e
vanno fermati il prima possibile. Serve un popolo che si scuote dal
torpore, non una consultazione in rete.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento