Quello che colpisce di più nella morte di Margaret Thatcher è la quantità di commenti, giudizi, spesso sferzanti, girati in rete, e poi sui giornali, alla notizia della sua morte. In Gran Bretagna hanno brindato, i minatori hanno festeggiato.
Anche in Italia abbiamo potuto leggere soddisfazioni postume,
goliardiche o meno, tutte molto sentite. Il commento più efficace è
certamente quello di Ken Loach – “Privatizziamo il suo
funerale, lei avrebbe voluto così” – in cui all’invettiva caustica si
mescola la nostalgia per un tempo perduto. Tante soddisfazioni sono in
realtà la manifestazione di un’impotenza e rivelano il gusto amaro di
una sconfitta, subita alla fine degli anni '70, da chi
aspirava a ideali di uguaglianza e solidarietà. Quella che è morta
l’altro giorno era una vecchia signora di 87 anni, innocua e oscura che
non ha cancellato quell’altra signora, ben più solida, di ferro appunto,
che tra il 1979 e la fine degli anni '80 smantellò antiche conquiste sociali inglesi, piegò ferocemente i ribelli irlandesi, contribuì alla grande svolta liberale e moderata dell’economia globale.
Se,
a distanza di trent’anni, Thatcher suscita ancora tanti sentimenti, è
però dovuto al fatto che la sua impronta politica e sociale è ancora
viva e permea gran parte delle scelte economiche, almeno in Europa. Il lungo corso liberista che anima la costruzione dell’Ue, che ha prodotto la crisi economica
attuale e che, paradossalmente, ispira le politiche che quella crisi
dovrebbero risolvere – vedi la Grecia – è ancora quello avviato da lei e
da Ronald Reagan. Nonostante il fatto che quella corrente abbia
prodotto dei veri e propri sfaceli, ancora oggi troviamo fior di
commentatori che non solo rivendicano l’eredità della “lady di ferro” ma
si disperano per il fatto che ci siano ancora forze di sinistra
moderata che non fanno proprie tutte le idee di Margaret Thatcher.
Uno dei capifila è certamente Antonio Polito, opinionista del Corriere della Sera, già senatore della Margherita e fondatore del quotidiano Il Riformista
con cui cercava di portare la “sinistra” italiana sulla retta via. Il
suo ricordo della ex premier inglese trasuda di entusiasmo e
ammirazione, segno di un desiderio profondo di vedere una simile leader
anche in Italia. Possibilmente schierata a sinistra. Quando la Gran
Bretagna conobbe l’era di Tony Blair, che della
Thatcher aveva importato le idee-forza innestandole nell’”old Labour”
inglese, la sinistra ha affrontato una discussione epocale sui propri
confini e sulla propria natura. Nacque l’era della “terza via” e, per
chi se lo ricorda, dell’”ulivo mondiale” naturale prosecuzione, a
sinistra, del tempo del liberismo thatcheriano.
Quella fase ha incubato un’era di prosperità,
sostengono i suoi fautori. Un’analisi più concreta, e meno ideologica,
sembra invece indicare il contrario. Tra la metà degli anni 90 e la metà
dei 2000, il capitalismo globalizzato ha visto allentare, grazie alle
destre e alle sinistra liberali, qualsiasi freno alla propria
esuberante, e distruttiva, espansione. La storica contrapposizione tra
la libertà degli “spiriti animali” e la necessità di contenerli con politiche pubbliche
che favorissero uguaglianza e solidarietà, è, con il tempo, venuta
meno. Tutta la politica si è fatta liberale e liberista e gli elettori
hanno iniziato a non capire più la differenza tra il governo delle
socialdemocrazie e quello dei conservatori. Tutti i commentatori
interessati, quelli che nel corso degli ultimi venti anni hanno
costantemente redarguito la sinistra per il proprio conservatorismo – in
realtà, sperando che la sinistra si facesse, come poi è accaduto,
moderna destra – hanno tifato per la mutazione genetica. Che è avvenuta.
La crescita dei populismi europei si spiega anche per questo. E la
vittoria del Movimento Cinque stelle in Italia – che al populismo, però, non può essere associato – nasce proprio quando quella distinzione è venuta meno.
A
pensarci bene, siamo ancora nel tempo di Margaret Thatcher. Le
politiche pubbliche risentono ancora dei suoi attacchi all’egualitarismo
e della sua esaltazione dell’individualismo. Come anche i programmi dei
partiti. Quando esistono, le politiche sociali riproducono solo un
approccio compassionevole e l’idea che “non ci sia un’alternativa” (la
famigerata Tina, “There is no alternative”)
domina il discorso politico. Questo tempo non è finito con la sua
morte. Lei riposerà in pace. Tutti gli altri devono ancora trovare una
valida alternativa al suo pugno di ferro.
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