Il drammatico bilancio, 975 morti, degli attentati di settembre getta sull'Iraq l'ombra di una guerra civile, facendo tornare alla memoria gli anni dal 2006 al 2008, quando le violenze settarie fecero decine di migliaia di vittime.
Lo scontro tra sciiti, che guidano il Paese, e sunniti, che al tempo di
Saddam Hussein erano la classe dirigente, si è acuito da mesi e ormai il
l'Iraq è teatro di attentati suicidi o con autobombe, che quasi
quotidianamente colpiscono i quartieri, le moschee e i luoghi
frequentati in prevalenza dagli sciiti. Le vittime sono soprattutto
civili e la città più colpita è la capitale Bagdad. Ma lo scorso fine
settimana una serie di attacchi a Erbil, la capitale della
provincia autonoma del Kurdistan, ha interrotto un periodo di relativa
calma in quest'area che non veniva colpita dal terrorismo da sei anni.
La "rappresaglia" sunnita contro gli sciiti si è intensificata lo scorso aprile, in seguito al blitz
delle forze governative nel campo di protesta allestito dai sunniti,
che lamentano discriminazioni, nella città di di Hawija, nella provincia
di Kirkuk. Nell'operazione di polizia furono uccise oltre 50
persone e 110 rimasero ferite. Da allora gli attentati si sono
moltiplicati e in cinque mesi sono morte circa cinquemila persone. Al Qaida ha firmato molti di questi attacchi ed è tornata a controllare alcune zone del Paese, quelle al confine con la Siria,
dove tanti iracheni stanno combattendo tra le file degli oppositori del
presidente Bashar al Assad. E alcuni analisti temono che il conflitto
siriano alimenti lo scontro interno all'Iraq.
Dopo l'invasione statunitense iniziata nel 2003 e terminata nel 2011,
gli sciiti hanno iniziato a dominare la vita politica del Paese, dove le
violenze in realtà non si sono mai fermate del tutto. L'Iraq non è mai diventato lo Stato stabile che Washington diceva di volere lasciare agli iracheni. Al contrario, il conflitto tra sciiti e sunniti è peggiorato e il primo ministro, Nuri al Maliki, al potere dal 2006, è accusato di alimentare le violenze per emarginare gli avversari.
La graduale esclusione dei sunniti dalla vita pubblica e le leggi anti terrorismo applicate soprattutto contro di loro non favoriscono un dialogo che di fatto non è mai stato tentato veramente. Da oltre un anno la comunità sunnita ha iniziato un movimento di protesta, ma la risposta di Bagdad è stata la repressione:
ogni forma di opposizione è considerata una insurrezione settaria che
giustifica l'uso della forza da parte del governo. La polizia fa
continui blitz nei quartieri sunniti, arrestando decine di "terroristi" e
alimentando il malcontento della popolazione, senza peraltro sortire
effetti sull'ondata di violenze che spazza il Paese. La scorsa settimana
in due giorni sono state giustiziate 23 persone condannate a
morte per attività terroristiche. Dall'inizio dell'anno le pene capitali
eseguite sono state 90, tra le proteste internazionali.
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