La “fine della politica” segna l'inizio della Terza Repubblica. Il ventennio berlusconiano si chiude con l'eliminazione di tutte le distonie rispetto alle “ragioni dell'economia”. Prima il massacro, lento e complice, della “sinistra” discendente - non “erede” - del Pci e dei movimenti politici residuati dagli anni '70. Infine l'accantonamento del frutto perverso nato a cavallo della crisi della “prima repubblica” e della conseguente discesa in campo della peggiore “società civile”.
Un commentatore politicista direbbe che così sono state “tagliate le estreme”. Ma se si guarda alle figure e ai blocchi sociali che queste “estreme” rappresenta(va)no, si vede che da un lato sono stati esclusi da tempo dal campo politico gli interessi di lavoratori dipendenti, precari, pensionati, utenti dei vari servizi sociali (sanità, istruzione, ecc); dall'altro, inizia adesso il pesante ridimensionamento anche di quei ceti cresciuti come un tumore incontenibile quando era necessario fornire “consenso popolare" in un mondo diviso in due, gonfiando clientele, assunzioni, prestazioni, appalti, sinecure, consulenze, elusione fiscale e contributiva, imprenditoria informale o direttamente criminale.
La fuoriuscita cialtronesca del Cavaliere, l'ultima “piro-letta” davanti al plotone d'esecuzione approntato dai suoi stessi cortigiani, gli ha risparmiato il 25 luglio gli arresti (domiciliari, mica a Campo Imperatore), ma al tempo stesso lo ha consegnato a una Piazzale Loreto mediatica di dimensioni globali: a testa in giù, senza neppure il sangue a dare un tocco di serietà all'epilogo di una lunga commedia degli equivoci. La botola della storia ci metterà qualche giorno in più a chiudersi su di lui, ma nemmeno tanti...
Ora a comandare restano solo l'economia “tecnicamente” neutra e le “necessità di risanamento” secondo gli indirizzi voluto all'unisono da Bce, Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale; la Troika insomma, che ci governa già da due anni, con risultati tragici.
La resa di Berlusconi è stata festeggiata in coro dai mercati finanziari, dagli imprenditori che per 15 anni lo avevano eletto come icona “del fare”, dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti, dal Vaticano e dai peccatori. Un po' troppa brutta gente per unirci al coro entusiastico dei vecchi complici ora atteggiati a “liberatori” oppure a quello acefalo di una “sinistra” tale solo per questione di sedie occupate nell'emiciclo.
Preferiamo sottolineare che ora, finalmente, non c'è più alcun velo a confondere la visione di quel che accade; ora non c'è più quella formidabile “arma di distrazione di massa” rappresentata dal Caimano, che per venti anni ha impedito di guardare alla sostanza delle politiche economiche dirottando sempre l'attenzione pubblica verso la corruzione, i legami con la mafia, le mutande smarrite dalle sue cortigiane, gli isterismi televisivi dei suoi lacché, ecc.
Soltanto ora ci verrà posto davanti agli occhi quel “baratro che non si voleva vedere”, fatto di crisi economica, finanziaria e produttiva; di patti europei che costringeranno a tagli della spesa statale di dimensioni mai viste: invalidanti se applicate a un paese in salute, mortali per un paese come questo, già ben oltre il punto di non ritorno.
L'elenco delle “cose da fare” cui viene ora invitato Letta è addirittura monotono. Non c'è un solo media che dica una cosa diversa. In sintesi, citando le “tavole della legge” redatte dal direttore del quotidiano di Confindustria: “riforma fiscale e il taglio della spesa statale e locale improduttiva”, “ridurre i prelievi sui lavoratori e sui datori di lavoro in modo significativo, senza aprire voragini nei conti pubblici” (la botte piena ecc.), “il sindacato apra gli occhi e superi i suoi tabù”. Semplice, algido, asettico come un'operazione chirurgica che riguarderà però alcune decine di milioni di persone che lavorano – sotto qualsiasi forma contrattuale e per qualsiasi salario – o che si arrabattano con la pensione. Tagliamo le cure, moriranno prima...
Non siamo disposti a farci eliminare senza protestare. Il 18 e 19 luglio inizia una nuova stagione di conflitto reale, non più “simulato” per raccattare voti alle elezioni. Conflitto sociale sui bisogni essenziali (salario, casa, salute, welfare, reddito, stabilità occupazionale, ecc) e politico sulle idee, le prospettive. A cominciare dalla rottura di quella Unione Europea – e della sua moneta unica – che ormai si profila come il vero problema e non certo come la soluzione.
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