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04/12/2013

Iraq, un anno di violenze: 6.200 morti nel 2013


Ha superato i seimila morti il bilancio delle vittime della mattanza a sfondo confessionale che si sta consumando da mesi in Iraq. Ieri una serie di attacchi principalmente nelle zone sunnite della capitale Bagdad e nelle regioni settentrionali e occidentali del Paese hanno fatto 23 morti; dall'inizio dell'anno sono 6.200.

Un bollettino da guerra civile che ha spinto le istituzioni irachene a chiedere sostegno alla comunità internazionale per contrastare il terrorismo e garantire la sicurezza in vista dell'appuntamento elettorale del prossimo aprile. Un appello sinora accolto dalla Francia che si è detta disposta a offrire armi, formazione e cooperazione di intelligence a Bagdad, mentre gli Stati Uniti sono stati più freddi e non hanno preso impegni con il primo ministro Nouri al Maliki in visita a Washington il mese scorso.

Autobombe e attacchi kamikaze stanno destabilizzando il Paese alle prese con uno scontro confessionale tra sciiti e sunniti che ricorda quello del 2008 in cui morirono migliaia di iracheni. Il governo attribuisce ai gruppi legati ad al Qaeda la responsabilità degli attentati quasi giornalieri che hanno spinto l'Iraq sull'orlo della guerra civile. Ma analisti e attivisti per i diritti umani puntano il dito contro il premier Maliki, sciita, per non avere saputo aprire un dialogo tra i sunniti che governavano il Paese durate il regime di Saddam Hussein e gli sciiti saliti al potere in seguito all'invasione statunitense dell'Iraq.

Secondo alcuni, le misure adottate da Bagdad esasperano le divisioni invece di attutirle: l'esclusione dalla partecipazione alla vita pubblica e all'amministrazione di ogni esponente del partito Baath, la forza politica di Saddam Hussein, ha alimentato rivalità e ritorsioni, mentre le leggi anti-terrorismo e il ricorso massiccio alla pena di morte non fermano il massacro quotidiano di iracheni. I sunniti accusano il governo di applicare le leggi anti-terrorismo soprattutto contro di loro, con continui blitz della polizia nei quartieri sunniti e decine di arresti di "terroristi" che alimentano il malcontento della popolazione, rafforzando la presenza di al Qaeda in Iraq. Inoltre, molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani accusano le autorità irachene di ricorrere alla tortura per ottenere confessioni su cui si basano sentenze di condanna a morte. Da oltre un anno la comunità sunnita ha iniziato un movimento di protesta, ma la risposta di Bagdad è stata la repressione: ogni forma di opposizione è considerata una insurrezione settaria che giustifica l'uso della forza da parte del governo.

Intanto, Maliki oggi è atterrato a Teheran per discutere della relazioni, sempre più strette, tra i due Paesi e della situazione regionale, ha ripotato l'agenzia Iraqi News.

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