di Mario Lombardo
Le
manifestazioni organizzate dall’opposizione ucraina con il sostegno dei
governi occidentali per protestare contro la mancata firma dell’accordo
di associazione con l’Unione Europea da parte del presidente, Viktor
Yanukovich, continuano ad essere descritte sui principali media come una
possibile nuova “rivoluzione democratica” nel paese dell’est europeo,
già teatro nel recente passato di una delle cosiddette “rivoluzioni
colorate” ugualmente orchestrate da Washington e Bruxelles.
Come è
ormai noto, Yanukovich era stato protagonista di un clamoroso
voltafaccia nei confronti dell’UE, declinando di firmare un accordo di
partnership frutto di anni di trattative e impegnandosi invece a fare
entrare il proprio paese in un’unione doganale promossa dalla Russia e
di cui per ora fanno parte Kazakistan e Bielorussia. La rottura
ufficiale tra Kiev e Bruxelles si era consumata nel corso della
conferenza per il Partenariato Orientale tenuta settimana scorsa a
Vilnius, in Lituania, dove l’Unione Europea ha alla fine potuto
accogliere soltanto Moldavia e Georgia, incassando invece il rifiuto di
Armenia e, appunto, Ucraina.
Contro il presidente Yanukovich si
sono immediatamente scatenate una serie di dichiarazioni di condanna,
con la cancelliera tedesca Angela Merkel in prima fila ad esprimere
pubblicamente il proprio disappunto per la scelta di Kiev. Il
Dipartimento di Stato americano ha poi a sua volta condannato fermamente
la repressione delle proteste nelle piazze dell’Ucraina, invitando i
leader di questo paese a rispettare la libertà di espressione e
consigliando loro “l’integrazione europea” come “il percorso migliore
verso la crescita economica”.
In maniera estremamente insolita,
anche un politico polacco di spicco, il leader del più importante
partito dell’opposizione a Varsavia, l’ex primo ministro Jaroslav
Kaczynski, nei giorni scorsi aveva preso parte ad alcune manifestazioni
anti-governative a Kiev.
Oltre alla contraddizione insita in
consigli che promuovono un modello, come quello europeo, che sta
causando soltanto sofferenze e devastazione sociale, appare opportuno
sottolineare come lo stesso zelo dei burocrati di Bruxelles e dei leader
politici occidentali nel rispondere in maniera sdegnata alla
repressione delle manifestazioni in Ucraina non è mai stato mostrato nei
mesi scorsi in relazione ai ripetuti interventi delle forze dell’ordine
per contrastare, ad esempio, le proteste dei cittadini greci o spagnoli
contro le rovinose politiche di austerity imposte proprio dall’UE e
dagli ambienti finanziari internazionali.
La nuova presunta
“rivoluzione” ucraina, in ogni caso, ha ben poco a che fare con
democrazia o libertà di espressione, dal momento che gli eventi di
questi giorni sono legati pressoché esclusivamente allo scontro tra
Occidente e Russia per il controllo di paesi dell’Europa orientale come
l’Ucraina, nonché agli interessi divergenti della ristretta classe di
oligarchi che detiene il potere economico in quest’ultimo paese.
Queste
dinamiche non sono d’altra parte nuove, visto che la cosiddetta
“Rivoluzione Arancione” del 2004 in Ucraina fu alimentata proprio da
Washington con l’impegno finanziario di agenzie come USAID (United
States Agency for International Development) per promuovere gli
interessi americani a discapito di quelli russi. In quell’occasione, le
proteste di piazza portarono alla ripetizione delle elezioni
presidenziali vinte da Yanukovich. Nella nuova tornata elettorale ad
affermarsi fu uno dei leader dell’opposizione, Viktor Yushchenko, il
quale nominò a capo del governo Yulia Tymoshenko, la cui liberazione dal
carcere in seguito ad una condanna per abuso di potere è stata a lungo
al centro delle richieste europee in cambio dell’accordo con Kiev.
Il
governo appoggiato dall’Occidente dopo la “Rivoluzione Arancione” si
sarebbe ben presto dimostrato incapace di mettere in atto le promesse di
cambiamento nel paese, facendo crollare miseramente le illusioni
democratiche che erano state alimentate da una possibile maggiore
integrazione europea e dall’avvicinamento agli Stati Uniti. Nel 2010,
così, lo stesso Yanukovich riuscì a riconquistare la presidenza
dell’Ucraina con relativa facilità.
Il
suo nuovo mandato alla guida del paese aveva inizialmente spinto gli
osservatori a prevedere un riallineamento a Mosca, anche se il dialogo
con Bruxelles è rimasto sempre aperto fino al raggiungimento
dell’accordo con l’Unione Europea respinto pochi giorni fa. Se il
Partito delle Regioni di Yanukovich ha la propria base elettorale nelle
regioni orientali del paese maggiormente legate culturalmente ed
economicamente alla Russia, l’opzione europea era stata tenuta in vita
dalle pressioni degli oligarchi ucraini che intravedevano una serie di
vantaggi anche dall’integrazione con Bruxelles.
In definitiva,
però, la decisione di Kiev a favore di Mosca è giunta non tanto a causa
delle minacce economiche del Cremlino ma per evitare la prospettiva
della rovina sociale ed economica che avrebbe comportato per l’Ucraina
un’eventuale partnership con l’Unione Europea.
La firma di
Yanukovich a Vilnius avrebbe infatti implicato una serie di “riforme” e
misure che avrebbero sostanzialmente peggiorato gli standard di vita
della maggior parte della popolazione ucraina, ma anche richiesto
ingenti investimenti alle aziende locali per rimanere competitive con
quelle occidentali, a fronte di modesti aiuti finanziari provenienti da
Bruxelles.
Inoltre, come aveva chiaramente fatto intendere
qualche mese fa il presidente della Commissione Europea Barroso,
l’accordo con l’UE avrebbe significato l’impossibilità per l’Ucraina di
mantenere le tariffe doganali privilegiate in vigore per gli scambi
commerciali con la Russia e, con ogni probabilità, la fine dei prezzi di
favore delle forniture di gas provenienti dal vicino orientale se non
addirittura le forniture stesse.
Per Kiev, dunque, l’abbraccio
con Bruxelles avrebbe potuto tradursi in un suicidio economico, mentre
Yanukovich sarebbe andato incontro a sua volta ad un suicidio politico
in vista delle elezioni presidenziali del marzo 2015.
Per quanto
riguarda i governi occidentali, invece, il loro intervento a favore
dell’opposizione e delle proteste di piazza in Ucraina è dovuto a
ragioni strategiche ancor prima che economiche. Con un vastissimo
territorio situato in posizione strategica tra l’Europa, il Caucaso e il
Mar Nero, l’Ucraina è da sempre un paese nelle mire di Mosca e, per
Washington e Bruxelles, strapparlo al Cremlino si sarebbe tradotto in un
importante ridimensionamento delle aspirazioni russe nella regione
eurasiatica.
Dietro la spinta delle proteste, in ogni caso,
Yanukovich questa settimana è sembrato lasciare aperta la porta ad una
ripresa dei negoziati con l’Unione Europea, anche se la risposta di
Bruxelles è stata finora piuttosto tiepida. Allo stesso tempo, il
presidente ucraino in un’intervista televisiva prima di partire per una
visita ufficiale in Cina ha difeso la propria decisione di non firmare
l’accordo di partnership con l’UE, ribadendo le motivazioni di natura
economica che lo hanno spinto a privilegiare la Russia.
Il
tentativo di dare la spallata al governo di Kiev da parte
dell’opposizione è passato poi nella giornata di martedì anche dal
parlamento ucraino, dove è stata votata una mozione di sfiducia contro
il governo. L’iniziativa ha ricevuto però molti meno voti dei 226
necessari per far cadere il governo del premier Mykola Azarov, il quale
lunedì aveva messo in guardia dalla presenza nel paese di “tutti i
segnali di un colpo di stato”.
La natura della stessa opposizione
politica che guida le proteste nel paese, infine, contribuisce ad
escludere che in Ucraina sia in corso una rivoluzione democratica. Ad
animare le manifestazioni di piazza sono infatti i leader dei partiti
UDAR dell’ex campione di boxe Vitali Klitschko, Unione Pan-Ucraina
“Patria” della Tymoshenko e “Svoboda” del controverso Oleg Tyahnybok.
Mentre
il primo si ispira ad un vago populismo, il secondo fa parte come
osservatore del Partito Popolare Europeo e mantiene rapporti molto
stretti con la CDU tedesca, la cui leader - Angela Merkel - è la prima
responsabile dei programmi semi-dittatoriali di austerity imposti a
svariati paesi europei.
“Svoboda” o “Libertà”, invece, è un
movimento ultranazionalista di estrema destra apertamente xenofobo e
anti-semita, nonché affiliato - anch’esso come osservatore -
all’Alleanza Europea dei Movimenti Nazionalisti di cui fanno parte, tra
gli altri, il Fronte Nazionale francese e il famigerato partito
neo-nazista ungherese Jobbik. Bella compagnia...
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