Anche oggi diverse migliaia di persone stanno manifestando a piazza Maidan, la piazza dell'Indipendenza di Kiev, per chiedere le dimissioni del governo e del presidente ucraino Viktor Yanukovych. E soprattutto per protestare contro la decisione del governo di interrompere il processo di avvicinamento di Kiev all’Unione Europea. Nei giorni scorsi la piazza si è più volte riempita di manifestanti, che in alcuni casi hanno letteralmente assaltato varie sedi parlamentari e governative, in un caso addirittura con un bulldozer. Il che ha scatenato una violenta reazione da parte dei reparti antisommossa della polizia, sfociata in decine di feriti e arresti.
Vista e raccontata così sembrerebbe uno dei tanti conflitti esplosi negli ultimi anni tra regimi dispotici da una parte e piazze animate da un anelito di libertà e di democrazia. Una “primavera ucraina” dunque? A parte che a Kiev fa un freddo cane, ma di primavera non è proprio il caso di parlare neanche dal punto di vista politico. Perché se è vero che il governo di Kiev non brilla per un particolare grado di democraticità e progresso, è soprattutto vero che dietro la piazza ci sono forze e gruppi di interesse manovrati da Bruxelles e dall’Alleanza Atlantica, in un braccio di ferro indiretto con Mosca che appare sempre più sfacciato da parte delle ‘democrazie occidentali’ in cerca del loro spazio vitale ad est.
Il conflitto è infatti esploso quando il governo ucraino, sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare e da una buona parte dell’opinione pubblica, ha ritirato la firma su un trattato di associazione con la UE che scatenerebbe una grave crisi economica nel paese già investito negli ultimi anni da numerose crisi finanziarie gestite con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale che ne ha approfittato per portare il paese nell’orbita degli interessi occidentali allontanandolo dalla Russia.
I media occidentali stanno costruendo ad arte un’immagine del conflitto manichea e artefatta: da una parte ‘la gente’, i suoi valori democratici di libertà ed europeismo, dall’altra il potere violento e corrotto manovrato da Putin. Sul grado di corruzione dell’esecutivo di Kiev si può anche discutere, ma che dietro i violenti scontri e il tentativo di dare una spallata al governo di Azarov e Yanukovich ci siano alcune potenze europee è ormai spudorato. D’altronde basta guardare la composizione politica della piazza – che poi ci siano migliaia di persone in buona fede, a manifestare, è un’altra storia – per rendersi conto degli interessi che cercano di destabilizzare il paese per obbligare il governo a farsi da parte oppure a tornare sui suoi passi e firmare la resa – perché di una resa si tratta – nei confronti di Bruxelles. I settori più di massa della contestazione sono rappresentati da partiti di centrodestra, liberali quando non liberisti, con in testa ben tre ex presidenti del paese.
Ma i settori più scalmanati, quelli che hanno anche assaltato sedi politiche della maggioranza di governo, prendendosela soprattutto con i comunisti, sono riconducibili soprattutto alla destra e all’estrema destra. Primi tra tutti i nazionalisti estremisti che si rifanno all’Upa – l’Esercito Insurrezionale Ucraino che nel secondo conflitto mondiale collaborò con gli occupanti nazisti, (le cui bandiere rosse e nere ad alcuni hanno fatto pensare che al movimento di contestazione partecipassero gli anarchici); ma ci sono anche i militanti del partito fascista Svoboda (“Libertà”, fino a qualche anno fa Partito Nazionalsocialista Ucraino). Per non parlare di alcuni gruppi di estremisti islamici delle regioni meridionali dietro i quali ci sarebbe il governo turco.
I volti della battaglia per l’avvicinamento all’Unione Europea, quelli che incitano il popolo alla ribellione, non possono essere certo definiti campioni di libertà. Ad esempio l’ex pugile Vitali Klitschko è passato dal ring all’agone politico come leader dell’Udar, forza di centrodestra liberista che sostiene l’ancoraggio del paese all’Ue. Per non parlare di Viktor Yushchenko e Yulia Tymoshenko, descritti dai media occidentali come paladini dei valori democratici ma in realtà pedine nelle mani della Nato e di Bruxelles; oltretutto assai usurati dopo i conflitti interni e gli scandali che li hanno coinvolti determinando la fine della cosiddetta ‘rivoluzione arancione’ che per pochi anni ha sottratto l’Ucraina all’orbita di Mosca spaccando il paese in due parti contrapposte. E’ in particolare sulla figura di Yulia Tymoshenko, leader del partito ‘Patria’, che i media occidentali giocano: una giovane donna, malata, rinchiusa in carcere per motivi politici ed ostaggio del regime. Il suo volto è sulle magliette e sulle bandiere di molti dei manifestanti di piazza Maidan. Ma dietro l’icona della bella Yulia ci sono una storia zeppa di scandali per corruzione, di scalate nel campo del business del gas, e una specie di golpe bianco, che la portò al potere prima che la spietata competizione con l’amico e poi spietato nemico Yushchendo ne decretasse il crollo e l’arresto, con una condanna a 7 anni di carcere. Che i media italiani la dipingano come una povera vittima e una perseguitata politica la dice lunga sulle falsità raccontate rispetto a quanto accade ai margini orientali del continente europeo.
Dove il rischio che la crisi - provocata dagli appetiti occidentali e dalla reazione di Mosca - esploda in forme violente è assai concreto. Nella vicina Georgia, pochi anni fa, Washington mandò il governo georgiano allo sbaraglio contro la Russia, e si scatenò una breve ma sanguinosa guerra tra i due paesi. In Ucraina la situazione è anche più grave, visto che la rivolta filo-Ue soffia sul fuoco della contrapposizione tra le popolazioni russofone dell’est e quelle dominate da un sentimento nazionalista nell’ovest, che potrebbe deflagrare in una tragica guerra civile. Il rischio che l’Ucraina deflagri come accadde alla Ex Jugoslavia prima o alla Libia o alla Siria recentemente sono realistici.
Da questo punto di vista le ultime dichiarazioni da parte del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in merito alla possibilità che l’esercito russo intervenga in Ucraina a fianco del governo contro i dimostranti, ha gettato benzina sul fuoco, insieme all’invito rivolto al governo di Kiev affinché prenda in considerazione le richieste dei manifestanti. Il ministero degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov è subito intervenuto denunciando “l’isteria europea” sull’Ucraina. “Questa situazione è legata a una qualche isteria degli europei, che è stata causata dal fatto che l'Ucraina ha esercitato il suo diritto sovrano di decidere di non firmare un accordo che gli esperti ucraini e l'amministrazione non vedeva conveniente in questa fase", ha detto Lavrov. Da parte sua invece il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha definito "semplicemente inaccettabili" le pressioni economiche nei confronti dell'Ucraina, riferendosi alle voci sul fatto che la Russia avrebbe minacciato Kiev di aumentare il prezzo del gas nel caso in cui avesse aderito all’area di libero scambio con l’Unione Europea. Anche gli Stati Uniti sostengono apertamente l’opposizione: la segretaria aggiunta del dipartimento di Stato Victoria Nuland ha detto senza mezzi termini che Washington sta con il popolo ucraino «che vuole un futuro in Europa».
Intanto oggi poche migliaia di attivisti dei partiti dell’opposizione continuano ad occupare il municipio di Kiev e la sede dei sindacati ucraini. Dopo le violente cariche contro i manifestanti di sabato il governo ha chiesto scusa ed ha ordinato una indagine interna ai servizi di sicurezza ma oggi il tribunale di Kiev ha dato ai dimostranti un ultimatum di cinque giorni per sgomberare gli edifici pubblici, oppure ordinerà l’uso della forza. Mentre Yulia Timoshenko dal carcere chiede alla comunità internazionale di imporre sanzioni al governo e al presidente del paese, a Kiev sono arrivate alcune decine di delegazioni per partecipare al previsto vertice ministeriale dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa). I leader dei governi europei e di quello statunitense hanno incontrato i rappresentanti dei partiti ucraini filo-Ue, snobbando invece quelli del governo, mentre il blocco delle opposizioni, momentaneamente ricompattato, chiede le dimissioni del governo, lo scioglimento del parlamento e l’indizione di nuove elezioni; la liberazione di Yulia Timoshenko e il rilascio di tutti i prigionieri politici. Questo mentre il capogruppo del partito ‘Patria’, Arseni Iatseniuk, ha affermato che la crisi in corso nel paese "non può essere risolta con metodi parlamentari" perché "non è una crisi parlamentare", ma "una crisi politica ed economica di tutta l'Ucraina". Il Partito delle Regioni al governo e Iatseniuk si accusano vicendevolmente di star preparando una escalation: basterebbe la morte di un manifestante o di un poliziotto a scatenare l’inferno.
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