03/01/2014
Fallujah e Ramadi nelle mani di Al Qaeda
L'Iraq dimenticato chiude nel sangue il suo 2013: secondo dati delle Nazioni Unite, l'anno appena trascorso ha segnato un amaro record, l'anno con più vittime dai tempi dell'invasione americana nel 2003 ad oggi. Oltre 7mila civili hanno perso la vita in un'escalation di violenza e terrore, che ha lasciato il Paese in un clima da guerra civile.
Scontri tra forze governative e miliziani sunniti e attacchi terroristici perpetrati da gruppi vicini ad Al Qaeda sono l'esempio del violento settarismo che ha investito l'Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. E sebbene Baghdad abbia tentato in ogni modo di tenersi fuori dal conflitto siriano, le deboli prese di posizione del governo Maliki a favore del presidente Assad e l'ingresso di armi e miliziani in Iraq non hanno impedito il "contagio".
"Si tratta di un triste e terribile record - ha commentato il capo missione Onu, Nickolay Mladenov - che conferma ancora una volta l'urgente necessità in capo alle autorità irachene di indirizzare le radici della violenza per spezzare questo infernale circolo".
E se a monte delle violenze sta lo scontento della componente sunnita della popolazione, che accusa il governo di discriminazione sociale e politica, l'altra ragione di tanta brutalità è il radicamento di Al Qaeda nel territorio. Nonostante la guerra contro il terrorismo lanciata da George W. Bush avesse come target proprio la rete islamista, dopo otto anni di occupazione militare statunitense Al Qaeda è più forte che mai: miliziani armati girano per le strade di molte città irachene nella provincia di Anbar (diventata il campo di battaglia tra governo e islamisti), occupando stazioni di polizia e basi militari abbandonate dalle forze governative. Il premier Maliki ha fatto appello alle tribù sunnite perché impediscano l'ingresso dei miliziani jihadisti e si appoggino allo Stato, ma il trattamento riservato loro negli ultimi anni da Baghdad ha spezzato i già deboli legami.
Ad oggi gruppi legati ad Al Qaeda controllano parte della città di Fallujah e di quella di Ramadi, dopo violenti scontri che hanno insanguinato le due comunità. Lunedì le violenze sono esplose a Ramadi quando le forze governative hanno attaccato un accampamento di protesta sunnita. A ruota è seguita Fallujah: "La metà di Fallujah è nelle mani dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante e l'altra metà nelle mani di tribù armate - ha detto un funzionario del Ministero dell'Interno all'AFP - A Ramadi è lo stesso, alcune aree controllate dall'ISIL e altre dalle tribù".
Mercoledì la polizia irachena ha lasciato le sue postazioni a Fallujah e a Ramadi, dopo incendi appiccati contro le stazioni di polizia: dopo la fuga dei poliziotti, uomini armati hanno liberato oltre 100 prigionieri e si sono impossessati delle armi. Il bilancio di tre giorni di scontri non è ancora chiaro: almeno 35 i morti, oltre 70 i feriti, secondo gli ospedali di Anbar; molti di più quelli conteggiati dalle autorità irachene (108 morti).
A monte delle gravi tensioni che stanno gravando sull'Iraq sta l'incapacità di un governo imposto da Washington che negli ultimi anni non ha saputo ricostruire il Paese, a partire dalle infrastrutture fondamentali, dalle reti idriche e fognarie, dai posti di lavoro e dalle attività produttive. Un governo, quello guidato da Maliki, il cui operato è macchiato dall'altissimo tasso di corruzione e concussione, che fa dell'Iraq uno dei Paesi più corrotti al mondo. Infine, la mancata capacità di pacificare la nazione, garantendo uguali diritti a tutte le minoranze, sunniti in testa, oggi marginalizzati dalle politiche dell'esecutivo e target delle forze di polizia.
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