02/05/2014
Nell’Iraq con 3 anime è gara elettorale per restare uno Stato
Seggi elettorali chiusi in Iraq e spoglio delle schede per il nuovo parlamento. Affluenza ‘ufficiale’ alle urne circa il 65%, superiore a quella vigilata dalla truppe Usa del 2010. Mancano i dati della provincia di Anbar, dove le milizie qaediste hanno cercato di impedire l’esercizio del voto
L’Iraq degli arabi sunniti di Baghdad che con Saddam avevano il potere ma sono senza petrolio; a sud gli arabi sciiti a Bassora che confinano con l’Iran e galleggiano sul petrolio; a nord i kurdi tra mondo arabo e Turchia con la loro capitale Arbil e tanto petrolio. L’Iraq è ancora un Paese unitario? Facendo finta che in Iraq esista, avrebbe vinto la democrazia, la scelta di partecipare. Tanti iracheni a scegliere nonostante la sfida del terrore. Fossero veri i dati ufficiali forniti dell’Ufficio elettorale centrale. Il leader sunnita Iyad Allawi, ex premier, con la tv “al Arabiya” s’è limitato a parlare di “dati alti”. Numero di elettori e poi la politica: lo stesso Allawi si è inoltre detto “convinto di poter formare, dopo le elezioni, una nuova coalizione di maggioranza stringendo alleanze con diverse forze politiche”. Mancano in realtà dati attendibili per una previsione di alleanze non azzardata.
Nouri al Maliki, premier uscente ed esponenti di punta della componente araba sciita, principale protagonista della tornata elettorale, proprio sul quesito sull’esistenza sostanziale di uno stato che il dopo colonialismo ha chiamato Iraq pone il problema chiaramente: “Pronto a dare vita a una coalizione con altri partiti, a condizione che ci si impegni a mantenere unito l’Iraq e si prendano le distanze dalle milizie e dalla violenza settaria che minano l’identità nazionale irachena”. Difficile al momento soltanto immaginare questa ritrovata (e forse mai esistita) unità nazionale irachena dopo una difficile e feroce campagna elettorale. “Invito tutti a lasciarsi il passato alle spalle - ha aggiunto al Maliki - per porre le fondamenta del nuovo Stato nazionale e delle nuove istituzioni”. Il rito della forma democratica è stato celebrato, molto più difficile il percorso verso i contenuti democratici.
Sono le prime elezioni dal ritiro delle truppe americane nel 2011, ma la situazione per il Paese non è certo migliorata, anzi: lo stato della sicurezza è sempre più critico, tra divisioni politiche, conflitti settari e attacchi terroristici dei gruppi filo-qaedisti come l’ISIS o ISIL, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Solo lo scorso anno sono state 9mila le vittime della violenza, mentre sono già 3mila dal gennaio di quest’anno ad oggi. Di fatto nel Paese imperversa una guerra civile che si è esaltata nella competizione elettorale. 46 morti lunedì, vigilia del voto, a nord est di Baghdad; 25 vittime e quasi 40 feriti nella città curda di Khanaqin. Una raffica di attacchi ai seggi elettorali è il metodo dei gruppi jihadisti già utilizzato in Afghanistan per ostacolare le elezioni e “convincere” gli elettori a restare a casa. Sicurezza autogestita dagli iracheni abbastanza efficace anche contro autobomba.
Un Iraq blindato, politicamente traballante e socialmente ed etnicamente diviso quello che ha votato di fatto su un eventuale terzo mandato a Nouri Al Maliki, dopo 8 anni già passati al potere. Nessuna previsione possibile. Quadro politico frammentato soprattutto tra schieramenti etnici e religiosi. Forze in campo. Coalizione ‘Stato di Diritto’, 7 partiti prevalentemente sciiti e laici del premier uscente Al Maliki. ‘Al Muwatin’, principale forza di opposizione, guidata da Ammar Al Hakim del Consiglio Supremo Sciita iracheno. Nel 2010 la comunità sunnita, attraverso ‘Iraqiya’, ottenne la maggioranza dei seggi ma fu battuta dall’alleanza degli sciiti con la premiership ad Al Maliki. Spaccature in casa sunnita. Al nord solo l’Alleanza Curda: il partito dell’attuale presidente iracheno Jalal Talabani e da quello del presidente del Kurdistan Masoud Barzani.
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