''Quello che sta succedendo in Medio Oriente oltre che un'emergenza umanitaria è legato alla sicurezza europea e italiana'', ha affermato il ministro degli esteri Mogherini in una intervista comparsa oggi su La Repubblica. ''Non possiamo più affrontare le crisi in Libia, Siria e Iraq separatamente una dall'altra - prosegue il ministro -. Serve un progetto per tutta l'area e questo va fatto coinvolgendo tutti gli attori, alcuni dei quali finora non si sono parlati. Sono convinta che questo possa essere un compito all'altezza delle aspirazioni e dell'impegno internazionale dell'Ue''. In un passaggio il ministro Mogherini sfodera l’assioma che potrebbe (o vorrebbe) portarla allo scranno di responsabile esteri dell’Unione Europea: ''Credo che sia il tempo di assumerci le nostre responsabilità di europei, e di agire da protagonisti nel mondo''. Un linguaggio che evoca ambizioni globali per la Ue e che viene appena stemperato da un altro passaggio “Stiamo già lavorando con tutti gli attori della regione, a partire dall'Iran e dalla Turchia, fino ai paesi del Golfo. Soprattutto puntiamo su una prospettiva più ampia: ritengo fondamentale la costruzione di un nuovo equilibrio regionale in Medio Oriente che coinvolga tutti gli attori rilevanti su tutti gli scenari di crisi, anche perché sono profondamente connessi'', ha spiegato il ministro degli Esteri lasciando intravedere una linea di politica internazionale formalmente non conflittuale con nessuno degli attori agenti nella regione. Ma intanto le scelte concrete fatte – armare i curdi iracheni, ignorare quelli che combattono contro la Turchia – è già un brutto segnale.
Ma l’idea che continua a ronzare nella testa del governo Renzi è quella di un intervento “stabilizzatore” in Libia. Se il presidente della Commissione Esteri Latorre (Pd) lo ha evocato esplicitamente richiamandosi all’esperienza dell’Unifil in Libano, nei colloqui al Cairo tra Renzi e Al Sisi l’ipotesi è aleggiata piuttosto chiaramente. Non solo. Il governo Renzi, oggi presidente del Semestre Europeo, viene sollecitato a conquistarsi “autorevolezza” attraverso un intervento militare da qualche parte (vedi Piero Ignazi su La Repubblica di lunedi 18 agosto). E allora? E allora mentre il ministro Mogherini la prende alla larga, questo tarlo della Libia cresce dentro le stanze del governo cominciando a mettere sul piano il rapporto tra costo e benefici. “Diciamolo fuori dai denti, la stabilità di una Libia unitaria interessa solo noi. La Nato, con gli Usa lontani, militarmente conterebbe come la Ue: assai poco. Nemmeno il flusso dei migranti preoccupa l’Europa, se il commissario per gli affari interni, Cecilia Malmström, ci ha appena spiegato che ci sta portando enormi benefici” sottolinea il gen, Arpino su Affari Internazionali. Ma il problema, come al solito, è non agire da soli. “Prima di pensare ad una missione militare dell’Onu, cui, in questo momento, sarebbe oltremodo difficile assegnare un mandato, serve ancora molto lavoro di preparazione” scrive Arpino. “Ed è proprio qui che l’Italia potrebbe distinguersi, prendendo l’iniziativa. Per esempio, tentando di organizzare a Roma una conferenza semipermanente di tutte le parti in causa, che includa le diverse componenti libiche, l’Egitto, la Tunisia e l’Algeria, da sempre interessata ad una stabilizzazione del Sud”. Una linea di prudenza quella suggerita dal gen. Arpino, membro del direttivo del maggiore think thank italiano (l’Istituto Affari Internazionali, ndr).
Ma la cautela non sembra essere nelle corde di Renzi che mostra invece la fregola di mostrarsi anche su una tribuna internazionale come un leader decisionista. Ma lo scenario complessivo sul Medio Oriente adombrato dal ministro Mogherini, confinerebbe l’Italia in un ruolo marginale. E la Libia invece sta lì, dall’altra parte del Mediterraneo. Continua a spedire sulle nostre coste migliaia di immigrati mentre rende fragili le linee di approvvigionamento energetico assicurate fino al 2011 dal regime di Gheddafi che l’Italia ha contribuito a destabilizzare. Il richiamo del controllo sulla “quarta sponda” comincia a farsi sentire sempre più forte. A pensarla male anche questo incidente tra i due Tornado militari sui cieli della Marche sembra meno casuale di quello che vogliono far apparire. Alcuni dei piloti avevano partecipato ai bombardamenti sulla Libia nel 2011. Le missioni di bombardamento sulla Libia tre anni fa sono state 456, solo considerando quelle di "attacco al suolo contro obiettivi predeterminati" (310) e quelle di "neutralizzazione delle difese aeree nemiche" (146), senza contare gli "attacchi a obiettivi di opportunità". Nelle missioni Odyssey Dawn e Unified Protector l'Italia ha schierato nella base di Trapani caccia F16, Eurofighter, Tornado e Amx, oltre ad altri velivoli, impiegandone fino a 12 nella stessa giornata. Se l'autorevolezza sul piano internazionale richiede che si vada a bombardare da qualche parte, meglio cominciare dal "cortile di casa" sembrano indicare i suggeritori di Renzi.
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