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19/09/2014

Yemen - Gli Houthi entrano nella capitale, 60 morti in 48 ore

Ribelli Houthi in un accampamento alle porte di Sana’a all’inizio di settembre (Foto: Reuters/ Khaled Abdullah)
Evaporata la fragile intesa di cui si parlava solo una settimana fa, è di nuovo guerra tra i ribelli Houthi e le forze governative yemenite a stragrande maggioranza sciita. Questa volta il campo di battaglia è la capitale Sana’a dove questa mattina, stando a quanto riporta la Reuters, gruppi di ribelli sciiti Houthi sono entrati dalla periferia nord-ovest per poi scontrarsi nel quartiere al-Shamlan con le forze governative, circondando l’università al-Iman considerata il centro di formazione dei radicali sunniti. I morti sarebbero oltre 60 in 48 ore, mentre migliaia di persone, secondo l’Associated Press, sarebbero in fuga dal quartiere settentrionale della capitale.

Nelle ultime settimane i manifestanti Houthi, minoranza sciita del nord-ovest del paese a lungo repressa (con l’aiuto dei carri armati e delle milizie armate dall’Arabia Saudita) ed esclusa dal potere, avevano bloccato la strada principale per l’aeroporto di Sana’a e si erano accampati davanti ai ministeri chiedendo una maggiore rappresentanza, la cacciata del governo e il ripristino dei sussidi tagliati dallo Stato nel mese di luglio, come parte di un pacchetto di riforme economiche. Dopo che il presidente Abd Rabbo Mansour al-Hadi aveva promesso di formare un nuovo esecutivo di unità nazionale e di fare marcia indietro sul taglio ai sussidi per il carburante, era iniziato il dialogo con le istituzioni, che una settimana fa’ si vociferava fosse culminato in un accordo tra i ribelli e il governo. Ma poi lunedì scorso gli Houthi avevano annunciato di non voler più partecipare ai negoziati con il governo yemenita a causa di quello che da loro è definito un ”intervento straniero” nelle discussioni.

Che si tratti dell’ingombrante vicino saudita, da sempre invischiato nelle trame yemenite per bilanciare una maggioranza sciita che ha sempre temuto, è scontato, ma in realtà i rapporti di forza all’interno del panorama sunnita dello Yemen appaiono modificati in questi ultimi mesi. Principale bersaglio della rabbia degli Houthi non sembra tanto il governo, quanto l’espressione politica più potente dei rivali sunniti, ovvero il partito al-Islah. Il cuore della formazione è costituito dai fedeli del generale Ali Mohsen, ex numero due del regime di Saleh, assieme al clan al-Ahmar (nemico storico degli Houthi la cui roccaforte si trova nell’Amran, al margine del territorio dei ribelli sciiti) e ai gruppi legati ai Fratelli Musulmani: la transizione verso un nuovo governo nel 2012, di fatto dettata da Riyad, ha permesso a questo partito-ombrello di occupare posti chiave nel governo e nelle forze armate. Un tempo strettamente legato all’Arabia Saudita, che al confine lo ha usato in chiave anti- Houthi, è stato ora messo nella lista nera dalla monarchia wahhabita per i rapporti troppo stretti con i Fratelli Musulmani.

Negli ultimi mesi gli Houthi sono passati da gruppo ribelle a forza politica capace di movimentare migliaia di persone nella capitale Sana’a contro “l’incapacità e la corruzione del governo”, con una notevole crescita in campo militare che li ha portati a conquistare lo scorso mese la zona di Amran, roccaforte del clan sunnita al-Ahmar. Secondo gli osservatori, l’avanzata degli Houthi è stata possibile anche grazie alla complicità del presidente Hadi che, se non ha sostenuto, ha per lo meno lasciato fare, sperando in un indebolimento di Islah che adesso è in effetti alle strette, tanto che il segretario generale del Partito Islah, Abdul Wahab Al-Anisi, ha parlato di incompetenza dell’esercito (riformato da Hadi nel 2012), ma anche di “tradimento” del presidente. Non è chiaro quale sarà la prossima mossa di Riyad per contrastare la “minaccia sciita” che emerge dal suo vicino meridionale, sempre più instabile per la presenza qaedista e i venti di separatismo nel sud de paese, schiacciato da una povertà e un’arretratezza quasi endemiche e da un’ancestrale rivalità clanica che condiziona ogni aspetto della sua vita politica: ma certo è che non resterà a guardare.

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