Mentre migliaia di persone a Rahat, cittadina beduina del Negev,
partecipavano ai funerali di Sami Ibrahim Zayadna, ucciso domenica negli
scontri con la polizia israeliana mentre si celebrava il funerale di un
altro palestinese colpito a morte sempre dalle forze dell’ordine,
centinaia di palestinesi di Israele manifestavano nelle principali città
del Paese contro le discriminazioni continue che subiscono in uno Stato
che si vuole democratico, ma che in realtà li condanna a una vita da
cittadini di serie B dalla giustizia al diritto di espressione.
A scatenare la rabbia della minoranza palestinese in Israele è stato
l’ennesimo ‘incidente’ durante il corteo funebre per un palestinese di
Rahat, Sami al-Jaar, 22 anni, colpito a morte mentre era seduto nel
patio di casa sua da un proiettile sparato dalla polizia durante gli
scontri con alcuni giovani palestinesi nel suo quartiere mercoledì
scorso. Stando alle parole del portavoce della polizia israeliana Micky
Rosenfeld, una camionetta che sorvegliava il funerale di al-Jaar
domenica sarebbe stata attaccata da “centinaia di persone che lanciavano
pietre”. Le forze dell’ordine israeliane avrebbero quindi usato “armi
non letali” per sedare la rivolta, come i gas lacrimogeni che hanno
ucciso per asfissia Sami Ibrahim Zayadna e ferito altre 40 persone, di
cui tre in gravi condizioni.
L’Alto Comitato dei cittadini arabi di Israele ha quindi indetto uno
sciopero generale ieri, che si è prolungato fino a oggi, contro gli
abusi della polizia nei confronti della minoranza palestinese. Centinaia
di persone si sono radunate a Haifa, Jaffa, Beersheba, Nazareth e
Rahat, cui si sono aggiunti cortei di studenti degli atenei di Tel Aviv,
Ben Gurion, Haifa e dell’università ebraica di Gerusalemme. I
palestinesi di Israele ammontano circa a 1.7 milioni di persone, quasi
il 20 percento della popolazione dello Stato ebraico e, come denunciano
le organizzazioni per i diritti umani, subiscono dozzine di
discriminazioni, dall’organizzazione politica all’accesso alle risorse del paese, dalla terra all’educazione.
Secondo Salah Mohsen, coordinatore di Adalah, il centro
legale per i diritti della minoranza araba di Israele, Zayadna sarebbe
il cinquantesimo arabo-israeliano morto per mano della polizia dal 2000,
quando 13 palestinesi disarmati furono uccisi durante una
manifestazione in Galilea. Stando alle denunce di Adalah, il
corpo investigativo del ministero della Giustizia israeliano, Mahash,
non farebbe abbastanza per indagare sugli omicidi di palestinesi:
secondo un rapporto pubblicato nel settembre del 2014, infatti,
su 11.282 denunce per cattiva condotta della polizia depositate tra il
2011 e il 2013, il 93 percento e’ stato archiviato da Mahash con o senza
indagine e solo il 2,7 percento ha portato all’incriminazione degli
ufficiali.
Sul banco degli imputati, come riporta al Jazeera, non ci
sono solo le autorità israeliane, ma anche i rappresentanti politici
della minoranza palestinese: troppo preoccupati, secondo gli attivisti
che hanno organizzato lo sciopero, dall’avvicinarsi delle elezioni
parlamentari, “reagiscono – ha dichiarato Georges Ghantous, uno degli
organizzatori della mobilitazione di Haifa – senza guidare la comunità.
Non fanno abbastanza contro le leggi razziste e le uccisioni della
polizia, ma la verità e che non possono fare nulla”. “La brutalità della
polizia e i ripetuti omicidi – conclude Nadim Nashif, direttore del
gruppo di pressione per la gioventù araba di Israele Baladna – mostrano come le autorità israeliane non ci pensino due volte prima di ucciderci. Le vite palestinesi qui non contano”.
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