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21/01/2015

Corea del Nord e hacker della NSA

di Mario Lombardo

Una nuova sospetta “esclusiva” pubblicata in prima pagina lunedì dal New York Times avrebbe dovuto servire a dissipare le perplessità di coloro che nelle scorse settimane avevano messo in dubbio la versione del governo americano circa l’attacco informatico subito da Sony Pictures a partire dal mese di novembre. Secondo la Casa Bianca, cioè, a fare apparire in rete una serie di e-mail confidenziali della compagnia assieme ad alcuni film non ancora usciti nelle sale era stata un’operazione ben pianificata condotta da hacker riconducibili al regime della Corea del Nord.

Gli Stati Uniti avrebbero le prove di prima mano della responsabilità di Pyongyang poiché l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) già nel 2010 era riuscita a penetrare i sistemi informatici nordcoreani, così da monitorare le attività in questo ambito del paese del nord-est asiatico.

In particolare, gli agenti della NSA avrebbero accesso alle reti cinesi a cui la Corea del Nord si connette per entrare in contatto con il resto del mondo. L’operazione USA avrebbe avuto successo grazie “all’aiuto della Corea del Sud e di altri alleati americani”, almeno secondo quanto riferito da funzionari del governo di Washington e da esperti informatici, tutti rigorosamente anonimi.

Gli autori dell’articolo dedicano poi ampio spazio alla descrizione degli sforzi del regime stalinista per creare un’unità di hacker che conterebbe attualmente circa seimila membri, partendo dai tentativi di costruire i primi computer nel 1965. Oggi, a guidare le operazioni di hackeraggio nordcoreane sarebbero i servizi segreti di questo paese e, in particolare, il cosiddetto “Ufficio 121”, che avrebbe, secondo il Times, una “imponente filiale in Cina”.

Da circa un decennio, aggiunge l’articolo, gli Stati Uniti impiantano programmi di sorveglianza e “occasionalmente” anche “malware distruttivi” nei sistemi informatici dei loro avversari. Grazie a essi, per quanto riguarda la Corea del Nord, la NSA avrebbe potuto determinare con esattezza la provenienza dei recenti attacchi diretti contro Sony Pictures.

Quest’ultima compagnia sarebbe stata il bersaglio degli hacker di Pyongyang perché aveva in programma di fare uscire nelle sale cinematografiche il film “The Interview”, nel quale due giornalisti americani vengono assoldati dalla CIA per assassinare il leader nordcoreano, Kim Jong-un. Molti esperti, tuttavia, avevano apertamente messo in discussione la versione di Washington, riconducendo piuttosto l’attacco a un ex dipendente di Sony Pictures o, tutt’al più, a hacker che avevano indirizzato di proposito le indagini verso la Corea del Nord.

Ad ogni modo, il pezzo in questione sembra essere stato dettato dal governo americano al giornale newyorchese, presumibilmente il più autorevole negli Stati Uniti, allo scopo di orientare l’opinione pubblica in una direzione ben precisa. Il rilievo dato alla “rivelazione” delle presunte prove incontrovertibili della colpevolezza della Corea del Nord ha fatto in modo che praticamente tutte le testate americane riprendessero la notizia senza un minimo di analisi critica.

I giornalisti del New Yok Times hanno a loro volta riportato pari pari quanto riferito dalla macchina dell’intelligence USA, astenendosi dal ricercare riscontri o, tantomeno, dallo sciogliere gli interrogativi che la notizia ha suscitato.

In realtà, i due autori sono stati costretti ad ammettere che il monitoraggio dei sistemi informatici nordcoreani da parte della NSA solleva una logica domanda, vale a dire perché il governo, se era a conoscenza delle intenzioni degli hacker di Pyongyang, non abbia fatto nulla per mettere in guardia i vertici di Sony Pictures. Della risposta o di una possibile ipotesi circa le ragioni del silenzio del governo, non vi è tuttavia traccia nell’articolo, nonostante le numerose fonti governative a disposizione.

Le spiegazioni, a rigor di logica, possono essere due: l’attacco contro Sony Pictures non è giunto dalla Corea del Nord oppure, se i responsabili sono effettivamente da ricercare a Pyongyang, il governo USA ha lasciato di proposito che l’attacco andasse a buon fine, così da sfruttare l’episodio per aumentare le pressioni sul regime e, indirettamente, sul suo principale alleato, la Cina.

Un’altra questione sollevata dall’articolo del New York Times e messa ancor meno in rilievo è poi la stessa penetrazione da parte della NSA nei sistemi informatici di un paese sovrano, ancorché nemico.
Per la galassia dei media “mainstream” negli Stati Uniti, la questione della legittimità di simili operazioni non è nemmeno in discussione, anche se esse confermano come gli USA, a fronte delle accuse di hackeraggio frequentemente rivolte ai propri rivali, siano i principali responsabili degli attacchi informatici che avvengono nel pianeta.

La vicenda che ha coinvolto Sony Pictures è stata dunque sfruttata da Washington per imporre nuove sanzioni nei confronti della Corea del Nord, colpita anche da almeno un paio di black-out delle connessioni Internet nelle ultime settimane. Allo stesso modo, le accuse indirizzate al regime di Kim Jong-un da parte di membri del governo americano si sono spesso accompagnate a “inviti” alla Cina a fare di più per richiamare all’ordine l’alleato “comunista”.

Questo irrigidimento dell’amministrazione Obama è stato seguito invece da una serie di aperture manifestate dei nordocoreani. Recentemente, il regime ha proposto ad esempio colloqui diretti con Washington, ipotizzando anche la sospensione di un nuovo test nucleare se per il 2015 gli USA avessero cancellato le esercitazioni militari congiunte in programma con le forze armate della Corea del Sud.

Come quasi sempre è accaduto in passato, anche in questo caso il governo americano ha però respinto le offerte provenienti da Pyongyang, prospettando anzi possibili ulteriori misure punitive.
Lo stesso governo sudcoreano ha mostrato il proprio allineamento a Washington attorno alla questione del proprio vicino settentrionale, nonostante la presidente, Park Geun-hye, abbia solo pochi giorni fa affermato di essere pronta a incontrare Kim Jong-un e a discutere senza precondizioni.

L’aggravamento dello scontro in Asia tra gli Stati Uniti e la Cina - e i loro rispettivi alleati - non promette quindi nulla di buono nemmeno per la penisola di Corea, uno dei tanti fronti teatro del conflitto in atto tra le prime due potenze economiche del pianeta.

Al di là della disponibilità mostrata dalla Corea del Nord, perciò, gli USA sembrano intenzionati a ricorrere a qualsiasi provocazione, anche da essi creata a tavolino, per mettere all’angolo il regime di Kim, i cui legami con Cina e Russia minacciano di complicare ulteriormente una crisi che appare sempre più vicina al punto di non ritorno.

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