di Mario Lombardo
Una nuova sospetta “esclusiva” pubblicata in prima pagina lunedì dal New York Times
avrebbe dovuto servire a dissipare le perplessità di coloro che nelle
scorse settimane avevano messo in dubbio la versione del governo
americano circa l’attacco informatico subito da Sony Pictures a partire
dal mese di novembre. Secondo la Casa Bianca, cioè, a fare apparire in
rete una serie di e-mail confidenziali della compagnia assieme ad alcuni
film non ancora usciti nelle sale era stata un’operazione ben
pianificata condotta da hacker riconducibili al regime della Corea del
Nord.
Gli Stati Uniti avrebbero le prove di prima mano della
responsabilità di Pyongyang poiché l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale
(NSA) già nel 2010 era riuscita a penetrare i sistemi informatici
nordcoreani, così da monitorare le attività in questo ambito del paese
del nord-est asiatico.
In particolare, gli agenti della NSA
avrebbero accesso alle reti cinesi a cui la Corea del Nord si connette
per entrare in contatto con il resto del mondo. L’operazione USA avrebbe
avuto successo grazie “all’aiuto della Corea del Sud e di altri alleati
americani”, almeno secondo quanto riferito da funzionari del governo di
Washington e da esperti informatici, tutti rigorosamente anonimi.
Gli
autori dell’articolo dedicano poi ampio spazio alla descrizione degli
sforzi del regime stalinista per creare un’unità di hacker che
conterebbe attualmente circa seimila membri, partendo dai tentativi di
costruire i primi computer nel 1965. Oggi, a guidare le operazioni di
hackeraggio nordcoreane sarebbero i servizi segreti di questo paese e,
in particolare, il cosiddetto “Ufficio 121”, che avrebbe, secondo il Times, una “imponente filiale in Cina”.
Da
circa un decennio, aggiunge l’articolo, gli Stati Uniti impiantano
programmi di sorveglianza e “occasionalmente” anche “malware
distruttivi” nei sistemi informatici dei loro avversari. Grazie a essi,
per quanto riguarda la Corea del Nord, la NSA avrebbe potuto determinare
con esattezza la provenienza dei recenti attacchi diretti contro Sony
Pictures.
Quest’ultima compagnia sarebbe stata il bersaglio degli
hacker di Pyongyang perché aveva in programma di fare uscire nelle sale
cinematografiche il film “The Interview”, nel quale due giornalisti
americani vengono assoldati dalla CIA per assassinare il leader
nordcoreano, Kim Jong-un. Molti esperti, tuttavia, avevano apertamente
messo in discussione la versione di Washington, riconducendo piuttosto
l’attacco a un ex dipendente di Sony Pictures o, tutt’al più, a hacker
che avevano indirizzato di proposito le indagini verso la Corea del
Nord.
Ad
ogni modo, il pezzo in questione sembra essere stato dettato dal
governo americano al giornale newyorchese, presumibilmente il più
autorevole negli Stati Uniti, allo scopo di orientare l’opinione
pubblica in una direzione ben precisa. Il rilievo dato alla
“rivelazione” delle presunte prove incontrovertibili della colpevolezza
della Corea del Nord ha fatto in modo che praticamente tutte le testate
americane riprendessero la notizia senza un minimo di analisi critica.
I giornalisti del New Yok Times
hanno a loro volta riportato pari pari quanto riferito dalla macchina
dell’intelligence USA, astenendosi dal ricercare riscontri o, tantomeno,
dallo sciogliere gli interrogativi che la notizia ha suscitato.
In
realtà, i due autori sono stati costretti ad ammettere che il
monitoraggio dei sistemi informatici nordcoreani da parte della NSA
solleva una logica domanda, vale a dire perché il governo, se era a
conoscenza delle intenzioni degli hacker di Pyongyang, non abbia fatto
nulla per mettere in guardia i vertici di Sony Pictures. Della risposta o
di una possibile ipotesi circa le ragioni del silenzio del governo, non
vi è tuttavia traccia nell’articolo, nonostante le numerose fonti
governative a disposizione.
Le spiegazioni, a rigor di logica,
possono essere due: l’attacco contro Sony Pictures non è giunto dalla
Corea del Nord oppure, se i responsabili sono effettivamente da
ricercare a Pyongyang, il governo USA ha lasciato di proposito che
l’attacco andasse a buon fine, così da sfruttare l’episodio per aumentare
le pressioni sul regime e, indirettamente, sul suo principale alleato,
la Cina.
Un’altra questione sollevata dall’articolo del New York Times
e messa ancor meno in rilievo è poi la stessa penetrazione da parte
della NSA nei sistemi informatici di un paese sovrano, ancorché nemico.
Per la galassia dei media “mainstream” negli Stati Uniti, la
questione della legittimità di simili operazioni non è nemmeno in
discussione, anche se esse confermano come gli USA, a fronte delle
accuse di hackeraggio frequentemente rivolte ai propri rivali, siano i
principali responsabili degli attacchi informatici che avvengono nel
pianeta.
La vicenda che ha coinvolto Sony Pictures è stata dunque
sfruttata da Washington per imporre nuove sanzioni nei confronti della
Corea del Nord, colpita anche da almeno un paio di black-out delle
connessioni Internet nelle ultime settimane. Allo stesso modo, le accuse
indirizzate al regime di Kim Jong-un da parte di membri del governo
americano si sono spesso accompagnate a “inviti” alla Cina a fare di più
per richiamare all’ordine l’alleato “comunista”.
Questo
irrigidimento dell’amministrazione Obama è stato seguito invece da una
serie di aperture manifestate dei nordocoreani. Recentemente, il regime
ha proposto ad esempio colloqui diretti con Washington, ipotizzando
anche la sospensione di un nuovo test nucleare se per il 2015 gli USA
avessero cancellato le esercitazioni militari congiunte in programma con
le forze armate della Corea del Sud.
Come
quasi sempre è accaduto in passato, anche in questo caso il governo
americano ha però respinto le offerte provenienti da Pyongyang,
prospettando anzi possibili ulteriori misure punitive.
Lo stesso governo sudcoreano ha mostrato il proprio allineamento a
Washington attorno alla questione del proprio vicino settentrionale,
nonostante la presidente, Park Geun-hye, abbia solo pochi giorni fa
affermato di essere pronta a incontrare Kim Jong-un e a discutere senza
precondizioni.
L’aggravamento dello scontro in Asia tra gli Stati
Uniti e la Cina - e i loro rispettivi alleati - non promette quindi
nulla di buono nemmeno per la penisola di Corea, uno dei tanti fronti
teatro del conflitto in atto tra le prime due potenze economiche del
pianeta.
Al di là della disponibilità mostrata dalla Corea del
Nord, perciò, gli USA sembrano intenzionati a ricorrere a qualsiasi
provocazione, anche da essi creata a tavolino, per mettere all’angolo il
regime di Kim, i cui legami con Cina e Russia minacciano di complicare
ulteriormente una crisi che appare sempre più vicina al punto di non
ritorno.
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