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19/02/2015

Francia, il colpo di mano di Hollande

di Michele Paris

Al fine di implementare le “riforme” di libero mercato ordinate dai centri del potere economico-finanziario e osteggiate dalla gran parte delle popolazioni, i governi europei continuano a mostrare una totale assenza di scupoli nel calpestare o, quanto meno, forzare le regole democratiche consolidate. Un caso esemplare di questa attitudine si è osservato martedì in Francia, quando il governo “socialista” del primo ministro, Manuel Valls, e del presidente, François Hollande, ha fatto ricorso a una discussa norma costituzionale per fare approvare un pacchetto di legge senza il voto dell’Assemblea Nazionale, ovvero la camera bassa del parlamento di Parigi.

La manovra si è resa necessaria in seguito alla probabile bocciatura che attendeva la cosiddetta “Legge Macron” (“Loi Macron”), contro la quale avevano dichiarato di voler votare contro anche svariati deputati del Partito Socialista. La legge in questione prende il nome dal ministro dell’Economia, l’ex banchiere d’investimenti Emmanuel Macron, e contiene, tra l’altro, misure per liberalizzare il mercato del lavoro e una serie di professioni, limitare alcuni diritti dei lavoratori dipendenti e privatizzare numerose aziende pubbliche.

Contro la legge, alcuni mesi fa erano state registrate varie proteste in Francia e la sua presentazione da parte del governo ha contribuito al livello infimo di gradimento goduto attualmente dal presidente Hollande e dal suo partito.

Le politiche di austerity e di liberalizzazione dell’economia perseguite dai governi “socialisti” succedutisi negli ultimi tre anni non solo hanno provocato un’esplosione del conflitto sociale in Francia ma, di riflesso, hanno aperto profonde divisioni all’interno dello stesso partito al potere. Una consistente “fronda” è infatti critica verso il nettissimo spostamento a destra del governo e minaccia costantemente di negare il proprio appoggio alle iniziative di legge d’impronta liberista presentate in Parlamento.

Nell’estate del 2014 lo scontro interno al Partito Socialista era addirittura sfociato nel licenziamento di alcuni ministri, tra cui quello dell’Economia, Arnaud Montebourg, dopo che questi ultimi avevano criticato pubblicamente la deriva reazionaria dell’esecutivo guidato da Valls.

Le difficoltà e gli espedienti anti-democratici intrapresi dal primo ministro e da Hollande per fare avanzare la propria agenda ultra-liberista sono la conseguenza della crescente impopolarità della loro azione politica. L’approvazione di iniziative come quella avanzata forzatamente questa settimana è dunque possibile solo grazie a manovre di più che dubbia legittimità, necessarie per piegare l’opposizione dalla maggior parte dei francesi.

Per quanto riguarda la Legge Macron, il governo sembrava inizialmente certo di ottenere i voti per la sua approvazione ma, con l’approssimarsi dell’appuntamento in aula, alcuni deputati della “fronda” socialista hanno manifestato l’intenzione di votare contro il provvedimento invece di astenersi, come avevano fatto finora sulle questioni più delicate per non mettere a rischio l’esecutivo.

Secondo il quotidiano Libération, Valls si è trovato di fronte al rischio di vedere bocciato il provvedimento per una manciata di voti e ha deciso così di chiedere al presidente Hollande di ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione transalpina. Questo articolo consente al governo di far passare un testo di legge all’Assemblea Nazionale senza un voto dell’aula e di inviarlo direttamente al Senato.

Una “mozione di censura” può essere però presentata dall’Assemblea per bloccare la legge, ma essa necessita del voto della maggioranza assoluta dei suoi membri e, in caso di esito positivo, determina automaticamente la caduta del governo.

Il calcolo di Hollande e del governo è apparso subito evidente. Mentre i deputati socialisti rivoltosi erano pronti a bocciare la Legge Macron, essi non saranno con ogni probabilità disposti a prendersi il rischio di mettere in crisi il governo e forzare nuove elezioni che penalizzerebbero severamente il loro partito, favorendo in primo luogo il Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Allo stesso tempo, il presidente spera di ricompattare in qualche modo la sua maggioranza, almeno momentaneamente, offrendo inoltre ai deputati “dissidenti” la copertura politica necessaria per appoggiare il governo pur mostrandosi contrari ad approvare la Legge Macron.

Una “mozione di censura” è stata comunque presentata dai deputati dei principali partiti di opposizione di centro-destra - UMP (Unione per un Movimento Popolare) e UDI (Unione dei Democratici e Indipendenti) - ma, nel dibattito previsto per giovedì, le possibilità che venga approvata risultano praticamente nulle vista la maggioranza detenuta dai “socialisti” e dal loro partner di governo (Partito Radicale di Sinistra, PRG).

La presa di posizione delle opposizioni, in ogni caso, non comporta una critica al pacchetto di legge Macron, ma è a sua volta una manovra politica per provare a far cadere il governo o, per lo meno, acuire le divisioni nel Partito Socialista.

In Francia, all’articolo 49.3 della Costituzione viene fatto raramente ricorso da parte dei presidenti. L’ultima volta fu nel 2006 con Jacques Chirac all’Eliseo e Dominique de Villepin alla guida di un governo che cercava di imporre un’altra “riforma” del mercato del lavoro nonostante le proteste di piazza. In quell’occasione, lo stesso Hollande aveva condannato duramente l’iniziativa, bollandola come “un atto di brutalità”, “la negazione della democrazia” e un modo per “impedire il dibattito parlamentare”.

I tre leader “socialisti” - Hollande, Valls e Macron - hanno ad ogni modo difeso la decisione di fare appello all’articolo 49.3, motivandola con la necessità di approvare a tutti i costi un provvedimento che servirebbe “per il bene del paese”. Il presidente ha mostrato tutte le sue inclinazioni democratiche mercoledì, affermando che il governo “non aveva tempo da perdere né rischi da prendere”. Il ministro Macron ha invece ricordato la presunta disponibilità del governo a discutere la legge che porta il suo nome, alla quale sarebbero stati accettati “più di mille emendamenti”.

Gli sviluppi di questa settimana in Francia confermano l’aggravamento della crisi in un cui si dibattono il presidente Hollande e il suo governo. La leadership “socialista” ha scelto di rischiare uno scontro frontale con i parlamentari “ribelli” del partito pur di riuscire a mandare in porto un pacchetto di “riforme” profondamente impopolari ma chieste a gran voce dai vertici europei, da Berlino e, più in generale, dagli ambienti del business domestico e internazionale.

Leggendo tra le righe di quanto ha scritto mercoledì il Wall Street Journal, risultano chiare le forze che agiscono sull’adozione di politiche di destra a Parigi come altrove in Europa. La testata americana ha ricordato come, “da anni, Hollande sia esposto alle pressioni di Germania e UE per implementare le riforme economiche”.

“Con una crescita ferma allo 0,4% negli ultimi tre anni e la disoccupazione in doppia cifra”, spiega il Journal, “la Francia è in ritardo anche rispetto alla timida ripresa economica dell’eurozona”. Il prossimo 27 febbraio, infine, “il ramo esecutivo dell’Unione Europea [Commissione Europea] dovrà decidere se applicare sanzioni contro la Francia per avere ripetutamente mancato le scadenze fissate per la riduzione del deficit di bilancio”.

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