Pochi giorni fa, altre persone sono morte nel Mar Mediterraneo: 38 persone, ma secondo alcuni testimoni, le vittime sarebbero circa 300.
I media mainstream chiamano questi eventi sciagure, tragedie, disgrazie, come se il mare fosse di per sé un'avventura mortale e l'affrontarlo, determinasse il rischiare la propria esistenza. Qualcuno li chiama “viaggi della speranza” quasi fossero una sorta di pellegrinaggio religioso per chiedere una guarigione. Per quanto riguarda i “pellegrini” che affrontano il mare, si tratta di profughi, se va bene rifugiati, nella maggior parte dei casi “clandestini”.
L'aggettivo viene utilizzato come un sostantivo a sé che richiama nell'opinione pubblica, lo spettro di qualcosa di illegale, torbido, nascosto; qualcuno in procinto di giungere in Italia per operare chissà quale devastazione sociale ed economica.
Nei fatti, l'unica differenza tra chi si sposta da un Paese all’altro, riguarda quanto denaro possiedono. Se hanno la carta di credito sono viaggiatori, turisti, studiosi e mille altre cose, indipendentemente dal Paese di provenienza; se sono poveri e arrivano su un barcone di fortuna, l'unico termine caratterizzante è “clandestini”. Ma la vita delle persone che attraversano il mare non ha mai contato granché per i governi italiano ed europeo. Ce lo raccontano le leggi inique come quella sul reato di clandestinità; si affronta la questione solo dal punto di vista emergenziale senza rispondere al reale bisogno di certezze e diritti dei migranti.
I clandestini contano per la Lega di Matteo Salvini che li adopera come spauracchio sociale. Contano per gli affaristi che fanno denari nella gestione dei centri di accoglienza.
Quelli che muoiono, non contano per nessuno; invisibili, come le loro tombe, inghiottite nel Mare Nostrum.
In momenti di crisi, come quella che si profila in Libia, la stampa di regime gioca un ruolo essenziale nel manipolare le opinioni. Un paio di giorni fa, il Corriere della Sera titolava “Doppio fronte, mai stati così esposti”, riferendosi alla imminente, presunta invasione di duecentomila clandestini pronti - o costretti - ad imbarcarsi. Accanto alla paura che i tagliagole dell'Isis attacchino l'Italia (arrivando sui barconi?!), si paventa l'incubo immigrazione creando nel contempo patetiche giustificazioni ad una eventuale aggressione militare italiana alla Libia sfasciata dal precedente intervento del 2011.
Ci si prodiga spesso a parlare delle conseguenze, ma mai delle cause degli eventi che sconvolgono intere società. Ci si scorda sempre il ruolo fondamentale che gli attacchi occidentali hanno avuto e hanno nella destabilizzazione del mondo arabo. O forse abbiamo la memoria così corta da non ricordare l’intervento statunitense in Iraq, Afghanistan, etc. o quello europeo in Libia e in tutto il Nord Africa? Non siamo così ingenui da non pensare che l’attacco imperialista sferrato dall’occidente non abbia contribuito a rafforzare, legittimare e far dilagare le bande dell’Isis.
E' abbastanza evidente che l'Unione Europea abbia molto interesse a controllare la Libia per le sue risorse energetiche e la sua posizione strategica nel Maghreb (causa). È vero che con l'attacco al governo Gheddafi (fatto), l’Unione Europea ha contribuito fortemente a destabilizzare un territorio già instabile, rafforzando la guerra tra tribù e l’avanzata dell’Isis (conseguenza). Altra conseguenza, i flussi migratori aumentano, e la gente cerca di ripararsi e fuggire dalla guerra, trovando scampo dove almeno per ora la guerra pare non esserci.
Ma oggi assistiamo alla completa inversione di cause ed effetti. Evocando lo spettro dell’Isis come causa di un crescente odio e scontro tra civiltà, si pianifica un intervento militare per destabilizzare ancora di più l’area. Per risolvere il problema dei profughi (di guerra), si pianificano sbarramenti e nuovi interventi militari.
A scuola invertire cause e conseguenze può far rimediare 4 in pagella... su altri fronti può portare a catastrofi irrimediabili.
Pina Zechini (Radio Machete, Bologna)
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