Non sono un pacifista per principio, detesto il Califfato e i suoi fanatici tagliagole, tengo ben distinte le ragioni della politica da quelle dell’etica, come mi ha insegnato zio Nicolò, sono per il realismo politico e mi sforzo sempre di considerare con occhio non prevenuto le ragioni di chi dice cose opposte alle mie, ma, devo confessare che, per quanto rigiri la questione da tutte le parti, non riesco a trovare un solo motivo serio per un intervento italiano in Libia, in questo momento.
Ci si dice che gli alleati dell’Isis siano sul punto di conquistare l’intera Libia, col che i nostri interessi in quel paese sarebbero definitivamente compromessi e, soprattutto, ci troveremmo gli jihadisti sul portone di casa o, al meglio un failed state, rifugio di criminali e terroristi, a 350 km dalle nostre coste.
Ma le cose stanno davvero così? Sino a pochissime settimane fa la situazione libica era molto disgregata con un governo riconosciuto all’estero (una coalizione molto composita) che siede a Tobruk e al Bayda, un alleato dell’Isis a Derna ed un altro gruppo islamista (ma rivale del Califfato) che esercita un controllo malcerto di Tripoli, mentre le zone interne di Tripolitania e Cirenaica, nonché l’intero Fezzan, continuano ad andare avanti nella loro logica tribale estranea.
Cosa è cambiato in così breve tempo? Non mi pare che gli uomini dell’Isis stiano arrivando a Tobruk e forse il “governo” di Tripoli si è alleato con loro (forse, molto forse), ma certo l’Isis non ha conquistato in toto l’ex capitale, tantomeno mi pare che si sia esteso il loro dominio sulle zone interne. Insomma di una Libia tutta votata al Califfato non mi pare che si possa parlare.
Quanto poi alle minacce all’Italia, è credibile che ci siano infiltrati nella massa di profughi e che possano esserci attentati sul nostro suolo, sono possibili anche attacchi missilistici (sembra che l’Isis abbia a disposizione M-75 capaci di colpire a 170 Km di distanza o Tow - Tubelaunched optically tracked wire-guided, cioè un missile guidato, lanciato da tubo che potrebbero colpire il sud della Sicilia), ma nessuna di queste forme di attacco necessita di una base territoriale controllata stabilmente, perché gli attentati sono una classica forma di guerra non ortodossa e quei missili non necessitano di particolari basi stabili ed è possibile utilizzarli anche da basi provvisorie. Ragion per cui, anche una eventuale operazione tesa a debellare l’insediamento territoriale dell’Isis, non impedirebbe affatto azioni di questo genere.
Non mi pare che sia da prendere in considerazione, neppure per scherzo, l’ipotesi di uno “sbarco” dell’Isis sulle coste italiane, per il quale si immagina che abbiamo una marina militare bastevole ad impedirlo.
Quindi, il pericolo maggiore è quello di un attentato terroristico – sempre possibile – o di un attacco missilistico, sempre che sia vero che l’Isis abbia a disposizione questo tipo di armamenti e sappia usarli correttamente. Mi sembra più materia di intervento dell’intelligence, eventualmente supportata da azioni di commandos, che roba da attacco con forze regolari.
L’idea di un intervento fa sorgere una serie di domande cui occorre dare una risposta prima dell’intervento e sottolineo il prima.
Una prima domanda: abbiamo una stima, per quanto approssimativa, di quali siano le forze, in uomini ed armamenti, del nemico che dobbiamo combattere? Perché, per ponderare l’entità del contingente occorre sapere contro chi sta andando a combattere. Ho sentito la Pinotti parlare, piuttosto a vanvera per la verità, di un contingente di 5.000 uomini. Con un contingente così non si combina nulla. Non abbiamo a disposizione dati apprezzabili sulla forza degli avversari (Tripoli e Derna insieme, dovremmo presupporre) ma, considerata la resistenza che stanno opponendo alle forze di Tobruk rincalzate dall'aviazione egiziana, non pare che si tratti di roba tanto leggera. Per di più, vorrei far presente che da quelle parti gli italiani non hanno lasciato un gran bel ricordo, avendo compiuto atrocità di guerra di ogni tipo, per cui il riflesso della popolazione locale sarebbe immediatamente negativo: l’intervento sarebbe vissuto come il soprassalto di un’infame dominazione coloniale.
Noi europei ci siamo dimenticati della colpa originale del colonialismo, e troppo spesso immaginiamo che se ne siano dimenticati anche i nostri colonizzati. Non è così: è bene che ce lo mettiamo in testa una volta per tutte. Dunque, almeno dal punto di vista psicologico sarebbe un vero disastro. Quanto poi all’operazione militare, mi sembra molto più realistico il calcolo di chi parla di un corpo di spedizione di 60.000 uomini con almeno 2.500-3.000 blindati fra carri e mezzi di trasporto. Domande: quanto costa? Chi paga?
La Pinotti mi sembra un po’ a digiuno di questa materia e sarebbe bene che qualcuno le spiegasse che questa non è una partita di risiko.
Altra domanda: dove sbarchiamo? Escluso uno sbarco diretto nelle zone controllate dal nemico (non siamo al D-Day in Normandia), questo significa sbarcare nelle zone controllate dagli amici di Tobruk e va bene, ma cosa ne pensano gli egiziani che sono lì a due passi? Siamo sicuri che vogliamo le stesse cose? Non è un mistero, sin dagli anni venti, che l’Egitto ha sempre avuto mire sulla Cirenaica che è il “forziere petrolifero” della Libia. Non è detto che si debba passare per un’annessione diretta, potrebbe esserci una fase di “protettorato” garantito dal fedele alleato gen Khalifa Haftar, per avviare la separazione della regione dal resto della Libia, per poi passare all’annessione.
Con i pozzi cirenaici l’Egitto diverrebbe una potenza energetica di primo piano e potrebbe credibilmente rilanciare il suo progetto di egemonia sullo schieramento panarabo. Magari è una soluzione che può trovare il nostro gradimento, ma forse no: vogliamo discuterne o stiamo andando a scuotere l’albero perché altri raccolgano i frutti?
Ed Algeria e Tunisia, paesi confinati dall’altra parte della Libia, proprio a ridosso della Tripolitania, che ne pensano? Abbiamo avviato una azione diplomatica per capire quale sia il loro atteggiamento? In fondo, l’insediamento del Califfato ai loro confini dovrebbe preoccuparli ben di più di quanto non preoccupi noi.
Ancora: qual è il piano di azione che intendiamo attuare? Certo non si può pretendere che il governo riveli i segreti militari, ma, come è accaduto per Afghanistan, Iraq, Kosovo ecc, almeno per grandi linee si può avere una idea del tipo di azione che i nostri soldati vanno a fare?
E qui viene l’osservazione più scabrosa: ma siamo sicuri che la spedizione di 5.000 uomini non si risolva in un disastro che sarebbe un trionfo per gli islamisti? E potrebbero esserci anche altri sviluppi: che ne dite del rischio di impantanarci in una guerriglia pluriennale? Abbiamo i polmoni finanziari per una cosa del genere?
Più ancora: quale sarebbe la reazione del mondo arabo ed islamico all’ennesimo intervento militare di un paese occidentale in un paese islamico dopo le guerre di Afghanistan, Iraq, Somalia, Mali. Libia stessa? Non mi pare ci voglia alcuna particolare scienza per capire che il rischio di attentati terroristici crescerebbe in modo esponenziale.
Capita che possano arrivare a cariche governative dei dilettanti allo sbaraglio, ma ci sono occasioni in cui il dilettantismo può sfociare nella criminalità pura e semplice. Per una volta mi pare che Renzi abbia fatto una cosa giusta mettendo il bavaglio a quella congrega di incapaci che lui ha avuto il torto di portare al governo, ma sia chiaro che anche un mandato dell’Onu non cambierebbe nulla nel quadro che abbiamo delineato: un attacco italiano (o di altro paese europeo) alla Libia, politicamente sarebbe solo un grosso favore al Califfato.
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