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18/02/2015

Nasrallah esorta i libanesi a combattere l'Isis in Siria. Gli avversari lo contestano.

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Ha rea­gito con sde­gno il mini­stro della giu­sti­zia liba­nese Ash­raf Rifi al discorso pro­nun­ciato mar­tedì da Has­san Nasral­lah, segre­ta­rio gene­rale del movi­mento sciita liba­nese Hez­bol­lah. «Non abbiamo par­lato finora dell’Iraq, ma abbiamo una limi­tata pre­senza (nel Paese) a causa della fase deli­cata che l’Iraq sta attra­ver­sando», ha detto Nasral­lah. Secondo Rifi que­sta ammis­sione e l’esortazione del lea­der sciita a tutto il Libano ad unirsi alla bat­ta­glia in Siria con­tro l’Isis e i qae­di­sti di al Nusra – «A coloro che ci chie­dono di riti­rarci dalla Siria – ha affer­mato il lea­der di Hez­bol­lah — io dico: Andiamo insieme in Siria e in Iraq e in ogni altro posto dove vi sia una minac­cia per il futuro delle nostra nazione» — con­fer­me­rebbe un totale asser­vi­mento del movi­mento sciita agli inte­ressi stra­te­gici dell’Iran. Il com­mento di Rifi si uni­sce all’appello a riti­rarsi dalla Siria che l’ex pre­mier sun­nita e lea­der del par­tito anti­si­riano Musta­q­bal, Saad Hariri, ha rivolto a Hez­bol­lah al suo rien­tro in Libano, in occa­sione dell’assassinio del padre, Rafik, avve­nuto 10 anni fa sul lun­go­mare di Bei­rut. E anche alla dura con­danna del discorso di Nasral­lah pro­nun­ciata ieri dal depu­tato, sem­pre di Musta­q­bal, Ahmad Fat­fat. Com­menti che fanno sor­ri­dere. Come se il Libano, senza Hez­bol­lah, fosse un paese libero dal con­trollo stra­niero. Come se, una volta rien­trati a casa i com­bat­tenti sciiti, non ci fos­sero in Siria tanti altri liba­nesi, pagati da gene­rosi finan­zia­tori del Golfo, che com­bat­tono con­tro l’esercito gover­na­tivo nei ran­ghi di al Nusra, dell’Esercito siriano libero e anche dell’Isis.

Hariri e il suo par­tito sono l’espressione poli­tica più com­piuta della longa manus dell’Arabia Sau­dita sul Paese dei Cedri. Rap­pre­sen­tano gli inte­ressi di Riyadh in Libano. E nono­stante le sue recenti con­danne del sala­fi­smo radi­cale, a Tri­poli, sto­rica roc­ca­forte sun­nita, Hariri con i suoi soldi ha con­tri­buito a tenere aperte non poche delle moschee e delle scuole cora­ni­che che hanno alle­vato gli avver­sari (armati) degli ala­witi liba­nesi e di non pochi jiha­di­sti poi finiti in Siria, nelle mili­zie schie­rate con­tro le forze armate gover­na­tive. L’attuale pre­mier liba­nese Tam­mam Salam non avrebbe potuto sedersi sulla pol­trona che occupa senza l’appoggio dell’Arabia Sau­dita. E non si può dimen­ti­care l’influenza degli Stati Uniti e della Fran­cia sulle scelte delle forze poli­ti­che liba­nesi dello schie­ra­mento filo-occidentale “14 marzo”. Non pochi liba­nesi descri­ve­vano come “il vero primo mini­stro” Jef­frey Felt­man, ex amba­scia­tore degli Usa a Bei­rut tra il 2004 e il 2008 (anni cal­dis­simi per il Libano), poi assi­stente del Segre­ta­rio di Stato per il Medio Oriente. Da parte sua l’ex pre­si­dente fran­cese Nico­las Sar­kozy impar­tiva veri e pro­pri ordini agli amici liba­nesi, su cosa fare o non fare nei con­fronti di Bashar Assad che, a sua volta, mano­vra tante pedine nel Paese dei Cedri – ben oltre l’appoggio che gli garan­ti­sce Hez­bol­lah — nono­stante le dif­fi­coltà enormi che deve affron­tare in casa a causa della guerra civile.

Le perenni riva­lità, l’abituale scam­bio di accuse che segna da 10–12 anni la scena poli­tica liba­nese, hanno messo in ombra pas­saggi del discorso di Nasral­lah altret­tanto inte­res­santi oltre quello sulla pre­senza dei com­bat­tenti sciiti liba­nesi anche in Iraq (peral­tro nota da tempo). Il segre­ta­rio gene­rale di Hez­bol­lah ha par­lato «di can­celli di una solu­zione poli­tica che dovreb­bero essere aperti... l’opposizione non estremista... deve entrare in un accordo con il regime, per­ché il regime è pronto per una solu­zione». Già in un pre­ce­dente discorso, qual­che mese fa, Nasral­lah aveva avan­zato, seb­bene in modo vago, l’idea di un pro­cesso di cam­bia­mento a Dama­sco nei pros­simi anni. Nel qua­dro di una solu­zione ampia, di lungo ter­mine e con­di­visa, e senza l’uscita di scena imme­diata di Assad come chiede con insi­stenza l’opposizione siriana. D’altronde anche l’inviato spe­ciale dell’Onu per la Siria, Staf­fan De Mistura, ora parla di Assad come parte della solu­zione per la Siria, almeno in una fase transitoria.

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