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03/05/2015

Milano. Quello che va detto


E’ tempo di valutazioni su quanto accaduto a Milano con la manifestazione nazionale No Expo, ma il primo errore da evitare è quello di una valutazione circoscritta ai "fatti" avvenuti durante una manifestazione.

Questa è l’operazione sistematica che il sistema dei media adotta e dunque non può essere il nostro. Una manifestazione nazionale, tra l’altro, non è che un momento di passaggio e di sintesi di un percorso iniziato da tempo e che dovrebbe – anche in questo caso – indicare i passi del percorso successivo.

Il secondo errore è quello di concentrare l’attenzione e dividersi nelle valutazioni sugli e degli scontri avvenuti. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che una manifestazione convive con una dualità al proprio interno. Se non possiamo che riaffermare una distanza stellare da azioni che colpiscono allo stesso modo la vetrina di una banca e quella di un normale esercizio commerciale, di un costosissimo Suv e una utilitaria, dobbiamo anche sottolineare come non siano gli incidenti in piazza – più o meno gravi – a “nascondere” le ragioni dei manifestanti quanto, piuttosto, il sistema dei media e dei loro azionisti di riferimento.

Spesso, troppo spesso, proprio l’assenza di incidenti fa sì che manifestazioni pacifiche di migliaia di persone vengano vergognosamente silenziate. Ignorate come se non fossero mai avvenute. Come ebbe a dire un veterano del sindacalismo proprio all’indomani di una manifestazione sindacale a Milano, anche quella ignorata dai media: “la prossima volta rompo una vetrina, così dovranno accorgersi del perché migliaia di lavoratori sono scesi in piazza”.

Non solo. Da mesi ormai, da quando al potere si è insediato Renzi – quello che Marchionne e soci “hanno messo lì” – nel paese e nelle sue relazioni si è imposta una governance autoritaria che nega ogni possibilità di dialogo o modifica delle decisioni imposte dal governo: dalle leggi contro-costituzionali al jobs act, dalla scuola alla legge elettorale. E allora? Se le manifestazioni pacifiche o le opposizioni parlamentari non hanno la possibilità di incidere sulle scelte, che cosa si pretende?

Milano ha visto scendere in piazza quasi quarantamila persone, in larghissima parte giovani e lavoratori dei settori a rischio, contro l’Expo, ossia contro una costosissima (per noi) vetrina per le multinazionali che ha devastato un intero territorio e le casse pubbliche. Ma soprattutto contro l'"esperimento" politico del lavoro gratuito e del divieto di sciopero per la durata dell'"evento".

Contro tale progetto sono otto anni che comitati, reti sociali, collettivi si stanno battendo punto su punto. Dunque la mobilitazione No Expo non è nata il 1 maggio a Milano, ma è il risultato di un lungo lavoro. Il governo e i poteri forti hanno spinto il piede sull’acceleratore volendone fare un simbolo, un “pennacchio”, dell’attuale esecutivo. Hanno creato loro stessi l’evento catalizzatore. Il sistema dei mass media ha fatto il resto alimentando per settimane la tensione. Un processo questo che, da un lato vorrebbe allontanare la gente dalle manifestazioni e dall’altro produce l’effetto opposto. Un paradosso? No, proprio perché una manifestazione che possa prevedere scontri di piazza produce l’idea che possa essere una manifestazione più efficace di altre.

Infine, su quanto accaduto in piazza. La partecipazione è stata ampia e con migliaia di persone. Si era capito che l’aria si sarebbe saturata di lacrimogeni e quant’altro, ma nessuno se ne è andato via per questo. Solo alcuni – vedi i soggetti della Coalizione sociale di Landini – se ne sono tenuti alla larga.

La polizia ha adottato una strategia completamente diversa da Genova. Le immagini della macelleria messicana del 2001, anche alla luce della sentenza della Corte Europea, non erano ripetibili. Dunque ha giocato d’anticipo con alcuni blitz, ha chiuso il centro di Milano, ha tenuto a distanza il corteo ed ha ridotto al minimo i danni. Cariche pesanti, lunghe e indiscriminate, avrebbero esteso a macchia d’olio quello che invece è rimasto circoscritto a due punti del percorso. Volendo avrebbe potuto effettuare centinaia di fermi o arresti nel momento in cui la manifestazione si è sciolta perché l’area era completamente circondata. Con molta probabilità agirà nei giorni successivi utilizzando le tecnologie di identificazione e la deterrenza dei capi di accusa (devastazione e saccheggio) come strumento di repressione e ritorsione.

Volendo tirare alcune prime conclusioni, con ancora la stanchezza della manifestazione e del viaggio addosso, ci sembra che la manifestazione di Milano confermi come oggi il conflitto sociale non possa agire dentro contesti che si stanno rivelando inefficaci a tutti i livelli – da quello sindacale a quello parlamentare, da quello sociale a quello politico – e che nessuno possa più permettersi di usare i cosiddetti black block come capro espiatorio delle proprie difficoltà. Dall’altra parte occorre intervenire su alcuni pezzi delle nuove generazioni del conflitto per liberarle “dall’edonismo sfasciatutto” che prescinde dal contesto, dalla reazione dei soggetti sociali, dalla possibilità di creare relazioni, amplificare coalizioni e conflitti. Uno spot che dura il tempo di un telegiornale rimane pur sempre uno spot, che si tratti di un innocuo flash mob o di un assalto alla vetrina di una banca.
Il fatto che i mass media parlino di loro, solo di loro e solo in questo modo, non è la soluzione, è parte del problema. Prima lo si capisce meglio è.

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