Si complica lo scenario in Turchia dopo la strage di Suruc di lunedì, quando un presunto esponente dello Stato Islamico ha fatto esplodere una bomba all’interno del centro culturale Amara facendo strage di giovani di sinistra in procinto di recarsi a Kobane, nel Rojava siriano, per partecipare a una missione di ricostruzione della città devastata dai jihadisti.
Ieri un fronte di organizzazioni marxiste clandestine turche – Dhkp-C, Mlkp e Tikko – ha annunciato l’avvio di una campagna armata contro le forze di sicurezza turche accusate di collaborazione e connivenza con gli assassini dei 32 attivisti uccisi nell’attentato di Suruc. In poche ore militanti del Fronte Popolare (Dhkp-C) hanno mitragliato un commissariato nel quartiere di Gazi a Istanbul, mentre militanti del Partito Comunista Turco Marxista Leninista (l’organizzazione maoista ribattezzata “Tikko”) hanno assaltato una caserma dell’esercito. Azioni simili sono state annunciate anche dall’Mlkp, che fin dall’inizio ha combattuto a fianco delle milizie popolari curde per la difesa di Kobane e di altre località del Kurdistan siriano, e alcuni militanti del quale sono stati uccisi o feriti nell’esplosione di Suruc.
Nelle ultime ore le forze di sicurezza di Ankara hanno risposto con durezza all’iniziativa dell’estrema sinistra turca con una vasta operazione definita ‘antiterrorismo’ – “contro cellule di sinistra, simpatizzanti della guerriglia curda e reti jihadiste” – che ha portato all’uccisione di una militante del Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo, abbattuta durante un conflitto a fuoco con gli agenti nel quartiere Bagcilar di Istanbul. Circa 5000 agenti di polizia, dei quali 2000 delle Forze di Intervento Rapido e con il sostegno dei corpi speciali hanno realizzato all’alba di oggi una maxi retata contemporaneamente in 26 diversi quartieri di Istanbul e in altre 13 province del paese arrestando finora almeno 251 persone, per lo più attivisti di organizzazioni curde e di sinistra e perquisendo 140 abitazioni e locali politici.
L’operazione è scattata, affermano le autorità, dopo che l’altro ieri due poliziotti turchi sono stati giustiziati da una cellula del Partito dei Lavoratori del Kurdistan nella città di Ceylanpinar, a poca distanza con la frontiera siriana nella provincia di Urfa, in segno di rappresaglia dopo la strage di Suruc.
Non solo. Poche ore più tardi il fronte giovanile urbano del Pkk, l’Ydg-H, ha rivendicato l’assassinio del commerciante Mursel Gul, ucciso la sera del 21 luglio a Istanbul con quattro colpi di arma da fuoco perché accusato di essere in realtà un membro dello Stato Islamico. "Noi continueremo le nostre azioni contro le bande dello Stato Islamico, abbiamo identificato numerosi militanti che giustizieremo e puniremo" ha scritto l'organizzazione giovanile del Pkk. "Gli assassini di Suruç pagheranno per i loro delitti".
Negli ultimi anni Gul avrebbe più volte fatto la spola tra Turchia e Siria – ha informato la stessa polizia turca – e dal suo account su Twitter lanciava messaggi di sostegno ai jihadisti. Già lo scorso 19 luglio, inoltre, un soldato turco era morto nel corso degli scontri con manifestanti curdi nella provincia di Adiyaman.
E’ troppo presto per capire se il movimento guerrigliero curdo abbia definitivamente abbandonato la strategia della trattativa con il regime turco – una trattativa in corso da anni che finora non ha portato a nulla di concreto mentre le forze armate di Ankara continuano la repressione e la militarizzazione dei territori a maggioranza curda – e quindi tornerà alla lotta armata con dimensioni di massa come in passato, oppure se le azioni degli ultimi giorni rappresentano un ‘gesto obbligato’ dopo la strage di Suruc.
Certo è che pochi giorni fa il Pkk in un comunicato ha annunciato la fine del cessate il fuoco dichiarato unilateralmente: “I nostri guerriglieri – si può leggere nel comunicato emesso la scorsa settimana – con senso di responsabilità si erano impegnati a onorare il cessare il fuoco fin dall’inizio del processo negoziale, ma il governo turco con azioni arbitrarie ha già ripreso la guerra contro il popolo kurdo. E noi non resteremo in silenzio”.
Fin dal suo insediamento al potere il leader del partito islamista Erdogan ha tentato di risolvere il conflitto con la guerriglia curda tentando di concedere il meno possibile ma comunque in controtendenza rispetto alla tradizionale intransigenza della classe politica nazionalista turca. Ma anni di negoziati e di trattative non hanno prodotto alcun risultato a causa dell’indisponibilità dello stesso partito di governo e delle crescenti pressioni da parte dei nazionalisti di destra dell’Mhp, oltre che di pezzi consistenti degli apparati statali di sicurezza, a concedere maggiori libertà politiche e culturali alla locale comunità curda, anche in conseguenza dell’autogoverno impiantato nel Rojava siriano da organizzazioni come il Pyd gemellate con il Pkk e che fanno temere ad Ankara che il contagio possa superare la frontiera. La strage di Suruc potrebbe far precipitare gli eventi e portare entrambe le parti a riprendere uno scontro senza esclusione di colpi che però avrebbe immediate ripercussioni anche sul fronte politico. A farne le spese sarebbe l’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli che a pochi mesi dalla sua costituzione – nato dalla confluenza tra i partiti della sinistra curda e alcuni gruppi della sinistra radicale turca – all’inizio di giugno ha fatto irruzione nel parlamento statale con un esplosivo 13%. Le minime aperture concesse sul fronte politico dal regime turco negli ultimi anni potrebbero immediatamente sparire, e il muro contro muro potrebbe essere strumentalizzato da Erdogan che potrebbe legittimarsi di fronte all'opinione pubblica nazionalista del paese come imprescindibile difensore dal caos e dalla disgregazione della Turchia. In fondo per buona parte della popolazione turca la guerriglia curda non è meno pericolosa dello Stato Islamico, anzi...
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