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30/07/2015

Palestina - Hamas chiama alla rivolta contro la repressione di Fatah

La faida mai risolta tra Hamas e Fatah ha raggiunto un nuovo apice: dopo la formazione del fallimentare governo di unità nazionale lo scorso anno, le “dimissioni” dell’esecutivo imposte dal presidente dell’Autorità Nazionale, Mahmoud Abbas, ora il movimento islamico alza la voce e chiama alla “rivolta” contro le forze di sicurezza dell’Anp.

Ad annunciare la rottura è stato il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, dopo quanto dichiarato dalla leadership di Fatah domenica scorsa: Azzam al-Ahmad aveva chiesto al governo de facto della Striscia di abbandonare il potere, farsi da parte e lasciare l’enclave palestinese nelle mani di Ramallah. Così, aveva aggiunto al-Ahmad, si sarebbe potuto creare un nuovo governo di unità: Hamas “tolga le mani da Gaza”, condizione alla nomina di un nuovo esecutivo.

La risposta è arrivata ieri: Abu Zuhri ha tacciato l’Anp di voler infiammare le tensioni e accusato il partito rivale di essere il reale responsabile del fallimento dell’unità nazionale. Alle dichiarazioni del portavoce sono seguite quelle dei parlamentari di Hamas, riunitisi ieri nel parlamento di Gaza, che hanno chiamato il popolo alla “rivolta contro gli arresti politici” portati avanti dall’Autorità Nazionale in Cisgiordania e chiesto alle fazioni palestinesi di adottare “una posizione ferma contro i crimini dell’Anp verso la resistenza e i suoi membri”. Tre settimane fa, il 7 luglio, le forze di sicurezza dell’Anp avevano compiuto un’ampia operazione, arrestando oltre 200 membri o sospetti tali del movimento islamista.

Ritorna la stessa narrativa precedente al fittizio processo di riconciliazione: Hamas accusa l’Anp di cooperare con Israele e difendere gli interessi sionisti, tentando di sradicare il braccio della resistenza palestinese in Cisgiordania; l’Anp (e Fatah) puntano il dito sulle azioni controproducenti del movimento islamico, accusato durante l’attacco contro Gaza della scorsa estate di provocare Israele con il lancio di missili.

Muore così il rinnovato negoziato, cominciato dopo l’Eid, la festa di fine Ramadan, e che avrebbe dovuto condurre ad un nuovo esecutivo nazionale. E si rafforza la crisi interna alle due principali fazioni palestinesi, entrambe sempre più isolate a livello nazionale e regionale. Fatah vede crollare giorno dopo giorno il proprio consenso, ai minimi termini tra la popolazione palestinese dei Territori Occupati. Hamas vive una fase simile, a Gaza, dove non è più in grado di amministrare né di controllare i gruppi estremisti salafiti.

E fuori, a causa delle scelte compiute durante la guerra civile siriana, l’abbandono dell’alleato storico Assad e il rafforzamento dei legami con l’Egitto dei Fratelli Musulmani, sarebbe definitiva anche la fine dei rapporti con l’Iran, finanziatore del movimento. Secondo un funzionario di Hamas, rimasto anonimo, Teheran avrebbe deciso di tagliare completamente gli aiuti finanziari al movimento islamista. La notizia è stata riportata da al-Jazeera ma non trova conferma dalla leadership di Hamas: “Tutta l’assistenza è stata interrotta, sia quella civili a Gaza che quella militare ad Hamas. L’Iran ha aiutato enormemente la resistenza in Palestina: senza questa assistenza sarà difficile per noi andare avanti”, avrebbe detto il funzionario alla tv qatariota.

La dichiarazione va presa con le molle, visto il riavvicinamento di Hamas all’Iran degli ultimi mesi: dopo l’uscita dal cosiddetto asse della resistenza, sciita (seppur Hamas sia sunnita), leader di Teheran avevano riallacciato i rapporti con la fazione palestinese. Che, allo stesso tempo, però, si starebbe guardando intorno: girano con insistenza voci di un miglioramento delle relazioni tra Hamas e Arabia Saudita, da sempre impegnata nel fronte anti-Fratellanza: nelle scorse settimane la leadership in esilio ha visitato re Salman a Riyadh, per la prima volta in tre anni.

Un tentativo chiaro da parte saudita: stringere le fila sunnite, anche con soggetti avversari, per indebolire la crescente influenza iraniana nella regione.

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