La faida mai risolta tra Hamas e Fatah ha raggiunto un nuovo apice:
dopo la formazione del fallimentare governo di unità nazionale lo scorso
anno, le “dimissioni” dell’esecutivo imposte dal presidente
dell’Autorità Nazionale, Mahmoud Abbas, ora il movimento islamico alza
la voce e chiama alla “rivolta” contro le forze di sicurezza dell’Anp.
Ad annunciare la rottura è stato il portavoce di Hamas, Sami
Abu Zuhri, dopo quanto dichiarato dalla leadership di Fatah domenica
scorsa: Azzam al-Ahmad aveva chiesto al governo de facto della Striscia
di abbandonare il potere, farsi da parte e lasciare l’enclave
palestinese nelle mani di Ramallah. Così, aveva aggiunto al-Ahmad, si
sarebbe potuto creare un nuovo governo di unità: Hamas “tolga le mani da
Gaza”, condizione alla nomina di un nuovo esecutivo.
La risposta è arrivata ieri: Abu Zuhri ha tacciato l’Anp di voler
infiammare le tensioni e accusato il partito rivale di essere il reale
responsabile del fallimento dell’unità nazionale. Alle
dichiarazioni del portavoce sono seguite quelle dei parlamentari di
Hamas, riunitisi ieri nel parlamento di Gaza, che hanno chiamato il
popolo alla “rivolta contro gli arresti politici” portati avanti
dall’Autorità Nazionale in Cisgiordania e chiesto alle fazioni
palestinesi di adottare “una posizione ferma contro i crimini dell’Anp
verso la resistenza e i suoi membri”. Tre settimane fa, il 7
luglio, le forze di sicurezza dell’Anp avevano compiuto un’ampia
operazione, arrestando oltre 200 membri o sospetti tali del movimento
islamista.
Ritorna la stessa narrativa precedente al fittizio processo di riconciliazione:
Hamas accusa l’Anp di cooperare con Israele e difendere gli interessi
sionisti, tentando di sradicare il braccio della resistenza palestinese
in Cisgiordania; l’Anp (e Fatah) puntano il dito sulle azioni
controproducenti del movimento islamico, accusato durante l’attacco
contro Gaza della scorsa estate di provocare Israele con il lancio di
missili.
Muore così il rinnovato negoziato, cominciato dopo l’Eid, la festa di
fine Ramadan, e che avrebbe dovuto condurre ad un nuovo esecutivo
nazionale. E si rafforza la crisi interna alle due principali
fazioni palestinesi, entrambe sempre più isolate a livello nazionale e
regionale. Fatah vede crollare giorno dopo giorno il proprio consenso, ai minimi termini tra la popolazione palestinese dei Territori Occupati. Hamas vive una fase simile, a Gaza, dove non è più in grado di amministrare né di controllare i gruppi estremisti salafiti.
E fuori, a causa delle scelte compiute durante la guerra civile
siriana, l’abbandono dell’alleato storico Assad e il rafforzamento dei
legami con l’Egitto dei Fratelli Musulmani, sarebbe definitiva anche la
fine dei rapporti con l’Iran, finanziatore del movimento. Secondo
un funzionario di Hamas, rimasto anonimo, Teheran avrebbe deciso di
tagliare completamente gli aiuti finanziari al movimento islamista.
La notizia è stata riportata da al-Jazeera ma non trova conferma dalla
leadership di Hamas: “Tutta l’assistenza è stata interrotta, sia quella
civili a Gaza che quella militare ad Hamas. L’Iran ha aiutato
enormemente la resistenza in Palestina: senza questa assistenza sarà
difficile per noi andare avanti”, avrebbe detto il funzionario alla tv
qatariota.
La dichiarazione va presa con le molle, visto il riavvicinamento di
Hamas all’Iran degli ultimi mesi: dopo l’uscita dal cosiddetto asse
della resistenza, sciita (seppur Hamas sia sunnita), leader di
Teheran avevano riallacciato i rapporti con la fazione palestinese. Che,
allo stesso tempo, però, si starebbe guardando intorno: girano con
insistenza voci di un miglioramento delle relazioni tra Hamas e Arabia
Saudita, da sempre impegnata nel fronte anti-Fratellanza: nelle
scorse settimane la leadership in esilio ha visitato re Salman a
Riyadh, per la prima volta in tre anni.
Un tentativo chiaro da parte saudita: stringere le fila sunnite,
anche con soggetti avversari, per indebolire la crescente influenza
iraniana nella regione.
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