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25/07/2015

Ankara “dichiara guerra” all’Is ma bombarda i curdi. Si di Obama all'invasione della Siria

Che l’inizio delle operazioni militari turche contro le postazioni dello Stato Islamico in Siria nascondesse obiettivi diversi da quelli dichiarati era evidente fin da subito. E’ bastato ascoltare il discorso al paese del premier uscente Ahmet Davutoglu per comprendere come il nemico numero uno di Ankara rimangano i curdi e il governo di Damasco. Se qualche bombardamento contro i miliziani jihadisti dall’altra parte della frontiera servirà a tranquillizzare la scioccata opinione pubblica interna e al contempo a preparare l’intervento diretto nel nord della Siria spazzando via l’autogoverno che i curdi del Pyd hanno costruito insieme alle altre comunità del Rojava ben venga, deve essere il pensiero prevalente nello stato maggiore del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan.

Ed infatti a poche ore dall’inizio dei cannoneggiamenti delle postazioni dello Stato Islamico e dei bombardamenti di alcune ‘casematte’ jihadiste da parte dei caccia turchi in Siria, ecco che la strategia di Ankara sembra delinearsi molto più chiaramente.

Partendo dal fatto - la prima vittoria di Erdogan dopo una lunga serie di rovesci - non certo secondario, che il regime turco ha concesso agli Stati Uniti l’uso della base aerea di Incirlik per bombardare obiettivi dell’Isis, ma solo in cambio del si di Obama a una storica richiesta di Ankara: imporre una no-fly zone sul nord della Siria. Secondo quanto hanno rivelato i quotidiani Hurriyet e Sabah, l’accordo tra Erdogan e Obama prevede che le forze armate turche possano stabilire una “zona di non volo” lunga 90 chilometri all’interno del territorio di Damasco, tra le cittadine siriane di Marea e Jarabulus, rafforzata da una zona cuscinetto sul terreno profonda ben 50 chilometri all'interno del territorio siriano. Di fatto Ankara si prenderebbe un pezzo di Siria, con la scusa di difendere i suoi confini dalle infiltrazioni jihadiste.

In realtà il regime islamista turco da anni permette ai miliziani del Califfato e di altre organizzazioni fondamentaliste di attraversare a proprio piacimento il confine, ha concesso loro armi e rifornimenti, basi di appoggio sul proprio territorio e addirittura di potersi curare negli ospedali turchi. E’ evidente che la no-fly zone e la ‘zona cuscinetto’ in territorio siriano servono a mettere i piedi in un paese sul quale Ankara accampa rivendicazioni territoriali e di cui vuole rovesciare il governo, spazzando via al contempo le milizie curde e ottenendo la possibilità di trasferirvi centinaia di migliaia di profughi siriani che hanno finora trovato rifugio nel sud della Turchia.

In base all’accordo raggiunto tra Washington e Ankara, scrive Hurriyet, "gli aerei Usa equipaggiati con bombe e missili potranno usare la base di Incirlik" per effettuare raid contro l'Isis. Naturalmente i caccia del governo siriano non potranno entrare nella no-fly zone e potranno essere abbattuti se lo faranno. Non è previsto l'invio di truppe di terra Usa in Turchia, ma 50 militari statunitensi arriveranno a Incirlik per dare supporto tecnico ai propri caccia. L'intesa riguarda solo questa base Nato, ma i caccia Usa potranno utilizzare anche gli aeroporti militari di Batman, Diyarbakir e Malatya in caso di emergenza.

Nella 'zona cuscinetto' - che sarà chiamata free zone, "area libera" - non è previsto un intervento via terra dell'esercito turco, ma che il territorio sotto custodia di Ankara venga controllato dalle milizie dell'Esercito Siriano Libero, altra marionetta del fronte anti-Assad e anti-curdo.

Intanto sono i caccia turchi a sganciare bombe. Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa questa notte i bombardieri di Ankara hanno continuato i raid contro le postazioni dei jihadisti in territorio siriano, anche se non è dato sapere né dove esattamente né quali siano stati i danni inflitti al Califfato. Ma soprattutto i caccia turchi hanno preso a bombardare le basi della guerriglia curda. Ad essere prese di mira sono state alcune basi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan sulle montagne del nord dell’Iraq, nella zona di Qandil. Numerosi i villaggi colpiti e i civili feriti secondo quanto raccontano i testimoni oculari.

E come se non bastasse migliaia di poliziotti e di agenti dei nuclei speciali dell’antiterrorismo sono tuttora impegnati nella seconda ondata di una maxiretata che già ieri aveva portato all’arresto di circa 320 persone. Di questi circa 250 sono militanti delle organizzazioni politiche curde e dell’estrema sinistra turca, e poche decine i membri di sigle legati all’universo jihadista, tra i quali anche alcuni volontari stranieri di Al Qaeda o dello Stato Islamico. Stamattina sono continuati i blitz, le perquisizioni e gli arresti ad Istanbul, ad Ankara, ad Adana, Konya e Manisa, con l’uso di blindati ed elicotteri.

Mano pesante anche contro chi protesta. Ieri sera la polizia in assetto antisommossa ha attaccato con gas lacrimogeni, idranti e anche pallottole di gomma migliaia di persone che erano scese in piazza a Istanbul per protestare contro la persecuzione delle organizzazioni della sinistra turca e curda.

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