di Michele Paris
La competizione per la leadership laburista in Gran Bretagna, dopo la
sconfitta patita alle urne lo scorso mese di maggio, sta rapidamente
gettando il partito in una grave crisi, provocata principalmente dal
gigantesco divario esistente tra gli orientamenti dei suoi vertici e
quelli della sua teorica base elettorale.
A scatenare una feroce
polemica all’interno del “Labour” è stata la relativamente sorprendente
ascesa del candidato della sinistra del partito, Jeremy Corbyn, a
tutt’oggi il favorito nella corsa alla sostituzione di Ed Miliband. Il
veterano deputato 66enne ha infatti superato nel gradimento dei
possibili elettori i vari aspiranti segretari di tendenze più moderate o
apertamente schierati con il “New Labour” e l’ex primo ministro, nonché
potenziale criminale di guerra, Tony Blair.
Lo status di
“front-runner” di Corbyn rappresenta una beffa per l’establishment
laburista che teme la sua elezione a segretario, visto che la sua
candidatura era stata sponsorizzata all’ultimo momento proprio da vari
leader del partito contrari alle sue posizioni progressiste. Per un
partito spostatosi nettamente a destra negli ultimi anni e punito
severamente alle urne, molti all’interno di esso auspicavano la presenza
di un candidato di “sinistra”, sia per dare l’impressione dell’apertura
del Labour a tutti gli orientamenti sia, soprattutto, per dimostrare
l’esiguità di un elettorato “radicale” in Gran Bretagna e giustificare
perciò l’abbraccio delle politiche neo-liberiste.
Questa
scommessa sembrava però poter andare a buon fine solo in caso di una
candidatura debole di Corbyn e di un’inevitabile sonora sconfitta, come
avevano agevolmente previsto i leader moderati del partito. L’agenda di
Corbyn, fatta di misure volte a invertire le politiche di austerity
degli ultimi governi laburisti e conservatori, ha al contrario suscitato
una valanga di consensi e un numero inaspettato di nuovi aderenti al
partito, pronti a sostenere il candidato di “sinistra” nelle prossime
elezioni per la leadership.
A favorire il decollo della
candidatura di Jeremy Corbyn è stata anche la modifica delle regole per
l’elezione del leader del partito. A differenza del passato, in questa
occasione chiunque potrà partecipare al voto, a patto che sia disposto a
donare tre sterline al Partito Laburista.*
Decine di migliaia di
persone hanno così aderito al Labour o si sono registrate come
“sostenitori” nelle ultime settimane, provocando non l’esultanza dei
suoi leader ma suscitando bensì un’angoscia diffusa.
Secondo i
sondaggi pubblicati in questi giorni dai media britannici, Corbyn
avrebbe un margine sostanzioso sui suoi sfidanti, essendo attestato in
media attorno al 40% dei consensi, contro circa il 20% degli ex membri
del governo di Gordon Brown, Yvette Cooper e Andy Burnham, e poco più di
un misero 10% della fedelissima di Tony Blair, Liz Kendall. Anche in un
ipotetico testa a testa con Burnham o Cooper, Corbyn risulterebbe al
momento il candidato vincente.
Questi
sviluppi hanno trasformato la sfida interna al Partito Laburista in una
vera e propria farsa. Svariati parlamentari laburisti hanno infatti
manifestato reazioni tra il patetico e l’isteria, denunciando le
modalità con cui si dovrà tenere il voto per il leader del partito. Le
nuove regole avrebbero cioè consentito l’infiltrazione di elementi
“socialisti” e “comunisti” che intendono appoggiare Corbyn.
Per
il deputato John Mann, il voto è a rischio sabotaggio per opera di
individui di “estrema sinistra” che si sono tradizionalmente opposti ai
laburisti e che ora starebbero cercando “espressamente di distruggere”
il partito. Lo stesso Mann ha invitato la leader ad interim del Labour,
Harriet Harman, a controllare in maniera più scrupolosa il profilo dei
nuovi aderenti al partito, visto che la maggior parte di essi sembra
sostenere la candidatura di Corbyn.
Per altri, addirittura, la
competizione per la leadership del partito dovrebbe essere sospesa,
mentre il ministro-ombra per l’Energia, Caroline Flint, ha sostenuto che
“a coloro che non condividono gli obiettivi o i valori del Labour
dovrebbe essere negato il diritto di voto nelle elezioni” per il nuovo
segretario.
Ancora, secondo il Daily Telegraph, se Corbyn dovesse
diventare il prossimo segretario del partito, importanti parlamentari
laburisti starebbero già complottando per la sua deposizione, subito
dopo l’elezione, prevista per settembre, o “tra un anno o due”,
verosimilmente in attesa degli effetti di una campagna politica e di
stampa che prenderebbe di mira fin da subito la sua leadership.
Simili
denunce e minacce fanno seguito alle numerose dichiarazioni rilasciate
settimana scorsa da vari leader ed ex leader laburisti, tutti
preoccupati per le possibili conseguenze di un’eventuale svolta a
sinistra del partito in caso di elezione di Jeremy Corbyn. Liz Kendall e
Yvette Cooper avevano ad esempio affermato di non essere disposte a
prendere parte al governo-ombra sotto la leadership di Corbyn,
prospettando secondo molti l’ipotesi di una futura scissione nel
partito.
Anche Tony Blair, senza apparente imbarazzo, era
intervenuto nel dibattito, esaltando i presunti successi nel passato del
New Labour e mettendo in guardia dai pericoli che comporta l’adozione
da parte del partito di una “vecchia piattaforma di sinistra”.
In
generale, i leader laburisti che si oppongono a Corbyn e i giornali che
sostengono il partito sono impegnati a spiegare come l’unico percorso
per tornare al governo passi attraverso un ulteriore spostamento a
destra. Il ritorno a politiche anche solo vagamente di ispirazione
progressista assesterebbe invece un colpo mortale al Labour,
destinandolo all’irrilevanza politica per decenni. Secondo questa
interpretazione, la sconfitta del Partito Laburista alle elezioni di
maggio sarebbe stata appunto causata dalle posizioni troppo a sinistra
dell’ormai ex leader, Ed Miliband.
La candidatura di un politico
non particolarmente radicale e che promuove più che altro iniziative
tipiche delle socialdemocrazie europee del recente passato è bastata
dunque a smascherare la vera natura del Partito Laburista odierno e la
profonda crisi in cui versa.
Incapace da tempo di formulare una
proposta politica alternativa che vada incontro alla diffusissima
richiesta tra lavoratori e classe media di invertire le devastanti
politiche anti-sociali dei conservatori - e degli stessi precedenti
governi laburisti di Brown e Blair - il Labour rischia di implodere di
fronte alla sola prospettiva di una leadership teoricamente disposta a
fare una reale opposizione nel Parlamento britannico.
La
popolarità di Jeremy Corbyn - al di là delle sue reali intenzioni e
dell’effettiva disponibilità a sfidare l’establishment del partito -
testimonia come un’ampia fetta della popolazione britannica sia
attestata su posizioni molto più progressiste, se non “radicali”, di
quanto ritengano o vogliano far credere i politici laburisti. Questi
ultimi vivono in una realtà parallela a quella della maggioranza dei
loro connazionali e i rapporti che li legano ai poteri forti della
società impediscono loro di comprendere o ammettere come i presunti
punti deboli di Corbyn siano i motivi stessi del suo inaspettato
successo.
Mentre
la leadership laburista solo pochi giorni fa ha ordinato ai propri
deputati l’astensione in Parlamento durante il voto sull’ultima dose di
austerity imposta dal governo Cameron, dopo averne sposato in gran parte
i principi, la maggioranza dei britannici continua ad avere opinioni e a
nutrire aspettative diametralmente opposte.
Mercoledì, ad esempio, il Belfast Telegraph
ha opportunamente ricordato un sondaggio del mese di marzo condotto da
YouGov, nel quale gli interpellati esprimevano opinioni favorevoli, e
con maggioranze schiaccianti, al controllo pubblico di servizi in mano
privata o in fase di privatizzazione, dagli ospedali alle carceri, dalle
scuole alle ferrovie, dalla posta all’elettricità e all’acqua.
Proprio
la ri-nazionalizzazione dei servizi privatizzati in questi anni è uno
dei punti centrali della piattaforma con cui Corbyn si sta candidando
alla guida del Partito Laburista. La sua proposta politica parte dal
presupposto che il Labour rischia una crisi di consensi irreversibile se
non sarà in grado di opporsi all’austerity dominante in Gran Bretagna e
nel resto dell’Europa.
Gli altri punti cruciali della sua agenda
includono infine l’aumento delle tasse per i redditi più alti, la
riduzione delle agevolazioni fiscali per le grandi aziende e un piano di
investimenti pubblici per la realizzazione di progetti di
infrastrutture, tutte proposte viste con orrore dai suoi sfidanti nel
partito.
Se la popolarità di queste e altre iniziative appare
evidente dal gradimento raccolto finora da Corbyn, tutto un altro
discorso è invece la possibilità che anche una sola di esse possa essere
effettivamente implementata all’interno di un partito sclerotizzato e
al servizio delle élite economico-finanziarie britanniche.
Fonte
Le stesse regole del cazzo che nel PD hanno portato alla segreteria Renzi.
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