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27/07/2015

Londra chiama Teheran (ma risponde Berlino)

di Emy Muzzi

Londra. Il comunicato stampa con cui il Foreign Office britannico ha annunciato il via libera, con le debite precauzioni, ai cittadini britannici che volessero visitare l’Iran, ha aperto uno squarcio nel cielo grigio e piovoso di uno dei tanti sabati londinesi. Sì è vero, non è altro che l’estensione diplomatica dell’accordo di Vienna per la non proliferazione del nucleare, eppure la decisione ha il suo peso e il suo senso nel marcare quella che è senza dubbio una vittoria della diplomazia che segna la travagliata storia dei rapporti Iran-Occidente.

L’agreement voluto da Obama, Kerry, Rouhani e il ministro degli esterni iraniano Javad Zarif, apre una nuova fase che, se le 111 pagine del trattato saranno rispettate da Teheran, avrà sviluppi politico economici notevoli.
Ma i limiti restano: se da una parte i ‘Brits’ potranno apprezzare la maestosità dell’Impero Persiano a Teheran o a Persepoli, in caso di necessità non ci sarà ancora un’ambasciata britannica a dar loro sostegno.

L’attacco del 2011 contro la sede diplomatica del Regno Unito a Teheran è ancora storia recente. Ci vorrà tempo perché la Union Jack sventoli di nuovo a Teheran, ma il ministro degli esteri Philip Hammond fa capire, tra le parole, che se la riduzione delle sanzioni da una parte e l’abbandono del programma nucleare a fini bellici dall’altra funzioneranno, l’ambasciata potrebbe anche riaprire.

Per il momento i cittadini britannici dovranno evitare i confini con Pakistan, Afghanistan e Iraq e fare riferimento all’ambasciata svedese. Fatta eccezione per queste aree di crisi il capo del Foreign Office ha dichiarato che “In altre aree dell’Iran il rischio per i cittadini britannici è cambiato, e questo in parte è dovuto alla riduzione dell’ostilità sotto il governo del presidente Rouhani”.

La mossa sullo scacchiere della diplomazia internazionale accende su Londra quella luce che nelle settimane scorse a Vienna era stata oscurata da John Kerry e dalla sua dialettica decisa che se da una parte viene regolarmente smentita dalla malafede della ‘necessità’ di una guerra in Siria, dall’altra ha il pregio di aver imposto dei limiti all’Israele oltranzista di Netanyahu che ha tentato, come sempre, di monopolizzare e strumentalizzare il Congresso Usa ai suoi fini.

La smaccata indipendenza delle dinamiche Usa, e (moderatamente di riflesso) anche Britanniche, dalla violenta opposizione di Israele all’accordo con Teheran è il passo in avanti verso quella marginalizzazione del potere di Benjamin Netanyahu che riequilibra, in parte, l’asse internazionale.

A cosa si deve questa svolta? A chi fa, o faceva comodo, un Iran nemico del mondo, minaccia internazionale e minaccia incombente di morte per Israele? Ai conservatori in Usa e Israele sicuramente, all’industria e commercio legale e illegale di armi, e sul fronte politico alla Russia rispetto al margine d’influenza e strumentalizzazione del mondo islamico in funzione anti occidentale in una fase in cui il conflitto in Ucraina ha inaugurato il ‘revival’ della guerra fredda.

Inoltre c’è una cosa che ha cambiato l’ottica dei Democratici Usa su Israele: la vendita illegale delle armi tecnologiche ‘made in Usa’ alla Cina (su cui pende il bando). Questa porcata gli americani non l’hanno dimenticata e, qui ricordiamo, che la strategia di marginalizzazione di Russia e Cina è la strategia a lungo termine che tiene alta la bandiera filo iraniana.

Nel pur necessario scetticismo, bisogna riconoscere che l’accordo è un passo serio, positivo. Una delle conseguenze immediate risuona nella parola chiave comprensibile in tutte le lingue, anche in persiano: ‘business’.

Se il Regno Unito nel ricostruire il business con Teheran procede ancora con cautela, è Berlino a fare il salto in avanti. Pochi giorni fa Bloomberg ha lanciato la notizia: “Il gruppo Basf sta pianificando la ricostruzione del suo business in Iran”. La potente multinazionale chimica tedesca è pronta a fare affari.
Reduce da una visita, (non turistica) nel regno dell’antica Persia assieme al vice della Merkel, Sigmar Gabriel, il ceo della Basf Kurt Bock ha detto entusiasta in una trionfale conferenza stampa: “La tecnologia, la qualità del lavoro e l’attendibilità tedesche sono altamente apprezzate in Iran, per questo abbiamo grandi possibilità di ricucire e sviluppare vecchi legami”.

Oddio! Ma la Basf non era multinazionale criminale che costruiva elementi chiave per la costruzione di armi chimiche? Speriamo che l’accordo di Vienna non si risolva in una riconversione dell’industria bellica iraniana dal nucleare al chimico...

Fonte

A parte la battuta infelice con cui si chiude l'articolo, nutro profondi dubbi sul fatto che un Iran isolato facesse politicamente comodo alla Russia e più marginalmente alla Cina.

2 commenti:

  1. Caro Re-Carbonized,

    stavo leggendo il suo commento: non vedo scritto nell'articolo quello che lei dice. Nell'articolo c'è scritto: "A chi faceva comodo un Iran nemico del mondo, minaccia internazionale e minaccia incombente di morte per Israele? Ai conservatori in Usa e Israele sicuramente, all’industria e commercio legale e illegale di armi, e sul fronte politico alla Russia rispetto al margine d’influenza e strumentalizzazione del mondo islamico in funzione anti-occidentale".
    Dove sta scritto che faceva comodo alla Cina?
    Tra l'altro si parla di Iran strumentalizzato dalla Russia in quanto stato islamico (non perché isolato);

    Riguardo alla Cina l'articolo dice: "la strategia di marginalizzazione di Russia e Cina è la strategia a lungo termine che tiene alta la bandiera filo iraniana". E' evidente che la strategia è degli USA.
    anche qui non vedo scritta nell'articolo le parole 'Iran isolato' che faccia comodo alla Cina.

    Comunque mi sembra il caso di ricordare in questo contesto la lunga tradizione che lega Cina ed Iran rispetto al nucleare...la battuta sulla Basf, pertanto, ha un suo senso.

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    1. Quel che trovo errato nella porzione di articolo da lei citata è la presunta strumentalizzazione russa di un Iran isolato in funzione anti-occidentale. Dal momento che la Russia è sempre più a corto di referenti "solidi" in Medio Oriente, un Iran internazionalmente sdoganato non può che essergli funzionale sia a livello politico, sia economico.

      Dalla sua seconda citazione deriva la mia critica sulla Cina.
      Se si afferma - correttamente - che la politica estera USA ha per obiettivo il contenimento di Russia e Cina e per raggiungere tale risultato diventa accettabile anche lo sdoganamento della Repubblica Islamica, si afferma implicitamente che l'isolamento di Teheran avrebbe fatto comodo al competitore statunitense per eccellenza: la Cina appunto.
      Anche questo parere lo trovo fallace (ma sarebbe meglio scrivere limitativo) in quanto un Iran libero da sanzioni potrebbe diventare fornitore energetico privilegiato per l'economia cinese oltre a costituire un nuovo bacino di sbocco di una crescita che, per sostenersi ai tassi di odierni, oltre all'espansione del mercato interno, ha bisogno anche di proiettarsi all'estero con la propria capacità d'investimento e l'Iran sarebbe un ambiente sicuramente fertile in tal senso (l'attivismo tedesco lo dimostra).

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