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27/01/2016

Politiche attive del lavoro: la truffa di Garanzia Giovani

Nel paese in cui il picco dei livelli di disoccupazione giovanile tocca il 45% e in cui cresce il numero di soggetti inattivi, appare scontato, nonché doveroso, che i Governi applichino provvedimenti a sostegno dell’occupazione e dell’occupabilità; evidente è poi che, qualora si tratti di uno Stato membro dell’Ue, a maggior ragione se facente parte dell’Eurozona, le politiche attive del lavoro provengano da dettami europei che lasciano ai Governi nazionali il residuale compito esecutivo. Infatti, i tassi di disoccupazione giovanile nei paesi mediterranei dell’Ue, i meno “virtuosi”, fanno stabilmente concorrenza a quelli italiani, che non accennano a calare (nonostante i proclami riguardo alla ripresa della crescita e dell’occupazione con cui Renzi e i ministri del governo a targa Pd avvalorano le loro tesi).

Così, unitamente all’obbligo di riduzione dei diritti sul lavoro, di licenziamenti, di tagli dei salari e delle pensioni, di ridimensionamento del welfare, Bruxelles ha sfortunatamente pensato anche ai giovani disoccupati: a maggio 2014 è partito il programma Youth Guarantee, da non tradurre erroneamente (come invece hanno fatto pressoché tutte le Regioni) con “Garanzia Giovani” ma con “Patto con i Giovani”. Garanzie, infatti, ce ne sono ben poche.

Il programma è rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non svolgono corsi di formazione (i cosiddetti “Neet”, Not in Education, Employment or Training), viene finanziato dal Fondo sociale europeo, curato dalle Regioni con l’ausilio dei Centri per l’impiego e delle Agenzie per il lavoro private (ex Agenzie interinali), e si pone l’obiettivo di incrementare l’occupabilità dei giovani. Occupabilità, non occupazione, poiché i soggetti che al termine del programma verranno effettivamente assunti, infatti, saranno una minima percentuale (inferiore al 10%, a detta degli stessi responsabili del programma) e l’ausilio dello stesso a questo fine sarà stato praticamente nullo.

L’obiettivo è dunque l’incremento dell’occupabilità del giovane disoccupato che vive tale condizione lavorativa a causa, a quanto pare, di una sua carente appetibilità ed adeguatezza al mercato del lavoro (le cui esigenze, in caso di contrasto, prevalgono su qualsiasi proposito di valorizzazione delle competenze del soggetto, così come indicato nel bando stesso del programma).

Ma cosa significa accrescere l’occupabilità di un disoccupato di questa fattispecie? La risposta è semplice: proporgli tutto per non poter fare niente. Garanzia Giovani propone percorsi differenti, con il tutoraggio a scelta tra Centro per l’impiego e dell’Agenzia per il lavoro privato (quest’ultima, ovviamente, retribuita per la sola presa in carico): tra questi vi è il servizio civile, vi sono diversi corsi di alta formazione nei settori che più interessano le imprese (e per i quali viene retribuito l’ente di formazione privato), e vi è il cosiddetto “accompagnamento al lavoro”, niente di più che tirocini semestrali in impresa (che usufruisce di tirocinanti senza alcun onere retributivo). C’è poi una nuovissima opportunità per i neo iscritti al programma: si chiama “Crescere in digitale”, ed è un progetto basato sulla partnership tra Garanzia Giovani, Ministero del Lavoro e... Google! Certo, proprio Google. La multinazionale infatti si occupa della formazione, via telematica, dei giovani iscritti al progetto, attraverso propri manager e consulenti che registrano video e materiali formativi utili poi al ragazzo per sostenere l’esame di ammissione al tirocinio. Un corso di formazione, che si conclude con un esame di verifica delle competenze acquisite utile, poi, a far accedere il giovane al tirocinio semestrale di cui abbiamo già parlato.

Come si è potuta partorire un simile obbrobrio contrario a ogni etica sul lavoro dignitoso? Semplice: è stata un’espressa richiesta delle imprese, e viene detto senza remore. Le imprese private hanno constatato una propria carenza interna nell’ambito della digitalizzazione, carenza che potrebbe portare ovviamente ad una caduta delle possibilità di guadagno per la stessa, e al contempo hanno riscontrato che numerosi tirocinanti (lo ricordiamo, a costo zero per le imprese) non erano adeguatamente formati per far fronte alle necessità aziendali. Il resto vien da sé: nelle lezioni telematiche che si impartiscono ai giovani disoccupati viene spiegata l’attuale logica del mercato del lavoro a cui devono omologarsi, l’opportunità di poter spaziare tra diversi ambiti lavorativi se si è in grado di reinventarsi ed adattarsi, e viene spiegato loro che questo progetto non è assolutamente finalizzato alla loro occupabilità ma al servizio alle imprese. Devono essere d’ausilio per l’impresa in quei sei mesi di tirocinio mal retribuito, hanno bisogno di questo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Al termine del programma il giovane disoccupato avrà compreso l’inestimabile valore del lavoro gratuito (la retribuzione del tirocinio viene denominata rimborso proprio a causa della sua esiguità), l’utile capacità di adattamento, di flessibilità e di resa a quelle che sono misere condizioni lavorative a cui sarà sottoposto, precludendosi la possibilità di pretendere o rivendicarne delle migliori. Avrà imparato, insomma, quelle che sono le nuove regole del mercato del lavoro, quella traccia politica entro la quale si stanno includendo tutti i lavoratori, anche i meno giovani o coloro che avrebbero sperato, di qui a qualche anno, in un pensionamento, e che vedono questo traguardo allontanarsi sempre più. Fra questi, poi, vi è una larga fetta di popolazione definita “inoccupabile”, cioè tutti coloro che, secondo il mercato del lavoro, non possono essere più utili e produttivi nella misura in cui sarebbe necessario, e che vengono esclusi dalle misure di inserimento occupazionale, per quanto fallimentari siano (vedi la sperimentazione del Contratto di Ricollocazione, che ha escluso i disoccupati di lungo corso e i più anziani); sono scelte politiche, e i responsabili in questione non si sforzano di negarlo.

Ma, nonostante la disperazione di chi non ha lavoro e che potrebbe essere spinto ad accettare qualsiasi tipo di proposta, da un lato, e i falsi proclami propagandistici dall’altro, è evidente che il programma sia stato un totale fallimento: il rapporto Adapt di circa un anno fa (ma la situazione non è andata migliorando) dimostra che, a fronte di un larghissimo bacino d’utenza potenziale, gli iscritti al programma sono una minima percentuale e, tra questi, ancor meno coloro che sono stati profilati ed hanno intrapreso uno dei percorsi proposti. D’altro canto, si può facilmente immaginare che un giovane residente in una periferia romana, la cui famiglia non ha ingenti possibilità economiche, ricada più facilmente nelle maglie del lavoro sommerso o dell’illecito piuttosto che attendere mesi per ottenere la retribuzione di un tirocinio, per poi restare sostanzialmente con un pugno di mosche. Ed anche qualora egli fosse ampiamente “occupabile”, la carenza di opportunità lavorative lo porterebbero ad accettare condizioni lavorative al massimo ribasso, offuscando qualsiasi idea per la quale il lavoro si configuri come diritto fondamentale nella sua accezione di lavoro dignitoso ed equamente retribuito.

Questi i motivi per cui lunedì scorso ci siamo recati, insieme a tutti i giovani delusi dal programma Garanzia Giovani, difronte la Regione Lazio, per pretendere lavoro e dignità da chi altro non fa che, in linea con i precetti europei e governativi, scaricare su di noi le politiche di precarizzazione, sfruttamento e svalorizzazione; ed è per questo motivo che, questa mattina, ci siamo recati all’apertura del CPI di Porta Futuro all’interno dell’Università La Sapienza, sede che dedicherà sportelli all’orientamento al lavoro e ai corsi di formazione, all’inserimento all’interno del programma Garanzia Giovani e ad eventi e convegni (es: Career Day), nonché alla consulenza e al sostegno per le imprese che ivi si recheranno.

Di seguito il comunicato della giornata di oggi a Porta Futuro Sapienza.

Questa mattina alcuni studenti dell’Università La Sapienza, insieme a disoccupati e precari delle periferie romane, si sono recati ad offrire il loro particolare “benvenuto” al CPI di Porta Futuro all’interno dell’ateneo, che quest’oggi apre i battenti per primo tra i 7 gemelli che verranno attivati in altrettante università della Regione, per un finanziamento totale di €20 milioni. I disoccupati, i precari e gli studenti, gli sfruttati dai programmi per le politiche attive del lavoro o, peggio ancora, gli esclusi ed emarginati da ogni forma di misura di sostegno all’occupazione, sanno bene cosa significa l’apertura di Porta Futuro dentro gli atenei: significa dar seguito ai dettami europei sulle politiche del lavoro che permeano ogni proclamo, ogni misura e ogni legge del Governo, mero esecutore, targato PD. La loro formazione, le loro ambizioni e la loro vita dovranno ricondursi sempre alla ricerca di un’improbabile indice di occupabilità, ovvero il livello di appetibilità della propria storia formativa e lavorativa per il mercato del lavoro sarà l’indicatore del proprio valore. Le esigenze del mercato del lavoro, le esigenze delle grandi imprese (con cui si sono strette collaborazioni e partnership, così come con le Agenzie per il Lavoro privato) primeggiano sul diritto al lavoro. Porta Futuro, purtroppo non da oggi, è promotrice di questa logica e tende a diffonderla tra i più giovani, coloro i quali dovranno adeguarsi, adattarsi, non pretendere ed essere sfruttati e precari a vita, con una tardiva, misera, o forse completamente inesistente, pensione. Oggi continua la battaglia delle fasce della popolazione sempre più sfruttate e precarie: Il lavoro, congruo alla propria formazione e ambizione, dignitoso e equamente retribuito è un diritto inderogabile! Porta Futuro… di precarietà e sfruttamento!

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