di Michele Paris
Le iniziative del regime nordcoreano, tornate a occupare le prime
pagine dei giornali in queste prime settimane dell’anno, continuano a
essere sfruttate dagli Stati Uniti per esercitare pressioni sulla Cina,
nel quadro del riallineamento strategico americano nel continente
asiatico. L’esempio più recente si è avuto questa settimana durante la
visita di due giorni a Pechino del segretario di Stato USA, John Kerry,
impegnato a sollecitare pubblicamente il governo cinese a fare di più
per contenere la minaccia rappresentata dal vicino indisciplinato.
La
presunta detonazione da parte di Pyongyang di un ordigno all’idrogeno
il 6 gennaio scorso è stata l’occasione per la nuova offensiva
diplomatica internazionale contro il regime di Kim Jong-un, guidata come
al solito da Washington.
Le preoccupazioni americane sono state
espresse proprio da Kerry, il quale ne ha parlato apertamente mercoledì
nel corso di una tesa conferenza stampa con il ministro degli Esteri
cinese, Wang Yi. L’ex senatore Democratico ha assicurato che il suo
paese considera in maniera “estremamente seria” il programma nucleare
nordcoreano ed è disposto ad “adottare qualsiasi misura necessaria per
proteggere il nostro popolo e i nostri alleati”.
Kerry ha poi
aggiunto che gli Stati Uniti “non intendono escludere alcuna opzione”
nel contrastare la minaccia del regime “comunista”, pur non avendo
intenzione di “alimentare le tensioni”. In realtà, il governo americano
utilizza le mosse, spesso sconsiderate, di un regime al limite della
disperazione precisamente per aumentare le tensioni nel nord-est
asiatico, così da giustificare le pressioni sulla Cina e rafforzare la
propria presenza militare.
Infatti, subito dopo il quarto test
nucleare di Pyongyang a inizio gennaio, gli USA e la Corea del Sud hanno
fatto sapere di avere avviato discussioni per posizionare sul
territorio della penisola altre “risorse strategiche”, ovvero
equipaggiamenti militari destinati a far fronte alla minaccia
nordcoreana e non solo. A riprova delle intenzioni americane, qualche
giorno dopo l’esperimento nucleare il Pentagono aveva provocatoriamente
fatto volare sulla penisola di Corea un bombardiere B-52, in grado di
trasportare armi atomiche.
Il segretario di Stato americano, in
ogni caso, ha espresso in maniera chiara ciò che il suo governo si
attende dalla Cina in merito alla questione della Corea del Nord. Dal
momento che l’approccio di Pechino verso l’alleato “non ha funzionato”,
non è più possibile continuare allo stesso modo. Washington chiede
perciò ai cinesi non solo di assecondare una nuova risoluzione ONU,
verosimilmente fatta di ulteriori sanzioni, ma di agire
“unilateralmente” alla luce dell’influenza che Pechino può avere su
Pyongyang.
Lo stesso Kerry ha elencato gli ambiti interessati da
possibili iniziative restrittive, considerando che ci sono “alcuni tipi
di merci e servizi che vengono scambiati tra la Corea del Nord e la
Cina”, così come avvengono “movimenti di navi” e aerei, ma anche “scambi
di… carbone e benzina”.
Gli Stati Uniti vorrebbero in sostanza
assistere allo strangolamento dell’economia nordcoreana, visto che il
regime, essendo di fatto tagliato fuori dai circuiti commerciali e
finanziari internazionali per via delle sanzioni, ottiene praticamente
solo dalla Cina gli approvvigionamenti necessari alla propria
sopravvivenza e, in buona parte, a quella della popolazione.
Tutt’altro
che sorprendentemente, gli inviti americani in questo senso continuano
però a essere respinti da Pechino. Un blocco totale della Corea del Nord
comporterebbe infatti una più che probabile implosione del regime,
aprendo una crisi che verrebbe tempestivamente sfruttata da Stati Uniti e
Corea del Sud. La Cina, sostanzialmente, rischierebbe di ritrovarsi con
un regime filo-americano o, nella peggiore delle ipotesi,
un’occupazione militare di forze ostili in tutta la penisola di Corea.
A
Pechino vi è comunque una forte irritazione per il comportamento
dell’alleato, poiché azioni come il recente test nucleare non fanno che
offrire agli Stati Uniti l’occasione per mettere alle strette la Cina,
facendo leva sulle ansie della comunità internazionale.
La Cina
ha così condannato l’esperimento con la bomba all’idrogeno, ma ha
nuovamente invitato Washington e i suoi alleati a tornare al tavolo
delle trattative per risolvere pacificamente la questione nordcoreana.
Allo stesso modo, Pechino non esclude l’appoggio a una nuova risoluzione
del Consiglio di Sicurezza, anche se, come ha spiegato il ministro
degli Esteri Wang, essa “non dovrà causare altre tensioni… o
destabilizzare la penisola coreana”.
L’iniziativa diplomatica
nata attorno alla crisi nordcoreana coinvolge, oltre alle due Coree, gli
Stati Uniti, la Cina, la Russia e il Giappone ed è ferma dal 2008 in
seguito all’irrigidimento della posizione americana sotto
l’amministrazione Bush. Il presidente Obama, da parte sua, non ha mai
fatto nulla di serio per riaprire i negoziati, chiedendo invece a
Pyongyang come condizione preliminare di rinunciare al proprio arsenale
nucleare.
Grazie alla Corea del Nord, d’altra parte, gli USA in
questi anni hanno potuto avanzare la propria agenda in Estremo Oriente.
Dopo ogni crisi scoppiata con il regime dei Kim, Washington ha infatti
ottenuto o avviato negoziati con i propri alleati – a cominciare dalla
Corea del Sud – per espandere la propria presenza militare nella
regione.
Ad esempio, in seguito al test nucleare nordcoreano del
2013, il Pentagono aveva annunciato il posizionamento di un sistema di
missili balistici (THAAD) in Giappone. Questo stesso sistema è
attualmente in fase di discussione con le autorità di Seoul per
espanderlo alla Corea del Sud. Come si rendono perfettamente conto a
Pechino, il vero obiettivo di questa escalation militare USA non è tanto
la Corea del Nord e il suo relativamente rudimentale sistema difensivo,
quanto la Cina, in previsione di un futuro conflitto provocato dalla
crescente rivalità tra le prime due potenze economiche del pianeta.
La
Corea del Nord – assieme principalmente alle contese territoriali tra
la Cina e svariati paesi nel Mar Cinese Orientale e in quello
Meridionale – rimarrà dunque al centro di questo confronto, mentre anche
altri paesi della regione ne sono già coinvolti, come il Giappone.
Proprio dalla stampa nipponica giovedì è stata diffusa la notizia che il
regime di Kim si starebbe preparando a testare un missile balistico a
lungo raggio, anche se ciò è vietato dalle sanzioni ONU.
La rivelazione dell’agenzia di stampa Kyodo
ha innescato subito la risposta di Seoul, da dove il ministero della
Difesa ha manifestato estrema preoccupazione, lasciando intendere che
potrebbero essere prese nuove iniziative in conseguenza di un eventuale
esperimento, con il risultato di inasprire lo scontro tra le parti
contrapposte.
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