Ta Kung Pao, Cina, traduzione a cura di Internazionale
I prodotti finanziari conformi alla sharia si stanno diffondendo nei paesi asiatici. Soprattutto in Malesia, Indonesia e Cina
Negli ultimi anni l’espansione della finanza islamica
ha riscosso un interesse crescente. In Cina i musulmani rappresentano
solo una piccola percentuale della popolazione, ma ci sono già diverse
imprese che usano prodotti finanziari islamici. Gli esperti fanno notare
che la “nuova via della seta” (il progetto infrastrutturale lanciato
da Pechino per collegare l’Asia, l’Africa e l’Europa) attraversa molti
paesi a maggioranza musulmana e quindi la finanza che segue i precetti
del Corano potrebbe avere un ruolo importante nella sua realizzazione.
Come sottolinea Viviam Jamal, direttrice esecutiva
della commissione per lo sviluppo economico del Bahrein, nel Medio
Oriente e nel sudest asiatico gli investimenti nella finanza islamica
rappresentano un quarto della disponibilità bancaria. In questo
contesto “la Cina potrebbe fare molto”, aggiunge Jamal. “Un’azione
fondamentale sarebbe quella di garantire, con leggi e regolamenti, che
le istituzioni finanziarie islamiche possano competere in un ambiente
imparziale”.
Abdulhakeem Y. Al Khayyat, amministratore delegato
della Kuwait Finance House nel Bahrein, spiega che la conformità della
finanza islamica alla sharia, la legge coranica, permette di accedere più rapidamente ad alcune realtà finanziarie uniche al mondo: per
esempio mercati emergenti islamici densamente popolati, come quello
dell’Indonesia, e aree molto ricche, come quella del golfo Persico. “Le
cause della crisi finanziaria mondiale scoppiata nel 2008 sono
riconducibili alla mancanza di etica e alle speculazioni irresponsabili
degli investitori”, aggiunge Al Khayyat. “La finanza islamica, invece,
si basa su strumenti che rispettano degli standard morali. Questa
tipologia di prodotti attira sia i musulmani sia i non musulmani. E dal
momento che non provocano crisi finanziarie, la loro domanda aumenta
costantemente”.
Condivisione dei rischi
Nella
finanza islamica gli interessi sono proibiti, così come gli
investimenti in settori condannati dalla religione: per esempio la
produzione di alcol e il gioco d’azzardo. Invece sono favorite la
condivisione dei rischi e la partecipazione agli utili. In ogni caso è
possibile ricavare profitti. Per esempio gli investitori
che comprano o vendono obbligazioni islamiche (sukuk) non possono
riscuotere interessi, ma ottengono un ritorno partecipando alla proprietà del progetto finanziato.
Jamal fornisce alcuni esempi. Quando sottoscrive un
mutuo per comprare una casa, l’acquirente che ha ottenuto il prestito
dalla banca islamica troverà sul certificato di proprietà immobiliare
due nomi: il suo e quello della banca. Sul documento sarà chiaramente
indicata la percentuale posseduta da ciascuna delle parti. Durante il
periodo in cui l’acquirente restituisce il prestito, le quote in
possesso delle parti cambiano. Quando il prestito sarà estinto, sul
certificato resterà solo il nome dell’acquirente. Questa pratica
riflette i princìpi di equità e condivisione dei rischi che
caratterizzano la finanza islamica. Jamal, inoltre, chiarisce un
possibile malinteso: non occorre essere musulmani per accedere a questo sistema. In diversi paesi, infatti, ci sono già molte persone non musulmane che usano prodotti e servizi finanziari islamici.
Jamal ricorda che il Bahrein ha una lunga storia come
centro finanziario islamico. Qui si concentrano banche e compagnie di
assicurazione islamiche, istituti di formazione e ricerca, gestori di
fondi e organismi internazionali che regolano e controllano il settore.
Nel paese ci sono molte persone con la formazione adatta alla finanza
islamica e un ambiente in grado di capire il funzionamento del settore.
Ma diversi stati, ormai, sono in competizione per
diventare centri finanziari islamici. “Vogliamo contribuire allo
sviluppo di questo sistema ed espanderlo a livello globale”, dice Jamal.
“E quindi non possiamo che accogliere con favore l’affermarsi di centri
di finanza islamica a Londra o in Lussemburgo, inoltre ci auguriamo che
centri finanziari già sviluppati, come quello malese, continuino a
dare il loro contributo. Il Bahrein spesso sostiene altri paesi con lo
scopo di promuovere il settore. Crediamo che questa sia una cosa
positiva e che possa produrre vantaggi per il paese”.
Secondo una ricerca recente, oggi il giro d’affari
della finanza islamica è di 1.810 miliardi di dollari: 1.340 miliardi
sono gestiti dalle banche commerciali islamiche, 33,4 miliardi dalle
assicurazioni e 29,5 miliardi sono costituiti da obbligazioni. Nel 2020
il giro d’affari passerà a 3.250 miliardi. Quest’enorme mercato ha
attirato l’interesse di molti paesi, che stanno provando a diventare
“centri finanziari islamici internazionali”.
Centri di primo piano
Secondo uno studio citato da Gulf Times, un quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, oggi la finanza islamica ha solo due centri di primo piano: la Malesia e gli Emirati Arabi Uniti.
Dubai, in particolare, rappresenta uno dei mercati più importanti per
le transazioni basate sui prodotti finanziari islamici ed è il terzo
centro al mondo per lo scambio dei sukuk. Alla metà del 2014 il valore
di queste obbligazioni quotate alla borsa di Dubai aveva raggiunto i 22
miliardi di dollari, di cui più di 18 miliardi erano scambiati al
Nasdaq Dubai (un indice aperto agli investitori e alle aziende
internazionali). La Banca islamica per lo sviluppo, inoltre, ha già
avviato un piano per l’emissione di sukuk attraverso il Nasdaq Dubai
pari a dieci miliardi di dollari. Questa operazione darà un ulteriore
impulso allo sviluppo dell’emirato come centro finanziario islamico.
Nel maggio del 2015, invece, la Malesia ha emesso 150
milioni di dollari in obbligazioni islamiche. Il premier e ministro
delle finanze malese Najib Razak ha dichiarato che “il piano permetterà
di consolidare la posizione del paese come centro finanziario islamico
internazionale”. Le obbligazioni lanciate dalla Malesia includono sukuk
con scadenza decennale e un valore pari a un miliardo di dollari e altri
titoli con scadenza trentennale per un valore di 500 milioni. Questi
ultimi sono i primi titoli obbligazionari islamici al mondo ad avere una
scadenza così lunga e hanno già raggiunto un valore sei volte
superiore a quello iniziale: una conferma dell’alto gradimento che
questi prodotti finanziari riscuotono sul mercato, e della fiducia verso
il sistema malese da parte dei capitali stranieri.
Anche il presidente indonesiano Joko Vidodo ha più
volte espresso la speranza che in futuro il suo paese diventi un centro
finanziario islamico mondiale. Vidodo si dice ottimista, perché l’Indonesia è il paese con il maggior numero di musulmani al mondo ed è il più grande mercato mondiale per l’acquisto dei sukuk da parte degli investitori privati.
Gradualmente diventerà il principale stato a emettere obbligazioni
islamiche. Se il paese continuerà a sfruttare il suo potenziale, la
speranza del presidente indonesiano è destinata a diventare realtà.
La nuova via della seta
In questa corsa alla finanza islamica si è ritagliato un piccolo spazio anche Hong Kong.
Nel settembre del 2014 l’ex colonia britannica ha emesso obbligazioni
islamiche per un miliardo di dollari, e nell’aprile del 2015 l’autorità
monetaria di Hong Kong ha annunciato l’emissione di una seconda tranche
di obbligazioni dello stesso valore entro la fine dell’anno. Il piano
ha una durata complessiva di cinque anni. Hong Kong ritiene che con
questa seconda tranche potrà consolidare la sua posizione di centro
finanziario islamico emergente. In Cina non ci sono ancora istituzioni
finanziare islamiche specializzate, ma molte aziende pensano di aprirsi
al settore.
Il responsabile per l’area Asia-Pacifico dello
Shariah Advisory Group di Ginevra, una società di consulenza
specializzata nella finanza islamica, ha dichiarato all’agenzia Reuters
che “sulla spinta del progetto della nuova via della seta oggi le
imprese statali e private cinesi sono sempre più disposte a sviluppare
iniziative di finanza islamica”. Lo Shariah Advisory Group, per esempio,
sta aiutando il gruppo Hna a finanziare l’acquisto di una flotta di
navi, per una cifra pari a 150 milioni di dollari: l’operazione potrebbe
essere il primo prestito ottenuto da un’azienda cinese attraverso un
istituto finanziario islamico. Il responsabile del progetto ha aggiunto
che l’Hna ha anche intenzione di emettere obbligazioni islamiche
offshore.
Lo scorso ottobre l’azienda immobiliare cinese
Country Garden ha annunciato un programma per l’emissione di
obbligazioni islamiche a medio termine attraverso una società
controllata con sede in Malesia: il valore nominale dell’emissione è
pari a 1,5 miliardi di ringgit (circa 350 milioni di dollari). È il primo esempio di titoli immobiliari islamici emessi su scala nazionale.
Zhang Yansheng, direttore dell’istituto per la ricerca economica
internazionale, ha dichiarato che il Ningxia, regione autonoma nel nord
della Cina, potrebbe diventare la base della cooperazione finanziaria
tra Pechino e i paesi del golfo Persico. La speranza è che nel giro di
cinque, massimo dieci anni il Ningxia diventi un centro finanziario
islamico cinese di respiro internazionale. Abdulhakeem Y. Al Khayyat,
invece, ritiene che Shanghai abbia più possibilità. Secondo il
manager, un centro finanziario islamico può fiorire più facilmente in
una borsa tradizionale. Anche il Bahrein, infatti, prima di diventare un
centro finanziario islamico era una piazza finanziaria già avviata.
La finanza islamica, infine, richiede la disponibilità di professionisti qualificati. Secondo Jamal, se la Cina
vuole sviluppare il settore è molto importante che la formazione del
personale avvenga anche all’estero. “Anche se i professionisti cinesi
della finanza raggiungono già un livello molto alto, hanno ancora
bisogno di imparare dalle migliori realtà internazionali. La Cina
potrebbe per esempio inviare personale in Malesia o negli istituti di
formazione del Bahrein. Oppure collaborare con questi istituti di
formazione”.
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