di Michele Paris
Il presidente cinese, Xi Jinping è impegnato questa settimana in una
visita di cinque giorni in Medio Oriente e in Africa settentrionale per
rafforzare i legami economici e strategici con paesi che nell’ultimo
periodo si trovano al centro di tensioni e accese dispute. In
particolare, due delle tre destinazioni del leader del Partito Comunista
cinese sono Arabia Saudita e Iran, con i cui governi Pechino proverà a
mantenere relazioni fruttuose e cordiali nonostante l’aggravamento delle
divisioni che mettono sempre più su posizioni opposte i due rivali
regionali.
Xi è atterrato a Riyadh nella giornata di martedì e la
più che calorosa accoglienza ricevuta dal regime ha subito messo in
chiaro l’importanza dei rapporti tra i due paesi. L’Arabia Saudita è il
primo fornitore di petrolio e, dal 2013, il più importante partner
commerciale in Asia occidentale della Cina. Gli scambi bilaterali hanno
superato i 69 miliardi di dollari nel 2014, con un incremento di 230
volte dal 1990, anno in cui Cina e Arabia Saudita hanno stabilito
relazioni diplomatiche.
Se il mercato cinese è oggettivamente di
fondamentale importanza per il greggio esportato dalla monarchia
saudita, questi numeri e l’irrobustimento dei legami bilaterali sono
probabilmente da collegare anche alle relative frizioni emerse negli
ultimi anni tra Riyadh e l’alleato americano a causa della divergenza di
vedute di natura tattica con quest’ultimo su varie questioni che hanno
interessato la regione (Egitto, Siria, Iran).
Infatti, dopo il
faccia a faccia di martedì, Xi e il sovrano saudita, Salman bin
Abdulaziz, hanno annunciato un innalzamento delle relazioni bilaterali,
trasformandole ufficialmente in una “partnership strategica
comprensiva”. Come ha raccontato l’agenzia di stampa ufficiale cinese
Xinhua, “le due parti hanno anche sottoscritto un memorandum d’intesa
sulla cooperazione in ambito industriale” e firmato accordi vari nei
settori “aerospaziale, dell’energia, delle comunicazioni, dell’ambiente,
della cultura, della scienza e della tecnologia”.
L’interesse
cinese è d’altra parte quello di integrare l’Arabia Saudita
nell’ambizioso progetto definito “One Belt One Road” per sviluppare
infrastrutture e scambi commerciali est-ovest lungo l’antica “Via della
Seta”.
A livello generale, la visita del presidente Xi rientra
negli sforzi cinesi di intraprendere politiche più attive in Medio
Oriente, principalmente al fine di salvaguardare i propri interessi
energetici. Il petrolio non esaurisce però la questione dei rapporti tra
Pechino e questa parte del continente asiatico, come ha confermato la
presentazione proprio la scorsa settimana del primo documento strategico
relativo al mondo arabo redatto dalla Cina.
La stabilità
dell’area e la sicurezza delle forniture energetiche sono comunque
intrecciate per la leadership Comunista e da ciò deriva l’impegno
diplomatico di Pechino su vari fronti di crisi in Medio Oriente, come
quello del nucleare iraniano e della guerra in Siria.
In
un’intervista rilasciata a Channel News Asia un paio di giorni fa,
Francesco Sisci ha poi ricordato come la Cina abbia un interesse diretto
nel contenimento dello scontro settario in atto in Medio Oriente, vista
l’esposizione al rischio fondamentalista della regione dello Xinjiang,
dove vivono dieci milioni di musulmani Uighuri.
Se l’impulso dato
alle relazioni con l’Arabia Saudita è un fattore relativamente nuovo
per la Cina, più consolidato è invece il rapporto con l’Iran, ultima
meta della trasferta di Xi Jinping dopo Riyadh e Il Cairo. Molti
osservatori, soprattutto in Occidente, hanno sottolineato in questi
giorni la coincidenza della visita a Teheran con la fine delle sanzioni
economiche internazionali applicate alla Repubblica Islamica.
In
questi anni, la Cina ha mantenuto intensi rapporti economici con
l’Iran, sia pure riducendo la quantità di petrolio importato, e
l’obiettivo sembra ora essere quello di mantene la propria influenza in
un paese che sta per aprirsi ai mercati e al capitale internazionale.
Non a caso, Xi sarà il primo leader di una potenza mondiale a recarsi a
Teheran dalla cancellazione delle sanzioni in questo inizio di 2016.
Anche
in questo caso, la questione del petrolio non è l’unica a
caratterizzare l’equazione Cina-Iran. Nel già ricordato piano di
integrazione eurasiatica perseguito da Pechino, la Repubblica Islamica
dovrebbe svolgere un ruolo decisamente di primo piano, vista
l’importanza strategica di un territorio situato all’incrocio di rotte
che collegano il Vicino Oriente e l’Europa con l’Asia centrale e quella
orientale.
Rispetto ai concorrenti europei e asiatici, la Cina
parte dunque da una posizione di vantaggio nella “corsa” all’Iran. Qui,
secondo Bloomberg News, operano già quasi un centinaio di compagnie
cinesi e nel corso della visita di Xi saranno probabilmente siglati
altri accordi economici di rilievo. Per l’agenzia iraniana Tasnim, ad
esempio, sarebbero alle battute finali le trattative per la costruzione
da parte di aziende cinesi di due centrali nucleari in Iran.
In
concomitanza con l’arrivo di Xi Jinping in Medio Oriente, l’organo del
Partito Comunista Cinese in lingua inglese, Global Times, ha pubblicato
un editoriale nel quale ha ribadito i principi che guidano la politica
estera del regime. L’articolo ha insistito sul tradizionale impegno
cinese nel non interferire nelle vicende interne dei propri partner
economici e nell’evitare di mettere i propri interessi davanti a quelli
degli altri paesi.
I principi di uguaglianza e rispetto che
starebbero alla base della condotta cinese all’estero, ha ricordato
Global Times, sono differenti da quelli di altre potenze che, senza che
la testata lo abbia ricordato esplicitamente, hanno enormi responsabilità
nel caos che regna oggi in Medio Oriente.
Le parole
dell’editoriale uscito martedì servono indubbiamente a cercare di
promuovere l’immagine benevola della Cina nei paesi toccati dalla
presenza del presidente Xi, ma non solo. Esse rivelano anche un certo
nervosismo nella classe dirigente cinese per la sfida che si trova si
fronte in un teatro caldo come quello mediorientale.
La questione
è stata affrontata da un punto di vista diverso soprattutto dai media
occidentali, a cominciare da quelli americani, i quali, equiparando
sostanzialmente le modalità della politica estera USA a quella cinese,
hanno definito senza indugi la visita di Xi come il riflesso della
volontà di Pechino di mostrare i muscoli e, quindi, la propria
influenza, in una regione cruciale per l’intero pianeta.
In
effetti, se la gestione delle questioni internazionali di Stati Uniti e
Cina è totalmente diversa, così come le conseguenze della loro presenza
al di fuori dei rispettivi confini, tra le righe di commenti simili si
può forse intravedere il punto chiave del viaggio del presidente cinese e
delle preoccupazione che stanno alla base delle discussioni in cui è
impegnato questa settimana.
Come
sta accadendo in Estremo Oriente, la crescente influenza della Cina
oltre i propri confini determina una progressiva e inevitabile
escalation del confronto con gli Stati Uniti e i suoi interessi
strategici ed economici. Il tentativo di Pechino di istituire legami più
profondi con i paesi del Medio Oriente rischia perciò di aggravare
ulteriormente lo scontro con Washington, da dove lo sforzo per il
mantenimento della supremazia nel mondo arabo ha già prodotto una lunga
serie di conflitti spesso devastanti.
In un frangente storico
caratterizzato dall’inasprirsi degli scontri e della competizione a
livello internazionale, così, la strategia cinese di mantenere buoni
rapporti con tutti i paesi, sia che siano posizionati dalla stessa parte
o su fronti diversi in un determinato conflitto, potrebbe essere messa
quanto meno a dura prova già nell’immediato futuro.
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