di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Un sotterraneo tramutato
in tomba, uno stillicidio lento e inesorabile: gli ultimi sei giorni di
Cizre, ormai sotto coprifuoco da metà dicembre, sono lo specchio
terribile della guerra turca contro il Kurdistan. Ventinove persone sono
bloccate nei sotterranei di una casa nel quartiere di Cudi, estremo
rifugio dall’artiglieria pesante dell’esercito turco.
Sono in trappola: feriti 6 giorni fa, si stanno dissanguando, senza cibo né acqua. E uno a uno morendo: sono già 4 le vittime,
tra cui il 28enne Selami Yilmaz, Cihan Karaman e Selim Turay. I 25
sopravvissuti sono lì, impossibilitati ad uscire dal fuoco che non
cessa: ancora ieri i carri armati vomitavano razzi. Una potenza di fuoco che ha danneggiato seriamente l’edificio, il tetto potrebbe collare sui feriti intrappolati.
E le ambulanze non riescono ad arrivare: «Non siamo in grado di
raggiungerli, una situazione disumana – commentava sull’agenzia kurda AnfEnglish
il parlamentare dell’Hdp Sariyildiz – Chiamano il 155, il numero
d’emergenza, che gli dice di uscire ma parte subito il fuoco contro chi
ci prova. Nell’incontro con il governatore ci è stato detto di
convincerli ad uscire e a raggiungere le ambulanze ma non possono farlo.
Sono già morte 4 persone, tra loro una donna e due studenti
universitari».
Sono questi i pericolosi nemici dello Stato turco? Lo era Cihan
Karaman, ferito da una scheggia che gli è entrata nel petto, costretto a
camminare verso l’ambulanza a cui era stato impedito di soccorrerlo, e
poi morto senza possibilità di essere medicato?
La campagna militare imbastita dal presidente Erdogan è lo specchio del clima autoritario che ha investito la Turchia: l’Akp
era alla ricerca di un nemico interno con cui stringere il giogo
repressivo su tutto il paese e lo ha individuato nel Pkk e nel popolo
kurdo. Sulle ceneri del movimento di Gezi Park, che aveva mobilitato la società turca contro la deriva autoritaria, Erdogan ha plasmato una strategia della paura che si scatena contro ogni voce critica.
Se a sud est è in corso un massacro, tutta la Turchia è nel mirino:
in Kurdistan si moltiplicano i raid contro i civili e i coprifuoco,
mentre a colpire è anche la magistratura. Lunedì 11 membri
dell’Hdp, il partito di sinistra pro-kurdo, sono stati arrestati su
ordine del tribunale di Istanbul perché accusati di sostenere il Pkk. Tra
loro il tesoriere del partito e un membro della segreteria. La stessa
corte ha aperto un’inchiesta contro l’emittente turca della Cnn per aver usato il termine “dittatore” in riferimento a Erdogan. Sorte peggiore per Refik Tekin, cameraman di Imc Tv, ferito dai soldati a Cizre mentre catturava il momento della
barbara uccisione di 9 persone, tra cui un membro del consiglio
comunale, che sventolavano bandiere bianche: sarà arrestato, una volta
fuori dall’ospedale, con l’accusa di essere membro di un’organizzazione
terrorista separatista.
Opposta la reazione dello Stato contro chi danneggia l’Hdp: due
giorni fa la corte di Ankara ha condannato 5 persone per aver attaccato e
dato alle fiamme a settembre la sede del partito nella capitale, ma le
pene sono state sospese per buona condotta durante il processo e perché
incensurati.
Ma Erdogan punta ad una politica più ampia, che
istituzionalizzi la repressione: in preparazione c’è un piano di azione
contro il terrorismo. Lo ha fatto sapere il portavoce del governo, Numan
Kurtulmus: 303 articoli volti a colpire struttura sociale ed
economica dei gruppi considerati terroristi. Ovvero il Pkk, perché
l’Isis sfugge al mirino di Ankara: la campagna lanciata a fine luglio
contro lo Stato Islamico si è presto rivelata una copertura per
bombardare il movimento kurdo e gli islamisti che godono dell’impunità
turca non sono stati toccati.
Alla luce della strage di civili appaiono ancora più surreali e
offensive le dichiarazioni del governo turco: «La nostra gente continua a
vivere una vita normale durante il giorno – ha detto Kurtulmus – I
coprifuoco sono in atto solo di notte». Falsità a cui fa eco il premier
turco Davutoglu che – riferendosi al caso di Silopi, sotto coprifuoco
totale dal 14 dicembre al 19 gennaio, e per metà demolita dall’esercito –
ha definito quell’operazione «di grande successo».
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