Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

21/01/2016

Il movimento operaio egiziano tra scioperi e divisioni

di Antonio Drius

Una nuova ondata di scioperi. A dicembre in diverse regioni dell’Egitto, da Assiut a Suez, al Delta, lavoratori di società nei settori del tessile, del cemento, delle costruzioni, sono entrati in sciopero a oltranza: le loro rivendicazioni riguardano l’estensione di diritti salariali e indennità riservate alle società pubbliche. Si tratta di benefici di cui questi lavoratori hanno smesso di godere in seguito alla massiccia ondata di privatizzazioni dell’ultimo periodo dell’era Mubarak. Molte di queste privatizzazioni dopo la rivoluzione del 2011 sono state portate davanti ai giudici, i quali ne hanno spesso decretato la nullità, rilevando diversi casi di irregolarità e corruzione.

Tali scioperi sono per lo più scollegati tra di loro e in gran parte slegati dal mondo del sindacalismo indipendente che si è riunito a metà dicembre al Cairo. Ma rappresentano comunque una realtà molto significativa, per almeno due motivi. Da un lato, pur se in maniera non del tutto esplicita, contestano il cuore della trasformazione neoliberista del paese, che ha subito una profonda accelerazione dal 2004 in poi, e che le rivolte popolari esplose nel gennaio 2011 con lo slogan “Pane, Libertà, Giustizia Sociale” non sono riuscite sostanzialmente a intaccare. L’altro aspetto è che in un contesto autoritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento.

Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla “guerra al terrorismo”, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile.

Il sindacalismo indipendente

La giornata di venerdì 11 dicembre ha visto svolgersi un vibrante incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (CTUWS), fondato nel 1990, tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano. Sebbene la sala più grande del Centro abbia un centinaio di posti a sedere, la sera dell’incontro non riusciva a contenere il numero di attiviste e attivisti sindacali giunti da tutto l’Egitto per un’assemblea che ha dello straordinario nel contesto attuale del paese.

L’occasione è data da una circolare del consiglio dei ministri che raccomanda una stretta collaborazione tra il governo e il sindacato ufficiale ETUF (unica formazione ammessa fino al 2008), con il fine esplicito di contrastare il ruolo dei sindacati indipendenti e marginalizzarli tra i lavoratori.

Sebbene oggi il CTUWS non sia rappresentativo della complessa costellazione del sindacalismo indipendente egiziano, il suo appello è stato raccolto, forse anche inaspettatamente, da un numero molto significativo di sindacati. Alla fine, saranno una cinquantina circa le sigle che sottoscriveranno la dichiarazione di chiusura, rappresentanti dei più svariati settori economici, e dalle più svariate regioni del paese: dai trasporti alla scuola, dall’agricoltura all’ampio settore informale, dal Sinai all’Alto Egitto, passando per il Delta, Alessandria, e il Cairo. La circolare del governo, infatti, rappresenta un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali, fortemente ristrette dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, e ha così fatto da catalizzatore di un malcontento molto diffuso tra i lavoratori, ma che stentava fino ad oggi a prendere forma in iniziative concrete.

Movimento in crisi

Dopo la rivoluzione del 2011 l’Egitto ha vissuto una sorprendente espansione dello spazio di agibilità politica. Si è assistito alla nascita di centinaia di nuovi sindacati, un vero e proprio movimento, di cui il CTUWS è stato tra i protagonisti, attraverso le sue attività di supporto e formazione. Tuttavia, negli ultimi due anni, repressione e cooptazione da parte del regime hanno seriamente indebolito queste iniziative, al punto che le due maggiori federazioni (la EDLC e la EFITU) non riuniscono la loro assemblea generale dal 2013. Di fatto ogni sindacato agisce ormai per conto proprio a livello locale o di settore. L’esigenza di unirsi e coordinare gli sforzi però è molto sentita, e lo testimonia la grande partecipazione all’assemblea, oltre ai tanti interventi che hanno puntato il dito contro la frammentazione del movimento, e invocato la necessità di lavorare insieme, al di là delle correnti di appartenenza. È certamente questo, nonostante i molti limiti, il dato più importante da registrare della giornata di venerdì.
Gli interventi si sono succeduti a decine, concisi, spesso appassionati e con un taglio molto operativo: si trattava di proporre e decidere insieme il “cosa fare da domani mattina”, un appello ripetuto come un mantra durante l’incontro, data l’urgenza del momento e la necessità di delineare un piano d’azione a breve e medio termine. Da notare la presenza di una nutrita minoranza di donne, i cui interventi sono stati in alcuni casi tra i più apprezzati e applauditi dalla platea a maggioranza maschile.

L’incontro dell’11 dicembre si è concluso con la decisione di formare un comitato il più possibile rappresentativo dei presenti, che si incarichi di gettare le basi per una campagna nazionale sui temi del lavoro e delle libertà sindacali. L’idea è quella di organizzare una serie di conferenze regionali che portino nel giro di pochi mesi ad una grande assemblea nazionale e possibilmente ad una manifestazione unitaria di protesta (“a Tahrir!” diceva anche qualcuno tra i presenti, invocando la piazza che è stata teatro della stagione rivoluzionaria del periodo 2011-2013, e che da più di due anni è vietata a qualsiasi forma di protesta). L’agenda sembra decisamente ampia e include tra gli obiettivi fondamentali quello di contrastare la legge 18 del 2015, che ha recentemente preso di mira i lavoratori del settore pubblico, ed è stata duramente contestata nei mesi passati.

Uno sguardo all’Italia

La strada appare ancora lunga e accidentata, ma è unicamente da questi fermenti sociali che può scaturire la speranza per un Egitto realmente democratico. E gli sviluppi di queste iniziative meritano di essere seguiti con attenzione e vicinanza, anche da questa parte del Mediterraneo. Sono gli stessi sindacalisti egiziani che ce lo chiedono, facendo appello a realtà sociali simili a loro in Italia e in Europa, per sviluppare forme di scambio, solidarietà e cooperazione che possano rafforzarli e incoraggiarli in questa delicata fase storica. Questi esperimenti dal basso potrebbero forse indicare anche a noi nuove traiettorie per un sindacalismo – al contempo combattivo e democratico – al passo con le trasformazioni imposte dalla globalizzazione del ventunesimo secolo.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento